Dallo scorso 15 ottobre fino al 24 novembre, al Teatrino di Palazzo Grassi a Venezia, si può vedere il I Atto del progetto Gestus, intitolato Rifare il corpo.
A cura di Video Sound Art, centro di produzione e festival di arte contemporanea, Gestus è un progetto espositivo site-specific, cioè, concepito per essere esibito specificamente nello spazio del Teatrino, ambiente ristrutturato dall’architetto giapponese Tadao Andō. Ideata e realizzata da Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Pinault Collection, l’obiettivo della mostra è quello di fondere in un solo spazio le diverse modalità dell’arte contemporanea (video arte, scultura, readymade, performance…) declinandole in questo progetto dall’eco teatrale. Lo spazio, la suddivisione in atti, la presenza di protagonisti e di un “coro” di greca memoria…Sono tutte idee che si fondono e donano al progetto una coerenza speciale, che lo fanno diventare letteralmente scenografico. Il progetto si ispira al teatro di maestri come Antonin Artaud, Jacques Copeau, Étienne Decroux o Mejerchol’d e cerca di analizzare il linguaggio (…i linguaggi…) del corpo e dell’arte. I loro giochi, le loro interazioni, i loro significati, come si scontrano, come stanno nel mondo.
Del II Atto, intitolato Il montaggio delle azioni (dal 1 dicembre 2021 al 15 gennaio 2022), saranno protagoniste le opere di Ludovica Carbotta e Driant Zeneli, accompagnate dalle performance di questi due artisti e di Benedetta Barzini e Annamaria Ajmone. Rifletterà sul perché dell’agire umano e sul suo significato.
La mostra è affiancata da un programma di attività (musica, video, incontri, giornate di studio) che sono state concepite non come un complemento a Gestus, ma come degli eventi che dovranno interagire e far parte del progetto. Anche il pubblico è invitato a sperimentare. Insomma, a non rimanere spettatore passivo che semplicemente guarda, ma a riflettere entrando nelle opere, fondendosi con esse e facendone parte. Diverse performance che interverranno sullo spazio e lasceranno “tracce” verranno realizzate durante l’intera durata della mostra, che cambierà così quasi ogni giorno.
Questa prima tappa, Rifare il corpo, inaugurata lo scorso giovedì, vede come protagonisti gli artisti Enrique Ramírez e Luca Trevisani, e come “coro”, le performance di Enrique Ramirez, Caterina Gobbi e Andrea di Lorenzo. Nel foyer del Teatrino lo spettatore può vedere una serie di sculture di Trevisani, realizzate in bioplastica, matteriale molto suggestivo, una specie di suole di scarpe attaccate a piedi, opere che si collegano al titolo, quindi al rapporto dell’essere umano con il proprio corpo, all’interazione fra i corpi con la natura e fra i corpi stessi, alla fisicità, alla nostra dimensione più organica. Sembra quasi biblicamente dire Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris(Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai).
Nell’auditorium verrà progettata un’opera video di Trevisani intitolata L38º11’13.32’N13º21,4.44E’’, coordinate geografiche delle grotte siciliane dell’Addaura note per le incisioni rupestri risalenti a 14.000 anni fa. Torna il leitmotiv della mostra (e della storia dell’arte) del rapporto fra essere umano e natura, del contatto con la terra, della traccia dell’uomo su di essa.
Sempre nel foyer si trova un grande schermo con l’opera video di Enrique Ramirez L’homme sans image. “L’uomo senza immagine” non perché l’attore del video non abbia un volto, ma perché è un essere umano anonimo ma identificabile con chiunque, con qualsiasi persona. Questo “homme sans image” nuota, anzi, cerca di non annegare in uno spazio completamente neutro. Forse il mare, forse gli abissi, forse il ventre materno. Avvolto in una vela lotta, balla, cerca di togliersela o di avvolgersi ancora di più. Costante il tema del corpo: in contatto con l’acqua, con la natura, con le origini, con sé stesso…Ramirez fa anche notare la metafora di questa vela, che il vento colpisce quando è tesa, in barca, e fa viaggiare le persone; emerge (quasi letteralmente…) qui l’attualissimo conflitto dell’immigrazione, che tante volte è –tragicamente– per via marittima. A destra dello schermo, anche la “botella silbadora” di Ramirez, El lamento del velero invertido (“Il lamento della barca a vela rovesciata”), uno strano oggetto in argilla realizzato su commissione dell’artista da un artigiano. Fatto su un modello antichissimo, questi oggetti la cui funzione, quella di portare acqua, è solo una ipotesi, quando vengono spostati o mossi producono un suono sibilante. È l’acqua, che si sposta da una cavità all’altra, a produrlo.
Si potrebbe riassumere il progetto Gestus con alcune parole del Maestro Artaud, che parlava di “far danzare l’anatomia” e di “cultura in azione che diventa in noi come un nuovo organo”. Fa questo, la mostra al Teatrino: fa danzare i corpi, è cultura in azione, sveglia una nuova sensibilità. Sveglia, appunto, un nuovo organo. Resta al pubblico decidere a cosa serve.