Correva l’anno 2011 quando, sotto la guida dell’eruditissimo Monsignor Gianfranco Ravasi, prese vita il progetto della partecipazione dello Stato Vaticano con un proprio padiglione alla Biennale di Venezia. Scrissi allora un pezzullo dal titolo Angeli & Demoni nel quale sollevavo alcune riflessioni circa il complesso rapporto tra la Fede e la modernità sostanzialmente desacralizzata, tra il ricco e fecondo lascito teologico–filosofico del cattolicesimo e l’immanenza di questo tempo sostanzialmente ateo. In sostanza di come la Chiesa che per secoli aveva informato di sé l’Arte potesse recuperare un ruolo propulsore nel mondo del fab contemporary. Sfida davvero ardua anche per i rappresentanti di Nostro Signore. Infatti, l’iniziativa ha vivacchiato in questi anni senza, diciamo, farsi notare. Low profile, tanto che un po’ tutti quelli che galleggiano nel brodo dell’arte se ne sono scordati. La svolta, almeno ai miei forse poco attenti occhi, è iniziata con la nomina al Dicastero per la cultura e l’educazione del Cardinale José Tolentino de Mendoça quale fedele interprete delle encicliche di Papa Francesco, sicché i risultati non si sono fatti attendere.
Già dalla scorsa Biennale di Architettura il Vaticano si è presentato con il progetto dal titolo “Prendersi cura del Pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi”, in perfetta sintonia con il mood della Biennale imperniato sui soliti temi del climate change, della decarbonizzazione, di quanto un po’ schifoso sia l’uomo bianco e la sua cultura prevaricatrice. Bene, quello era l’antipasto. Ora le sapienti cucine del Vaticano hanno ulteriormente aggiustato il tiro delle pietanze sfornate per la partecipazione alla prossima edizione dedicata all’arte con titolo Con i miei occhi. È sufficiente dare uno sguardo ai protagonisti del progetto, dai curatori – Bruno Racine e Chiara Parisi – agli artisti, per accorgersi che il dicastero della cultura vaticana ha imparato alla grande scegliendo il meglio del peggio, vale a dire i più cool e glamour rappresentati della retorica decostruzionista antioccidentale, woke friendly antispecista.
A cominciare dal collettivo Claire Fontaine, uno e trino, dal cui lavoro è mutuato il titolo stesso della Biennale Stranieri Ovunque, a sottolineare la continuità con il programma del direttore Adriano Pedrosa, di cui vi ho già raccontato. Il menù degustazione continua con Bintou Dembélé, Simone Fattal, Sonia Gomes, la suora femminista Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret, per finire col nostro campione nazionale Maurizio Cattelan la cui sbefeggiante scultura la Nona ora, raffigurante Papa Wojtyla schiacciato da un meteorite, forse non è dispiaciuta al nuovo corso impresso dal papato di Francesco. Pierluigi Panza ha ricordato dottamente sul Corriere la locuzione latina “in partibus infidelium”, a ricordare le diocesi che si trovavano nelle terre degli infedeli, pensando all’annunciata visita che Papa Francesco effettuerà alla Biennale vista la scarsa aderenza, per dirla eufemisticamente, che le dottrine del contemporary hanno verso il Magistero della Chiesa. Direi piuttosto che la sostanziale omogeneità e sovrapponibilità delle due Biennali annulli questo timore, essendosi ormai disciolto quello che restava delle partibus fidelium. Fiduciosi negli imperscrutabili disegni divini, restiamo in attesa del dono della Grazia.
Religiosi saluti
L.d.R.