Il Museo Civico di Modena, nei rinnovati spazi del Complesso San Paolo, presentala mostra Umberto Tirelli. Caricature per un teatro della vita. Uno dei maestri della caricatura del primo Novecento, di cui ricorrono i 150 anni dalla nascita. Dal 19 dicembre 2021 al 25 aprile 2022.
“Quanto più brutto, tanto più bello” era il motto di Umberto Tirelli (Modena, 1871 – Bologna 1954). Artista sagace, maestro della caricatura e della satira espressionista. Ma prima di perdersi nei meandri delle definizioni restrittive – a maggior ragione quando ci riferiamo a una pratica che le convenzioni vuole dissacrarle – è opportuno soffermarsi sulla sua frase più celebre.
Ne nascono almeno due considerazioni. La prima è che il brutto possiede qualità che il bello non ha. Forse è una questione di sincerità: il brutto lo nascondiamo accuratamente. Metterlo in mostra, come fa Tirelli, significa recupera l’essenza più intima della persona. O quantomeno una parte che, seppure nascosta, esiste quanto ciò che è esposto. Una seconda deduzione, più fine, è che qualcosa per essere trasformato in brutto, prima deve essere stato bello; e per essere stato bello, di certo dovrà esistere. Il giro lievemente frastagliato serve a evidenziare una pratica importante nell’arte di Tirelli: tutti i suoi soggetti – stravolti, appesantiti, distorti, esposti, ridicolizzati – sono personaggi reali, figure della contemporaneità calate nel suo teatro del ridicolo.
Da questo processo di desacralizzazione, delle persone note della prima metà del Novecento, nessuno è stato escluso. Artisti, critici, politici, attori. Figure di spicco come re Vittorio Emanuele III, Gabriele D’Annunzio, Papa Benedetto XV, Giovanni Giolitti, Giosuè Carducci, Giacomo Puccini, Mussolini, Eleonora Duse, fino alle maschere della Commedia dell’arte e quella modenese di Sandrone. Ma anche Stalin, Churchill e Roosevelt, ma anche Totò, De Gasperi e Togliatti. Li ritroviamo tutti raccolti in mostra, racchiusi in 230 opere tra disegni, sculture, pitture, maschere e burattini.
Le due stanze – estremamente suggestive, con gli affreschi del vecchio convento sullo sfondo – della mostra si configurano come un viaggio nella storia. Dalla Belle Époque alla Grande Guerra, dal fascismo alla Seconda Guerra Mondiale, dalla Guerra Fredda al primo boom economico. In questo ampio lasso di tempo Tirelli ha osservato, colto l’essenza (spesso anche terribile) dell’animo umano. L’ha poi restituita deformata dai crismi del riso, di un’ilarità acuta che non perdona nessuna sfumatura.
La si vede subito nella ricostruzione del suo studio di Bologna (lui che nacque a Modena nel 1871), dove una scena tratta dall’Inferno dantesco miscela sacro e profano in una scena dall’ebbrezza delirante. Ogni cosa, dagli arredi alle riviste collezionate, esprimono la personalità esuberante di Tirelli. I personaggi galleggiano in rotoli di grasso ingigantiti, i quali ridondano nelle rughe spesse che puntellano quasi tutti i volti presi di mira. Lo stile espressionista supera la satira più diretta miscelandosi con un linguaggio artistico evocativo e coinvolgente. Stile che si esaurisce nei disegni (spesso destinati alle riviste umoristiche) o nei dipinti, ma si estende anche alle maschere di cartapesta, piccole sculture, burattini e teste di legno.
Proprio a questo filone appartiene il pezzo più interessante in mostra. L’originale Teatro nazionale delle Teste di legno, alto più di 6 metri, completo di scenografie e burattini, eccezionalmente sopravvissuto ed esposto al pubblico a un secolo dalla sua creazione nel 1921. Pare di vederlo in una notte nebbiosa ai confini della città, con il pubblico che scaldandosi le mani si avvicina per apprezzare lo spettacolo. Ci avrebbe trovato, espresso in caricatura, il tempo storico che stavano vivendo: segnato da ambizioni e slanci poetici, ma anche inquietudini, populismi e tragici decadimenti.
Anche se, quando si tratta di derisione, non c’è bersaglio migliore della borghesia o dei circoli (più o meno) culturali. Ovvero coloro che più gongolano della loro miseria esistenziale, spesso inconsapevoli. Così ci sovviene un’altra immagine: Umberto Tirelli nell’angolo di un locale affollato, con gli occhi vispi e la matita affilata.
Scrutava i suoi soggetti con occhi penetranti e ipnotizzanti: taciturno lo si vedeva all’angolo dei caffè intento a fissare le sue vittime. Cominciava così la sua opera di demolizione dell’umanità.
Interessante, soprattutto per l’ambiente più vicino alle arti visive, soffermarsi sul dipinto Artisti e intellettuali bolognesi. Come in ogni opera di Tirelli i personaggi sono tutti tratti dalla realtà. Tra questi si riconoscono due figure di spicco della storia dell’arte italiana: Roberto Longhi (oblungo e longilineo nel suo impermeabile verde) e Giorgio Morandi (come sempre intento a ritrarre le sue classiche nature morte).