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Mostra del Cinema 2025. Gli 8 film imperdibili secondo ArtsLife

Frankenstein, di Guillermo Del Toro Frankenstein, di Guillermo Del Toro
Frankenstein, di Guillermo Del Toro
Frankenstein, di Guillermo Del Toro
Mostra del Cinema chiusa, premi assegnati, ecco i nostri consigli sui migliori titoli usciti da una delle edizioni più memorabili degli ultimi vent’anni

La 82ª Mostra del Cinema di Venezia sarà ricordata come una delle edizioni più memorabili degli ultimi vent’anni. La line-up è di altissimo livello: film diversi tra loro, ma tutti capaci di coinvolgere tanto il pubblico giovane quanto i cinefili più esperti. Il direttore Alberto Barbera si è assicurato i titoli più significativi della stagione in vista dell’award season, primi fra tutti Frankenstein di Guillermo Del Toro, No Other Choice di Park Chan-wook e Bugonia di Yorgos Lanthimos. Netflix si piazza quest’anno in pole position per l’intera stagione dei premi, e a breve aggiungerà ulteriori titoli promettenti, come il taiwanese Left-Handed Girl di Shih-Ching Tsou.

Ecco secondo noi i titoli più rilevanti dell’edizione corrente. Nel programma convivono i ritorni dei grandi maestri, che rilanciano la loro ricerca tra memoria, storia e politica, e le nuove voci che affrontano le contraddizioni del mondo contemporaneo. ArtsLife ha selezionato otto titoli che, per forza autoriale e capacità di stimolare il dibattito, si impongono come appuntamenti da non perdere.

1. Frankenstein – Guillermo Del Toro

Del Toro affronta uno dei miti fondativi della modernità (e del cinema), andando oltre l’adattamento letterale. La creatura e il suo creatore diventano figure speculari, incarnazioni di desideri e paure che restano attuali. Il regista intreccia la sua estetica barocca con una riflessione sul potere di creare vita e sulla fragilità di chi viene percepito come “mostro”, trasformando un racconto gotico in uno studio profondo sui limiti della conoscenza e dell’umanità.

2. No Other Choice – Park Chan-wook

Un uomo ordinario è spinto a compiere gesti estremi che incrinano il confine tra giustizia e vendetta. Park Chan-wook utilizza la struttura del thriller per indagare i dilemmi morali di una società che restringe sempre più lo spazio delle scelte individuali. La violenza, ricorrente nei suoi film, diventa linguaggio critico, rivelando contraddizioni e tensioni tra potere e responsabilità personale.

3. Bugonia – Yorgos Lanthimos

Con Bugonia Lanthimos porta uno dei titoli più attesi del concorso, rivisitando in chiave personale il cult sudcoreano Save the Green Planet!. Il regista greco costruisce una parabola surreale e disturbante che tiene insieme black comedy, thriller paranoico e allegoria politica.

 

Bugonia, di Yorgos Lanthimos
Bugonia, di Yorgos Lanthimos

Protagonista è Teddy (Jesse Plemons), un apicoltore dominato da ossessioni complottiste, che trascina il cugino Don in un’impresa folle: rapire Michelle Fuller (Emma Stone), spietata CEO di una multinazionale, convinto che sia in realtà un’aliena pronta a sterminare l’umanità.

Il titolo richiama il mito virgiliano della “bugonia”, la nascita delle api da un corpo in decomposizione: un’immagine potente che trasforma il film in una riflessione sulla possibilità di rigenerazione. Lanthimos usa questo simbolo per scavare tra ansie collettive e derive del presente: dall’infodemia di fake news al conflitto sociale, dalle paranoie digitali al potere incontrollato delle élite.

L’impianto visivo amplifica la sensazione di spaesamento: la fotografia di Robbie Ryan gioca con contrasti netti, la scenografia accentua il senso di claustrofobia e la regia alterna registri comici e tragici senza soluzione di continuità. Ne risulta un’opera destabilizzante, che dietro l’assurdo teatrale cela un inquietante specchio del nostro tempo.

4. L’Étranger – François Ozon

François Ozon ritorna in concorso a Venezia con un adattamento elegante e meditato del capolavoro di Albert Camus. Girato interamente in bianco e nero, il film restituisce l’atmosfera rarefatta e sospesa del romanzo, dove il senso di estraneità e l’assurdo emergono con forza visiva.

Benjamin Voisin interpreta Meursault, un uomo la cui indifferenza di fronte alla morte della madre e all’omicidio che commette parla più di mille parole. Ozon lo rappresenta con intensità: il suo sguardo è imperturbabile, la sua presenza ipnotica, e la sua recitazione rende credibile l’apatia che Camus tratteggia con rigore esistenziale.

Il regista sceglie la distanza: le inquadrature statiche, i silenzi, i tempi dilatati raccontano senza enfasi, restituendo la radicalità dell’estraneità. Al contempo, il film non rinuncia a uno sguardo contemporaneo, ampliando la voce di alcuni personaggi, come Djemila, sorella dell’uomo ucciso, rendendo il contesto coloniale più presente sullo schermo.

Ozon ammette che ogni adattamento è una forma di tradimento artistico, ma considera il suo lavoro una riflessione attuale e personale: non una trasposizione filologica, ma un dialogo con il testo che tiene conto delle ferite ancora aperte della memoria coloniale francese.

5. Cover Up – Laura Poitras

La regista di Citizenfour esplora un nuovo caso di occultamento governativo legato alla sorveglianza digitale e alla manipolazione delle informazioni. Il film alterna testimonianze dirette e ricostruzioni documentarie, interrogando lo spettatore sul rapporto tra trasparenza e potere nelle democrazie contemporanee. Poitras, che aveva vinto il Leone d’Oro con All the Beauty and the Bloodshed (protagonista Nan Goldin) nel2022 conferma la sua capacità di trasformare il documentario in strumento di analisi politica e sociale.

 

The Last Viking, di Anders Thomas Jensen
The Last Viking, di Anders Thomas Jensen
6. The Last Viking – Anders Thomas Jensen

In questa commedia nera, un rapinatore di banche appena uscito di prigione cerca di far recuperare la memoria al fratello maggiore, affetto da disturbo dissociativo dell’identità, l’unico a sapere dove è sepolta la refurtiva. Interpretato da Mads Mikkelsen e Nikolaj Lie Kaas, il film esplora temi come identità, autostima e la lotta per essere accettati, sia che ci si creda vichinghi o John Lennon. Presentato in anteprima mondiale fuori concorso il 30 agosto 2025, alterna comicità e riflessione sulla memoria e sul cambiamento. Ha fatto morire tutti dalle risate.

7. Ghost Elephants – Werner Herzog

Il nuovo documentario di Herzog segue la decennale ricerca del Dr. Steve Boyes, che da dieci anni tenta di rintracciare un misterioso branco di “elefanti fantasma” sulle montagne dell’Angola, un altopiano vasto quanto l’Inghilterra e quasi disabitato. Insieme a un gruppo di esperti e alle guide originarie della Namibia – tra i pochi tracciatori rimasti al mondo – Boyes si muove in territori remoti, inseguendo un enigma che sembra appartenere più al mito che alla realtà. La domanda che attraversa il film è disarmante: non sarebbe forse meglio lasciare questi elefanti come presenze immaginate, come spettri, come una balena bianca, piuttosto che catturarne l’immagine concreta?

Herzog descrive l’opera come una caccia a Moby Dick, un viaggio tra sogno e immaginazione in dialogo con la realtà. Il film esplora la tensione tra il bisogno umano di conoscere e il desiderio di conservare il mistero. Ancora una volta, il regista conduce lo spettatore in una “Terra ai confini del mondo”, dove il cinema si fa strumento di riflessione poetica sulla natura, sulla memoria e sull’invisibile.

 

Ghost Elephants, di Werner Herzog
Ghost Elephants, di Werner Herzog
8. Silent Friend – Ildikó Enyedi

Girato tra Germania, Francia e Ungheria, Silent Friend è un’opera di grande respiro filosofico che intreccia tre epoche diverse – 1908, 1972 e 2020 – attraverso lo sguardo di un albero di ginkgo biloba, testimone silenzioso della storia e della vita umana. Nel primo segmento, la prima donna ammessa all’università osserva la vita vegetale e, con la fotografia, scopre pattern invisibili all’occhio nudo. Nel 1972, una giovane studentessa sperimenta un legame profondo con un semplice geranio, mentre nel presente una neuroscienziata di Hong Kong mette alla prova il confine tra scienza e spiritualità con un esperimento inatteso.

Enyedi struttura il film come un trittico, girando ciascun capitolo con supporti diversi – 35 mm, 16 mm e digitale – per sottolineare la distanza temporale e la continuità del rapporto tra uomo e natura. Con un cast che include Tony Leung Chiu-wai, Léa Seydoux e Luna Wedler, il film si impone come una delle opere più raffinate del concorso. Esempio di cinema che invita lo spettatore a rallentare, con Silent Friend Enyedi di trasforma il silenzio in linguaggio universale e contemplativo, offrendo un’esperienza poetica che dialoga con la memoria, la scienza e il mistero del vivente.

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