
Fernando De Filippi, classe 1940, è metamorfico per natura, un poliedrico sperimentatore che ha praticato pittura, scultura, fotografia, scenografia, grafica, scenografia, performance. È stato anche tra i pionieri dell’Arte Pubblica, sostenitore dell’arte come pratica comunitaria all’insegna della militanza culturale e politica. Insomma, è un tornado di creatività, che già nel 1965 ha esposto per la prima volta alla IX Quadriennale nazionale d’arte di Roma, e da allora ha tenuto mostre in Italia e all’estero. Negli anni ’70 si è riappropriato degli spazi pubblici, ha agito fuori dai luoghi tradizionali, contro l’arte come prodotto di mercato. Sintetizzare la sua vita in poche righe è una missione impossibile, in una parola è un ariete, segno di fuoco!
Rivoluzionario anche nella sua attività didattica, che tra gli altri incarichi comprende anche il prestigioso ruolo di direttore dell’Accademia di Brera, una carica che ha coperto dal 1991 al 2009. De Filippi vive l’arte come processo di riflessione dei cambiamenti in atto, nel contemporaneo rigenerarsi in rapporto al suo tempo, pronto a immergersi nell’incessante dinamismo del mondo che cambia sempre più rapidamente, incentrando la ricerca sullo spazio comunitario per l’arte, dove condividere azioni e visioni di nuovi scenari.
Il suo impegno politico è evidente fin dalle opere degli anni ’60, quando, tra iconografia Pop e critica sociale, si distacca completamente dalle immagini compiacenti americaneggianti. È già entrata nella storia dell’arte del secondo Novecento la produzione legata all’iconografia di Lenin. De Filippi, passando dalle performance e le scritte sulla sabbia estratte da testi di Marx e altri filosofi, crea un metalinguaggio superando ideologie e connotazioni convenzionali. Negli anni ’80 crea un immaginario post-moderno, torna al colore, alla pittura, alla figura, trovando nell’albero un codice ricorrente della sua arte intesa come strumento d’indagine dinamico, proprio come il fuoco, soggetto della sua recente produzione di fotografie-manifesti realizzate con i nuovi media.

Il fuoco incendia la parola Metamorphosis, ciascuna lettera che la compone comprende qualcosa di travolgente, proprio come il fuoco, che può purificare, distruggere, riscaldare, cuocere cibi, fondere oro e metalli, trasformare diversi materiali in qualcos’altro. Il suo fuoco alchemico incarna l’energia ideologica e concettuale di un’artista che, presentando Metamorphosis, una installazione urbana promossa dall’Istituto Italiano di Cultura di Sofia (Bulgaria) all’esterno, in un luogo di transito nevralgico della città, visualizza concettualmente stati di cambiamento di una società che sta cambiando, come i suoi cittadini.
Sofia è concepita per essere esplorata a piedi, nota per la vita notturna, dove al centro spicca la maestosa Cattedrale Aleksander Nevski. La città investe nell’Arte Pubblica, in un manifesto di cambiamento per suggellare un patto di condivisione e coesione tra Italia e Bulgaria, Europa e Mondo, perché l’arte urbana e di tutti crea reti di comunità che possono diventare “luoghi” di formazione per gli adulti di domani, con l’obiettivo di produrre nuovi modi di pensare la città.
Tutti, passando di fronte ai suoi insoliti “manifesti”, dimostrano che la partecipazione è sempre un mezzo e non un fine. Insegne senza segnalazioni commerciali o politiche, capaci di creare uno spazio per una comunità umana che si rigenera nella consapevolezza e responsabilità di vivere meglio insieme oggi per domani.













