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In libreria alla scoperta di Orson Welles, Carmelo Bene e M​​izoguchi Kenji

Orson Welles, Carmelo Bene e M​​izoguchi Kenji: in libreria tre volumi imperdibili per immergersi nel lavoro di alcuni dei più grandi registi della storia del cinema, tutti diversissimi tra loro, tutti fondamentali per capire la cultura dei loro Paesi d’origine e la fortuna che hanno avuto all’estero. Dall’opera di Orson Welles, americano dallo spirito europeo, a quella sovversiva di Carmelo Bene, italiano amato in Francia, con una deviazione in Giappone per (ri)scoprire la modernità del lavoro di M​​izoguchi Kenji, che in Europa, tra Francia e Italia ha trovato premi e fortuna critica.

American. Orson Welles, il mito, la letteratura, di Gabriele Gimmelli (Quodlibet)
Che cosa significa essere “americano” per Orson Welles? A partire da questa domanda, il volume di Gabriele Gimmelli affronta una lettura dell’intera produzione del regista, intrecciando cinema e letteratura, mito nazionale e critica culturale. Se Charles Foster Kane dichiarava con orgoglio “Io sono, sono stato e sempre sarò una sola cosa: un americano”, Welles – nonostante avesse pensato proprio ad American come titolo per il suo debutto cinematografico – è stato a lungo considerato il più europeo tra i cineasti d’Oltreoceano – costretto anche, suo malgrado, a un vagabondaggio artistico in cerca di produttori, di fondi, di set. Eppure, come mostra questo saggio, è nella tradizione letteraria statunitense – intrisa di umori gotici, tensioni melodrammatiche, inquietudini politiche e miti pastorali – che si annidano molte delle ossessioni che attraversano e agitano tutta la sua opera.
Da Quarto potere a The Other Side of the Wind, passando per lavori dimenticati, progetti incompiuti e materiali d’archivio, Gimmelli rilegge il corpus wellesiano alla luce degli studi di Leslie Fiedler, Richard Chase, Leo Marx ed Edward Said, ricostruendo un paesaggio culturale in cui Welles si muove da ultimo classico americano: un autore in grado di utilizzare e plasmare la mitologia fondativa del suo paese per smascherarne le contraddizioni, trasformando l’immaginario epico e romantico in uno strumento di critica (gli Stati Uniti di Quarto Potere non erano già quelli di Trump?).
Il volume affronta tematiche fino ad ora inedite o a cui la critica ha prestato poca attenzione, con – tra l’altro – l’analisi del primissimo testo teatrale a firma di Welles (Bright Lucifer), che a differenza di altri titoli giovanili non è mai stato pubblicato: qui già emergono alcuni dei temi che caratterizzeranno tutta l’opera dell’autore, il conflitto tra ordine e caos, tra razionalità e istinto, tra “rane e scorpioni”.
Se da una parte Orson Welles è stato un regista in lotta con il sistema hollywoodiano, dall’altra – il volume – ricostruisce la sua identità di intellettuale profondamente americano: nella sua opera si mescola alto e basso della cultura made in USA, dall’Orgoglio degli Amberson, tratto dall’omonimo romanzo del due volte premio Pulitzer Booth Tarkington, alla Signora di Shanghai di Sherwood King o L’Infernale Quinlan di Wade Miller, autori di romanzi gialli e noir, popolari, venduti in edicola in edizione economica. Un capitolo, ovviamente, è dedicato agli approcci di Welles a Moby Dick di Melville, opera da lui amatissima, portata a teatro e poi pensata e ripensata, senza mai vedere la luce, anche per il cinema.

Orson Welles, Carmelo Bene, M​​izoguchi Kenji

Carmelo Bene a Cannes (1969-1973), di Carlo Alberto Petruzzi (Mimesis)
Geniale, traboccante, caotico, scandaloso, rivoluzionario del teatro e del cinema. Il libro di Petruzzi indaga l’esperienza di Carmelo Bene a Cannes in qualità di regista cinematografico, momento che è stato di cruciale importanza per la ricezione della sua opera in Francia. Nel 1969, anno della prima edizione della “Quinzaine” del Festival di Cannes, sono presentati Nostra Signora dei Turchi e Capricci, l’anno seguente è la volta di Don Giovanni; nel 1973 i cortometraggi Hermitage e Ventriloquio.
François Truffaut, in quegli anni, ha dichiarato in un’intervista: “C’è Carmelo Bene di cui ho adorato Nostra Signora dei Turchi […] per invogliare le persone a vederlo direi che è un misto di Quarto potere e Il sangue di un poeta”. La visibilità conquistata in Francia attraverso la Quinzaine porta Un Amleto di meno in Concorso al Festival di Cannes nel 1973 (la Palma d’oro viene assegnata ex aequo a Un uomo da affittare di Alan Bridges e a Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg, con Al Pacino). Nonostante il passaggio nell’ambitissima kermesse non arrivano proposte da produttori internazionali, il cinema di Carmelo Bene è troppo sperimentale, troppo sovversivo, impossibile da “vendere”. Si consolida però il rapporto dell’autore con la Francia. Nel 1977 Bene, a Parigi, conosce Jacques Lacan, Michel Foucault, Pierre Klossowski e Gilles Deleuze. Con quest’ultimo pubblica un volume a quattro mani, Sovrapposizioni, che comprende Un manifesto di meno, il saggio di Deleuze dedicato a Bene. Sul cinema di Carmelo Bene Deleuze ha scritto: “Carmelo Bene […] “crede” nel cinema, crede che il cinema possa operare una teatralizzazione più profonda del teatro stesso, ma lo crede solo per un breve istante. Ben presto pensa che il teatro sia più adatto a rinnovare se stesso e a liberare le potenze sonore, che il cinema troppo visivo ancora limita, anche a costo che la teatralizzazione integri supporti elettronici invece che cinematografici. Resta il fatto che ha creduto, un momento, il tempo di un’opera troppo presto interrotta, volontariamente interrotta, alla capacità che avrebbe il cinema di dare un corpo, cioè di farlo, di farlo nascere e scomparire in una cerimonia, in una liturgia. Qui forse potremo cogliere quel che si gioca tra teatro e cinema”. La fortuna critica di Carmelo Bene in Francia è tale che a qualche mese di distanza dalla sua scomparsa, il Centre Pompidou organizza una rassegna dei suoi film.
Carmelo Bene a Cannes approfondisce la ricezione del cinema di Bene oltralpe e il ruolo che gli anni tra il 1969 e 1973 hanno giocato nella successiva diffusione delle sue opere in Francia. Nel libro sono presenti quattro interviste inedite ad alcuni protagonisti di quella fase: Pierre-Henri Deleau, fondatore e primo direttore della “Quinzaine des réalisateurs“, Jean-Paul Manganaro, che organizzò il viaggio e gli incontri a Cannes, Jean Narboni e Noël Simsolo, tra i primi a recensire Bene in Francia. Due capitoli si concentrano invece sul corto ormai disperso “Ventriloquio“, presentato a Cannes nel 1973, e sulla performance “Don Chisciotte” (1970) che anticipò la proiezione di “Don Giovanni”. Il volume include infine un’intervista di Francesco Forlani ad Anna Maria Papi che fu aiuto regista e produttrice di Un Amleto di meno, l’intervista ripercorre alcuni momenti della realizzazione del film ed offre uno sguardo privilegiato sulle modalità di lavoro di Bene sul set.

Orson Welles, Carmelo Bene, M​​izoguchi Kenji

L’ombra del ciliegio. Il cinema di Mizoguchi Kenji, di Dario Tomasi (Cue Press)
Con Ozu Yasujiro, Naruse Mikio e Kuro-sawa Akira, M​​izoguchi Kenji è considerato uno dei più importanti autori del cinema giapponese classico, un regista che, con la sua filmografia, ha accompagnato – dagli anni ’20 agli anni ’50, passando dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore – il Paese verso la modernità. Sono i giovani critici cinefili dei Cahiers du cinéma, negli anni ‘50, a capire l’importanza dell’opera di Mizoguchi: “il suo cinema, infatti, è caratterizzato da uno stile di regia e messa in scena che si affida ai piani sequenza e ai long take, alle immagini distanziate, agli elaborati movimenti di macchina, alle inquadrature in profondità di campo e al complesso intrecciarsi e sovrapporsi di più dati iconicamente significanti – spiega Dario Tommasi nell’introduzione del volume – Si tratta di soluzioni che vanno tutte in una direzione ben precisa, in quanto evitano le forme consolidate del découpage classico, privilegiano i modi del montaggio interno, invitano lo spettatore a una lettura più attenta e a uno sguardo più critico, attivo e ‘moderno‘”. In quegli anni vince tre volte il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, nel 1952 con Vita di O-Haru, donna galante, nel 1953 con I racconti della luna pallida d’agosto, 1953 e nel 1954 con L’intendente Sanshö, 1954.
Al centro della sua filmografia le donne, la condizione femminile nella società giapponese è per M​​izoguchi un filo rosso che si dipana attraverso gli anni, in diverse declinazioni: da una parte denuncia la condizione subordinata della donna in una società fortemente patriarcale come quella tradizionale giapponese, dall’altra la idealizza come “un oggetto, sebbene di culto e d’ammirazione”. Le protagoniste dei suoi film sono donne divise tra spinte di emancipazione e spirito di sacrificio, dove sogni e aspirazioni soccombono al dovere imposto da rigide regole sociali.
L’ombra del ciliegio si configura come testo fondamentale per tutti gli amanti del cinema orientale (e non solo), il libro ricostruisce nel dettaglio la carriera di M​​izoguchi analizzandone la filmografia, titolo dopo titolo, affrontandone stili, temi e tecniche (i movimenti di macchina, la messa in scena, il montaggio), mettendo così in luce l’attualità e la modernità di film come Elegia di Osaka (1936), La Vendetta dei 47 ronin (1942) o La strada della vergogna (1956).

Orson Welles, Carmelo Bene, M​​izoguchi Kenji

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