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Seasons. Cattelan colpisce ancora, ma cosa vuole davvero dirci?

Maurizio Cattelan alla GAMeC, foto Lorenzo Palmieri Maurizio Cattelan alla GAMeC, foto Lorenzo Palmieri
Maurizio Cattelan alla GAMeC, foto Lorenzo Palmieri
Maurizio Cattelan alla GAMeC, foto Lorenzo Palmieri
Dal 7 giugno al 25 ottobre, Maurizio Cattelan attraversa Bergamo con Seasons, una mostra che si snoda tra gli spazi pubblici della città, mescolando, gioco, ambiguità e riflessione. Con il suo stile provocatorio e ironico, l’artista esplora temi universali come la ciclicità della vita e della storia, l’ascesa e la caduta dei valori e le trasformazioni della società e dell’individuo

Nato negli anni ‘60, Maurizio Cattelan è da sempre il maestro delle sorprese. Chi non ricorda Comedian – o meglio, la banana appesa al muro venduta a un prezzo milionario? E che dire di A Perfect Day, quando il gallerista Massimo de Carlo finì in ospedale dopo essere stato “scotchato” alla parete della sua galleria durante la performance? E poi c’è il furto di America, il suo water in oro massiccio in Inghilterra, che ha fatto parlare di sé in tutto il mondo.

Ma, come sempre, Cattelan non smette di stupire. È tornato, pronto a scuotere Bergamo con cinque opere che non lasceranno nessuno indifferente. Prima di tutto, però, ripercorriamo questo viaggio artistico che, tra un sorriso amaro e una riflessione, ci invita a guardare la contemporaneità con occhi completamente nuovi.

 

Maurizio Cattelan, November, Palazzo della Ragione, foto Lorenzo Palmieri
Maurizio Cattelan, November, Palazzo della Ragione, foto Lorenzo Palmieri
November (2023)

Partendo dal Palazzo della Ragione, in Piazza Vecchia, l’opera November viene accolta in un luogo tutt’altro che neutro o marginale. La grande Sala delle Capriate, dove Cattelan ha scelto di collocare la sua opera è uno spazio che, in passato, ospitava le assemblee cittadine medievali, per poi diventare un tribunale sotto la Repubblica di Venezia. Un luogo intrinsecamente legato alla giustizia che, filtrato attraverso la visione di Cattelan, ci invita a riflettere sulla sua assenza, sulla discriminazione e sull’ingiustizia. La scultura raffigura un senzatetto sdraiato su una panchina, con i pantaloni slacciati, in un momento di estrema vulnerabilità.

Collocata in un contesto tanto connotato, l’opera non ironizza su una condizione sociale, ma intende stimolare alla riflessione. L’atto di urinarsi addosso, rappresentato nell’opera, evoca la sensazione di disagio e marginalità che spesso accompagna i senzatetto, reclusi in una società che, troppo spesso, preferisce ignorare la realtà piuttosto che affrontarla. Questo gesto, che richiama la fisicità di un’esistenza di sofferenza, diventa anche un potente simbolo dell’umanità di chi, pur essendo ai margini, continua a esistere e a lottare. Con la mano sul viso, il senzatetto sembra cercare di nascondersi, ma allo stesso tempo ci ricorda che, nonostante tutto, è uno di noi: meno fortunato, ma ugualmente umano e capace di provare sentimenti.

 

Maurizio Cattelan Ph. Lorenzo Palmieri
Maurizio Cattelan Ph. Lorenzo Palmieri
Empire (2025) e No (2021)

Spostandoci alla GAMeC, troviamo due opere poste una di fronte all’altra, in un metaforico dialogo. Partiamo da Empire, un messaggio in bottiglia enigmatico – ma neanche troppo – che, invece di contenere una pergamena o un bigliettino, racchiude al suo interno un mattone in terracotta su cui è incisa la parola EMPIRE, evocando immediatamente l’idea di potere, dominio e costruzione di strutture. Tuttavia, questo mattone è intrappolato nella bottiglia. L’impero evocato diventa così uno spazio mentale o politico che non si realizza mai, una costruzione che rimane sogno o minaccia non concretizzata. Un messaggio in bottiglia che, invece di galleggiare come ci si aspetterebbe, affonda inevitabilmente sotto il peso del mattone. Un’ipotesi che si lega perfettamente al suo contrappunto, No, dall’altro lato della stanza.

Per i più attenti, c’è un autoreferenziale richiamo: si tratta, infatti, di una rilettura di Him (2001), in cui vediamo il corpo di un bambino di spalle, inginocchiato in preghiera. Ma, girandoci intorno per scorgere il volto, ci accorgiamo che si tratta nientemeno che di Adolf Hitler. E qui, su un cortocircuito già piuttosto elettrico, Cattelan aggiunge un altro corto circuito, ponendo un sacchetto sulla testa della scultura. La scelta di coprire il volto, originariamente scaturita da una richiesta di censura in una mostra in Cina, diventa il cuore dell’opera: l’occultamento sposta l’attenzione su ciò che non vediamo -o fingiamo di non vedere-, ma che riconosciamo benissimo. Ed è proprio questo che rende tutto così inquietante: un potere che riconosciamo, ma che è celato, che agisce sotto un mascheramento, mentre il mattone con la parola “impero” affonda invece di galleggiare. Insomma, chi vuole intendere, intenda.

 

 Cattelan, Bones, San Lupo Ph Lorenzo Palmieri
Maurizio Cattelan, Bones, San Lupo Ph Lorenzo Palmieri
Bones (2025)

Allestito nell’ex Oratorio di San Lupo, grazie alla collaborazione con la Fondazione e il Museo Diocesano Adriano Bernareggi, Bones ci presenta un’aquila che, da sempre simbolo di potere, dominio e brama espansionistica, ora giace sconfitta sul pavimento. La scelta dell’aquila è stata ispirata all’opera di Giannino Castiglioni, che nel 1939 decorava il ceppo commemorativo del discorso di Mussolini del 1919, rivolto agli operai in “sciopero creativo”. In questo caso, il rapace non è più il simbolo di un potere trionfante: è stanca, abbattuta e cristallizzata nel marmo, incapace di alzarsi in volo, come un vecchio generale che, ormai esausto, si rifiuta di combattere ancora.

Il titolo Bones è, poi, una scelta azzeccata, considerando il luogo espositivo: l’Oratorio di San Lupo, un tempo sede cimiteriale, è ora trasformato in uno spazio di liminalità, tra vita e morte. Le ossa, naturalmente, rimandano alla morte e alla decomposizione, ma qui parlano anche della fine di un regime che, finalmente, ha esaurito la sua energia, venendo smascherato e svuotato dei suoi valori. E, proprio come No, anche Bones fa il suo lavoro nell’abbattere il mito del potere dittatoriale. In entrambe le opere, Cattelan smaschera il potere, lo svuota, lo riduce a un simbolo senza ali, finalmente liberato dal peso delle ideologie. E come l’aquila di Bones, quel potere non vola più: ormai è solo un ricordo del passato.

 

 Cattelan, One, Rotonda dei Mille Ph Lorenzo Palmieri
Maurizio Cattelan, One, Rotonda dei Mille Ph Lorenzo Palmieri
One (2025)

Ultima opera, ma non per importanza, è One, un’opera site-specific prodotta in collaborazione con il Comune di Bergamo, situata nella storica Rotonda dei Mille, nel cuore di Bergamo Bassa. Sulle spalle dell’Eroe dei due mondi, Cattelan posiziona un bambino, come se fosse sulle spalle del nonno, ma con un dettaglio che non può passare inosservato: il bambino mima una pistola con le dita, un gesto che, tra gioco e riferimento alla guerra, crea un contesto volutamente ambiguo, in perfetto stile Cattelan. Con questa scultura, rileggiamo la statua del condottiero non con gli occhi dei patrioti, ma con quelli del presente, mettendo sotto esame anche la figura storica di Garibaldi, centrale nel Risorgimento.

Garibaldi è ormai oggetto di numerose riletture critiche, come accade a tanti personaggi storici che, confrontati con il politically correct odierno, non sempre riescono a superare l’esame del tempo. La storia, infatti, non sempre si adatta alle sensibilità moderne, e spesso dimentichiamo che ciò che un tempo era considerato giusto o accettabile non lo è più oggi. Che il titolo One faccia riferimento all’Italia unificata sotto l’onda garibaldina o a qualcos’altro, i Bergamaschi – e noi tutti – possiamo godere di questo “contro-monumento”, che ci invita a riflettere su cosa significhi davvero, senza dimenticare che anche un eroe, alla fine, può diventare un “contemporaneo”.

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