Print Friendly and PDF

Agamennone di Livermore, apoteosi di colore, musica e canto

Agamennone (ph Federico Pitto)
Agamennone (ph Federico Pitto)

“Orestea – Agamennone” di Eschilo è in scena al Teatro Ivo Chiesa a Genova per la regia di Davide Livermore ancora fino al 19 marzo

Spettacolare è l’aggettivo giusto per l’Agamennone di Davide Livermore, coproduzione INDA – Istituto Nazionale Dramma Antico / Teatro Nazionale di Genova.  Il regista torinese ha deciso infatti di tradurre la prima tragedia della trilogia di Eschilo strizzando l’occhio al rock e al noir e ambientando negli anni ’30. Appena il pubblico entra in sala è già tutto lì in bella vista. Nessun sipario occulta la scenografia che nel mezzo del palco offre un grande schermo con il globo in 3D. Del resto questo spettacolo è lo stesso che è stato rappresentato al teatro di Siracusa, all’aperto, dove il grosso scenario era più che giustificato. A terra è presente anche uno specchio rotondo che se sul palcoscenico del teatro Ivo Chiesa ha una resa ridotta, senza dubbio risultava grande effetto dalle gradinate dell’anfiteatro. Ad ogni modo la prorompenza dell’installazione voluta da Livermore fa colpo anche al chiuso e certamente abbaglia non poco.

Il regista spiega la sua scelta di ambientare l’Orestea in un periodo storico così vicino al nostro evocando l’immagine di un mondo prossimo al collasso, quello del periodo fascista.  E così in un clima di distorsione della comunicazione alla presenza dei vecchi argivi, ufficiali dell’esercito reduci dalla guerra, privati della loro voce, e sistemati inermi su sedie a rotelle, si consuma la vicenda, che prende avvio all’arrivo del segnale di fuoco nunzio della vittoria su Troia.

Agamennone (ph Federico Pitto)

Il tema su cui si concentra il dramma è quello della giustizia che ai tempi di Eschilo vedeva il suo compimento nella primordiale legge del taglione: tu uccidi o fai uccidere ed io ti uccido o ti faccio uccidere. E Clitemnestra,  non avendo mai perdonato al marito il sacrificio della figlia Ifigenia per propiziarsi gli dei nella guerra di Troia, non aspettava altro che il ritorno di questi per compiere la sua vendetta aiutata da Egisto, cugino del marito e suo amante.

Agamennone, dunque, vittima oggi perché carnefice di ieri. Nessuna pietà per lui che morirà sotto i colpi di scure inferti dalla moglie mentre si concede un bagno, da lei preparato tanto amorevolmente. Laura Marinoni, fedelissima attrice di Livermore, è un’ ottima interprete di un ruolo che la vede seduttrice avvolta in un bellissimo abito rosso pronta a servire la sua vendetta in un piatto freddo. Quell’abito rosso non fa che sottolineare che siamo in mezzo al sangue. Sangue sparso per il sacrificio di Ifigenia, sangue sparso sui campi di battaglia della guerra a Troia, sangue adesso nella reggia di Argo che vedrà vittime Agamennone (interpretato da Sax Nicosia) e Cassandra. Il rosso predomina sulla scena come è giusto che sia. E allora si perdona anche il gusto un po’ tra il Kitsch e lo splatter che sicuramente è più appropriato al cinema che al teatro. Ma i tempi sono cambiati e a Livermore bisogna dare il merito di aver accelerato il processo di assimilazione delle arti. 

Il cinema è comunque costantemente richiamato dalle due Ifigenia (le attrici bambine – Carlotta Maria Messina e Mariachiara Signorello) che mute e con volto inquietante sono un misto tra le gemelle di Shining e la Bambola assasina. Poi ci sono i corvi sullo schermo che rimandano agli Uccelli di Hitchcock e i fiumi rosso sangue che riportano tanto ai film di Dario Argento quanto a quelli di Tarantino. Il pathos cresce quando Linda Gennari, nei panni della schiava e veggente Cassandra, concubina di Agamennone, va quasi in trance per annunciare non solo la morte del re ma anche la futura vendetta di Oreste contro la madre Clitemnestra, non solo per vendicare la morte del re padre ma anche di lei, la schiava. La Gennari, a differenza della Marinoni, veste un abito nero, elegantissimo, come elegante è la sua snella figura. La sua prestazione attoriale in questo ruolo è buona, ma niente a che fare con quanto visto di lei in Grounded di George Brant.

Agamennone (ph Federico Pitto)

Ottima prova quella di Gaia Aprea, corifea nei panni di una donna di regime, con tanto di tailleur scuro e cravatta burocratico-militare, a capo del coro formato da 6 infermieri, 4 donne e 2 uomini (gli attori Olivia Manescalchi, Maria Grazia Solano, Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina). È la voce della verità che dall’inizio alla fine tiene abilmente i fili della vicenda.

Agamennone (ph Federico Pitto)
Agamennone (ph Federico Pitto)

Colonna sonora dello spettacolo sono le musiche incalzanti di due pianoforti posizionati ai due lati del palcoscenico. A suonare le note originali di Mario Conte, Diego Mingolla e Stefania Visalli. Peccato che spesso la bella musica sia sovrastata da altri suoni (o rumori) di scena. Tutto però scandisce il ritmo dell’evento che si conclude dopo due ore di attenzione del pubblico con qualcosa che si può evitare: la solita canzone rock che suggella i saluti e applausi finali. Questa volta è la sentinella Maria Grazia Solano ad intonare la “Glory Box” dei Portishead, proponendo una scena trip hop di Bristol degli Anni 90. Lo stesso era accaduto nella Maria Sturda. Chissà perchè a Livermore piace finire così. Questo sì che è davvero Kitsch.

 

Orestea – Agamennone
di Eschilo

Teatro Ivo Chiesa
14.03 – 19.03

Commenta con Facebook