Dorothea Tanning è perlopiù conosciuta come una grande surrealista, ma la nuova mostra della Kasmin Gallery di New York rivela un lato molto diverso dell’artista.
Intorno al 1955 le mie tele si sono letteralmente frantumate. Ho rotto lo specchio, si potrebbe dire.
Dorothea Tanning
Nella più grande mostra dedicata all’artista negli Stati Uniti da decenni, la Kasmin Gallery di New York si è concentrata sui lavori che Dorothea Tanning ha compiuto dal 1947 al 1987. Molte delle tele presenti sono immerse in un’atmosfera onirica, dimensioni che paiono costituirsi solo di colore e luce. Al loro interno galleggiano soggetti dai confusi confini sfumati. Ne risultano immagini frammentate dal fascino misterioso, ma di un mistero diverso dalla precisione irreale tipica del surrealismo. Il mistero in questione è quello che vive sul confine tra figurazione e astrazione.
Dorothea Tanning: Doesn’t the Painting Say It All vanta la presenza di 19 prestiti da importanti istituzioni, come Whitney Museum of American Art. Proprio il museo di New York ha concesso quello che è forse il dipinto più importante dell’esposizione: la straordinaria tela del 1962 Aux environs de Paris. Come in molte delle opere in mostra, nel dipinto figure misteriose sembrano luccicare entrando e uscendo dal fuoco. Parti del corpo nebulose emergono frammentariamente da strisce di colori vivaci. La vista è quasi messa alla prova, deve districarsi tra stimoli ambigue e contraddittorie.
Nonostante Tanning (morta nel 2012 all’età di 101 anni) abbia modificato il suo stile nel corso della sua carriera, l’artista rimane quasi esclusivamente associata al Surrealismo. Qui, come anticipato, lo stile è del tutto figurativo, nonostante poi il contenuto vada a svincolarsi dalla realtà. Un modo di procedere che Tanning utilizza soprattutto negli anni ’40, ma che con il tempo abbandona il suo pennello.
La mostra – che prende il nome dal memoir dell’artista, Birthday – approfondisce dunque il periodo che vede Tanning lasciarsi alle spalle le convenzioni visive del Surrealismo. Osservare questi dipinti semi-astratti è come sbirciare nei meandri più profondi della fase REM, ovvero il segmento del ciclo notturno dove sogniamo. I corpi ribollono, si agitano e si allungano l’uno verso l’altro. L’ambiente è un prisma di colore e desiderio. Assomigliano a quei sogni che, nonostante svaniscono al mattino con un battito di ciglia, lasciano una sensazione indelebile per tutta la giornata.
Una delle opere meno esposte, ma presente in mostra, è Door 84 (1984). Una porta – una vera e propria porta – divide il dipinto e separa due figure femminili. Divisione, ma anche tensione a ricongiungersi. L’opera sembra quasi esemplificare la dialettica astrazione-figurazione che Tanning va sperimentando nella seconda parte della sua carriera.
Quasi tutti i dipinti esposti alla Kasmin Gallery presentano corpi nudi, ma ognuno di loro è diverso dall’altro. Far From (1964) ha come protagonista una forma biomorfa colta nel mezzo di una metamorfosi. In Philosophie en plein air, 1969, due figure si scontrano come fossero correnti opposte, trascinando il cielo e l’erba nella loro rotazione.
In La Chienne et sa muse (1964) Tanning appare come un artropode carnoso e si ritrae insieme al proprio cane. Lo stesso che compare nell’opera del 1977 Portrait de famille. Qui l’animale funge quasi da piedistallo per un trio di corpi che si contorcono, si schiacciano come in un’opera di Tintoretto. La tensione sul viso del cane è inquietante mentre si piega alla pressione.
Un’ombra oscura occupa la maggior parte di Pour Gustave l’adoré (1974), in cui un anfibio incandescente emerge dal buio. Il dipinto prende il nome dall’artista francese del 19° secolo Gustave Doré, che con esuberante fantasia illustrò diversi volumi, tra cui la Divina Commedia di Dante e Rime of the Ancient Mariner di Coleridge.
I lavori più recenti in mostra sono i dipinti On Avalon e To Climb a Ladder, entrambi del 1987. Il primo si distingue per le dimensioni monumentali, il secondo per la tetra enigmaticità. Un cielo scuro schiaccia un mare altrettanto nero. All’orizzonte brilla debole una luce: una città, un porto, qualcosa di inaspettato? In primo paino una scala è occupata da corpi che paiono essersi sciolti durante il percorso. Sul gradino più alto la carne di uno dei soggetti pare liquefarsi, diventare anima e ascendere verso l’oscurità del cielo. Che al di là di essa si trovi la loro salvezza o la loro fine, non ci è dato sapere.