“La vita è sorprendente e sfugge al nostro controllo. E la gran parte delle volte è per un destino migliore di quello che avevamo immaginato”. Così esordisce in un suo scritto Paolo Maggis, artista di spicco del panorama italiano ed europeo, forse pensando alla sua di vita, spesa nell’arte e nella totale libertà di giocare con essa, in un susseguirsi di stimoli e sperimentazioni che l’hanno portato ad essere definito dalla critica “la nuova figurazione italiana”.
Classe 1978 e laureato all’Accademia di Brera, Paolo Maggis dà il via alla sua carriera espositiva nel 2000 a Milano, riscuotendo un immediato successo. Dopo anni spesi all’estero – prima a Berlino e poi a Barcellona –, durante i quali ha sviluppato e maturato il suo tratto artistico e il suo approccio all’arte, Maggis fa ora ritorno in Italia, orgoglioso delle sue origini e convinto che il nostro Paese debba ripartire proprio dall’arte e dalla cultura. E così a pochi giorni dall’inaugurazione della sua mostra a Caserta presso il Museo d’Arte Contemporanea, abbiamo incontrato l’artista per parlare del suo lavoro e dei suoi progetti futuri.
Dalla sua prima mostra nel 2000 ad oggi: come racconti questi anni?
È stato come un un sogno, rapido, sfocato, indefinito, magico. Quando vivi nell’istante sembra essere diverso, sembra che quel momento rimarrà indelebilmente com’è e invece, con il passare del tempo e degli anni il suo ricordo si fa lontano e fumoso. Rimane solo ciò che conta. Son stati anni intensi, vissuti fino all’ultimo secondo. Un succedersi di cose meravigliose ed odiose, anni pieni di contrasti, di certezze e poi insicurezze per trovare nuovi appigli e nuove fondamenta. È per me difficile raccontarli, perché non saprei ricostruirli. Quello che so è che, nonostante la frustrazione che questo lavoro comporta, sono stato molto felice. Ho raggiunto mete che non pensavo di raggiungere, sono cresciuto umanamente e spiritualmente. il mio lavoro è cambiato, si è trasformato fino ad avere autonomia propria ed essere quello che è: felicemente libero.
Amico e discepolo di Frangi e Testori: cosa hai imparato dalla loro arte e dalla loro vicinanza?
Quello che so di Tesori è quello che mi hanno trasmesso Giovanni Frangi, il fratello Giuseppe e Luca Doninelli.
Io ho vissuto le conseguenze di Testori, che sono appunto queste persone meravigliose che mi hanno dato fiducia e dalle quali ho imparato molto.
Giovanni nella mia vita è stato l’evidenza di una possibilità: la possibilità di essere artista e vivere di quello. Avevo diciannove anni quando l’ho conosciuto; entrare nel suo studio fu come un’illuminazione.
Vivi e hai vissuto all’estero: come rapporti la realtà artistica italiana agli scenari tedeschi e spagnoli?Quando vivevo in Italia avevo solo occhi per quello che avveniva fuori, ora che vivo fuori ed ho visto come funziona il meccanismo torno a guardare in Italia. Innanzitutto perché l’Italia è un paese ricco di arte e di grandi artisti che non hanno nulla a che invidiare a molti consacrati dello star-system; in secondo luogo perché, seppur la cultura nel nostro paese soffra di una situazione statica, sono cosciente di essere profondamente, intimamente italiano e che questa identità non solo va rispettata, ma conservata e deve tornare ad essere il nostro punto di forza.
A Barcellona hai condiviso lo studio con il regista e artista Bigas Luna: come ha influito questa esperienza su di te e sulla tua arte?
Conoscere Bigas è stata una delle cose più belle che mi sia capitata. Ovviamente dopo mia moglie! Bigas mi ha cambiato la vita, nel senso che me l’ha fatta vedere ed amare sotto un’altra prospettiva. Ha rimesso le cose a posto, ristabilito degli ordini di priorità e mi ha aiutato affinché riacquistassi la libertà nei confronti del mio lavoro come della mia vita. Molte delle cose che facciamo le facciamo per dovere, per condizionamento, per far piacere, per poter entrare, per poter essere accettati ecc.. Bigas ha preso tutte queste strutture e le ha demolite lasciando come solo ed unico punto di forza l’esercizio della propria libertà. E lo ha fatto probabilmente senza nemmeno saperlo, lo ha fatto con la sua vita, la sua gentilezza, la sua immensa generosità e gratitudine.
Il lavoro ne è uscito stravolto, rigenerato. Liberato dalle strutture acquisite negli anni berlinesi, liberato dai quei codici grammaticali che lo soffocavano.
Cos’è per te l’arte? E cosa significa essere artista oggi?
Per me l’arte è l’espressione manuale di qualcosa che uno “pensa”. Per pensiero intendo la capacità di raccontare ed interpretare la realtà; l’azione del pensiero che diventa narrazione.
Nell’arte vi è un narratore ed un fruitore e l’arte è la capacità di coinvolgere attraverso il racconto, rendendo il fruitore compartecipe di emozioni, pensieri, sentimenti. Il coinvolgimento dipende dalla capacità di convinzione del narratore. Dipende se quello che stai raccontando l’hai veramente vissuto e porta con sé qualcosa di profondamente vero.
La comunicazione di questa verità a cui solo l’arte può accedere (e quindi comunicare) è l’espressione di un rapporto. Ed il fenomeno artistico avviene quando varie persone si riconosco in questa verità.
Oggi cosa significa non lo so bene, so cosa dovrebbe significare e cioè tornare a vivere e comunicare le proprie verità con convinzione, senza paure e senza padroni. Citando un amico collezionista “in barba anche al sistema”.
I tuoi quadri sono visioni di un mondo onirico o ricordi appena tratteggiati, con una predilezione per l’essere umano: da dove nasce l’ispirazione?
L’ispirazione nasce dal mio pensiero. Le cose che vedo, che vivo, che sogno si sedimentano nella testa e rimangono lí alcune solo per attimi ed altre per anni. Quando riesco le trascrivo su dei fogli facendo delle liste più o meno illeggibili e poi, magari appunto dopo molto tempo, cerco dei punti di riferimento per ricostruirle nei miei quadri. Un esempio il quadro “Lymph, 2013” che rappresenta un cane nero morto sventrato. È un fatto che fa parte della mia memoria infantile… Ero molto piccolo, a Brusson in Val d’Aosta, e al tornare da una gita ci trovammo il sentiero bloccato da questa scena. È una immagine che ho sempre portato con me. E poi qualche mese fa ho fatto delle foto ai miei cani e ho ricostruito il ricordo.
Quale messaggio speri giunga all’osservatore?
Nessun messaggio prestabilito! Io spero che gli arrivi tutta l’energia possibile, che gli arrivi un concentrato di vita. Che l’opera possa e livello emotivo come intellettuale entrare in una relazione empatica con lo spettatore e se possibile stimolarlo e sconvolgerlo. L’arte cambia la vita, la rende migliore. Io non mi potrei immaginare senza arte, musica e letteratura… I momenti più belli della mia vita li ho vissuti solo perché son riuscito a riconoscerli mentre arrivavano… e molto del merito lo devo alla cultura, a quella cultura che mi ha aperto gli occhi sulla realtà e mi ha reso capace di apprezzarla.
Come nascono (tecnicamente parlando) le tue opere?
Nascono appunto da collage di immagini, disegni, scritte che diventano forma su tela a volte definita ed a volte totalmente abbozzata. E poi via pennellata su pennellata con spesso dei giorni di riposo per poi tornare ad intervenire fino a che l’opera non “scatta”… e qui bisogna che mi fermi, aspetti e veda se devo dare gli ultimi tocchi o non ce n’è bisogno. Quando provo a continuare generalmente rovino tutto.
A breve inaugurerà la tua nuova mostra al Museo Arte Contemporanea Caserta dal titolo “Io esisto”. Esporrà un nuovo ciclo di 15 opere, e tutto ruoterà intorno al tema della linfa vitale. Cos’è per te linfa vitale?
La linfa vitale rappresenta per me quell’energia che fa muovere le cose, che le anima dal profondo e le rende opportunità per il cosmo. Ha a che vedere direttamente con la germinazione e generazione. Non solo quella meccanica di un frutto su un albero, ma anche quella legata al pensiero creativo, emotivo ed intellettivo. La linfa è quell’elemento che ci rende produttivi e riproduttivi nel senso positivo e vitale del dare (gratuito), quindi generare, trasmettere, comunicare. Quando scrivo queste parole immagino i campi al sole di Tarragona: dove crescono le piante affondando le loro radici nella terra brulla ed argillosa. Riporto alla mente quei colori, quei gialli, quelle terre ocra e rosse… insomma, tutto quel brulicare di vita, quel concerto di pulsioni, desideri e colori.
ma se hai sfrondato tutto ”l’inutile,, perchè dipingi cose così tristi ? Il quadro con quel cane è di una tristezza sconvolgente. Sono una pittrice