Incontro con Adriano Pedrosa, curatore della 60.ma Biennale di Venezia, dopo la presentazione della sua “Stranieri Ovunque” a Ca’ Giustinian
Dal titolo di questa edizione, preso dai neon di Claire Fontaine che a loro volta avevano raccolto l’espressione da un omonimo collettivo torinese che nei primi anni 2000 combatteva contro il razzismo e la xenofobia in Italia, si erano scatenate le più svariate teorie sul progetto di Pedrosa: una Biennale politicamente corretta, una manifestazione zeppa di outsider a ricalcare un po’ “Il Palazzo enciclopedico” o “Il latte dei sogni” e un po’ la Documenta dei ruangrupa: una Biennale “alla moda”.
Qualcosa, però, sembra aver tradito tutte le aspettative, tant’è che in sala stampa, subito dopo la presentazione di “Stranieri Ovunque”, le domande non sono state molte e – soprattutto – non sono state polemiche. Pedrosa, da «curatore autodidatta e “straniero” dello storia dell’arte» – come si autodefinisce in mondo ironico iniziando la nostra conversazione, ha creato un progetto che conterà un Nucleo Storico e uno Contemporaneo, con 332 artisti e una serie quasi infinita di possibilità di lettura: «La Biennale è così grande, così cacofonica, che ogni visitatore può trarne quello che vuole: opere, percezioni, sensazioni, che si modificano anche a seconda del proprio umore. Non sapremo mai fino in fondo, specialmente con un gruppo così vasto di artisti, a quanti potremmo prestare attenzione. Ho lavorato a un’idea ma, in realtà, la Biennale è sempre aperta ad altre interpretazioni», mi dice Pedrosa, ben consapevole – però – del suo ruolo e del fatto che, comunque vada, si sarà fatta la storia.
Già, perché oltre ad essere il primo curatore sudamericano invitato a dirigere la Biennale più antica del mondo, dopo essere passato da quella di San Paolo (come curatore aggiunto, nel 1998, e come curatore associato, nel 2006), Istanbul (2011, con Jens Hoffmann) e curatore del Padiglione di San Paolo alla Biennale di Shanghai (2012), Pedrosa è anche colui che a Venezia porterà la più alta partecipazione di artisti provenienti da Africa, Asia, America Latina, arabi, queer e, anche, un’ampia presentazione di artisti italiani della diaspora.
Sono infatti 43 i nomi “tricolore” in lista, un numero enorme rispetto alle ultime edizioni. L’unico problema, faccio presente al curatore, è che nessuno di loro vive in Italia e che tanti non sono nemmeno più tra noi, ma “Stranieri Ovunque” sarà la Biennale dei senza confini e dai tempi dilatati e infatti, ridendo, Pedrosa mi risponde che a Venezia vedremo proprio gli artisti italiani “diasporici”: «Ci saranno Giulia Andreani, che vive a Parigi, Alessandra Ferrini, che vive a Londra; ho incluso il Disobedience Archive creato da Marco Scotini nel 2005, e poi Bertina Lopes, nata in Mozambico e vissuta a Roma; il giovane Victor Fotso Nyie, nato in Camerun e residente a Faenza; c’è il progetto di Nedda Guidi a Forte Marghera, Greta Schödl che è nata in Austria ma che vive a Bologna e, ovviamente, i Claire Fontaine, tra tanti altri», tra cui – aggiungiamo noi – ci saranno anche i Maestri “diasporici” che scelsero Parigi come città d’adozione, da Gino Severini a Filippo De Pisis.
Inoltre, tutti i Maestri saranno raggruppati nel Nucleo Storico – ognuno con un’opera (di pittura, prevalentemente) – che avrà dimensioni ridotte rispetto alle partecipazioni contemporanee, assicura il curatore, anche se le presenze possono sembrare numericamente maggiori: «Le opere presenti nel Nucleo Storico saranno approssimativamente 200, a fronte di circa 800 opere contemporanee…Certo, possono sembrare cifre enormi, ma sono meno di quante già se ne sono esposte in altre edizioni e tutti gli interventi contemporanei avranno una presenza fisica molto importante, molto ampia. Ad esempio, il collettivo MAHKU dipingerà l’intera facciata del Padiglione Centrale e Mataaho, collettivo neozelandese, occuperà la prima sala: si tratterà di due opere monumentali. Ti immagini? Il punto iniziale, il cuore della Biennale “occupato” da due collettivi indigeni, mai prima nella storia! Inoltre, ci saranno grandi nuove produzioni: Isaac Chong Wai sta lavorando a un progetto che occuperà una stanza di 20×20 metri; Mariana Telleria realizzerà un altro progetto di grande respiro; Sol Calero sta realizzando un vero e proprio padiglione all’aperto e inoltre, in questa edizione, ci saranno anche due grandi installazioni nelle aree verdi alla fine dei Giardini, accanto al padiglione brasiliano», anticipa il curatore.
Una Biennale che Pedrosa definisce “speculativa”, incalzato a partire dal suo percorso di studi, cominciato con una laurea in Legge all’Universidade Estadual di Rio de Janeiro e proseguito poi alla CAL, California Institute of the Arts, dove frequenta anche il corso di Critical Writing: «Già all’epoca mi interessava scrivere di arte in una maniera più creativa, speculativa, ibrida; ci esercitavamo producendo testi che erano bibliografie, frammenti, racconti sperimentali. Penso che sia questa l’identità, ovvero quella di un artista che scrive in modo speculativo, che porto alla mia curatela. I miei progetti sono sempre speculativi, mai definitivi. Credo che oggi non sia più possibile accettare progetti definitivi, nonostante – soprattutto negli Stati Uniti – la maggior parte delle istituzioni voglia sempre realizzare progetti che mettano il punto finale su artisti, correnti, letteratura…tutto. Ma questa modalità non mi interessa, preferisco il contraddittorio, i processi. Ora, ovviamente, per realizzare un Nucleo Storico dico sempre che ci sarebbe voluto un team di dieci persone e un periodo di cinque anni. Ciò che propongo con “Stranieri Ovunque” é, chiaramente, un determinato taglio».
Un taglio ottenuto scandagliando in lungo e in largo mezzo mondo, ma specialmente alcune aree per le quali – da diversi anni – Pedrosa nutre un particolare interesse: «Viaggio da molti anni, da quando ho partecipato come curatore aggiunto alla Biennale di San Paolo nel 1998, ed è un grande privilegio. Curando la dodicesima Biennale di Istanbul ebbi l’opportunità di fare molte ricerche in Medio Oriente e nel mondo arabo e quando terminò quell’esperienza mi resi conto che quando devi organizzare una Biennale di questo tipo è impossibile viaggiare all’impazzata in luoghi dove non sei mai stato: quello che ti serve è conoscere vari luoghi per le tue ricerche future, dato che i tempi di lavoro, nel nostro settore, sono sempre molto stretti. E infatti ho dovuto chiudere la mia lista per Venezia in undici mesi, pochissimo tempo! Così ho scelto di recarmi in alcuni Paesi in cui non ero mai stato, come Guatemala, Repubblica Dominicana e Angola, che col Brasile ha una relazione molto forte a causa della questione della diaspora e della lingua, ma soprattutto sono tornato in quasi tutti i Paesi dell’America Latina dove ero già stato e dei quali conoscevo la scena: dal Cile al Messico, dall’Argentina alla Colombia, Porto Rico, ma anche Kenya, Zimbabwe, Sud Africa, Singapore, Indonesia. In tutti questi posti ho tanti colleghi che mi hanno aiutato nel mio lavoro: ho ricevuto un sostegno incredibile».
Tra gli artisti in lista c’è anche Lina Bo Bardi, della quale si useranno – per il display del Nucleo Storico – i supporti in vetro che contornano la collezione permanente del MASP, e che a sua volta era una italianissima che in Brasile aveva costruito la sua migliore carriera: «Ho voluto metterla proprio tra gli artisti perché, oltre ad essere una donna incredibile, ha già vinto un Leone d’Oro a Venezia [alla memoria, nel 2021, ndr] e per me significa portare anche una referenza da casa, dal Museo che dirigo e dentro al quale, negli ultimi anni, abbiamo dato un ruolo fondamentale agli artisti brasiliani, agli indigeni e ora ai queer, la cui presenza è molto importante anche qui a Venezia, come del resto lo è quella degli artisti popolari che però, pur mantenendo varie questioni in comune, non sono outsider», specifica Pedrosa.
E tra tutti gli stranieri ci saranno anche diverse celebrità che non hanno mai partecipato alla Biennale e che, quest’anno – finalmente – vedremo in laguna. No, non stiamo parlando solo del Leone d’Oro, Anna Maria Maiolino, altra italiana che ha costruito la sua vita e carriera in Brasile, ma di una artista iconica nel vero senso della parola: Frida Kahlo. «Un onore assoluto, per me, poter presentare per la prima volta alla Biennale di Venezia, sia il lavoro di Kahlo che quello di Maiolino», dichiara il curatore.
C’è altro da aggiungere? Il Presidente uscente, Roberto Cicutto, ha assicurato che in “Stranieri Ovunque” vedremo tanta bellezza e, arrivati a questo punto, ne siamo quasi convinti. Poi, per il resto, come seraficamente afferma Adriano Pedrosa «Critiche ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno…».
Ne riparleremo dal 17 aprile.