«Io perdono, ma non dimentico», ha detto Joseph Sepp Blatter subito dopo essere stato rieletto per l’ennesima volta presidente della Fifa, l’organizzazione mondiale del calcio, appena travolta da uno scandalo senza fine.
Una bella bordata a Platini, che aveva chiesto le sue dimissioni. Neanche lui, però, è molto facile da dimenticare.
Blatter è uno di quei grandi vecchi immarcescibili che più passano gli anni più si attaccano alle poltrone, come se fosse una questione di vita e morte, da Berlusconi a Bernie Ecclestone, una lunga sfilza di quasi ottuagenari che rottamano loro i figli piuttosto che mollare qualcosa.
Anche Massimo D’Alema lo vedo molto bene in prospettiva: ha tempo per diventare il migliore, pure in questa classifica. Ha dovuto arrendersi invece Dominique Strauss Kahn, un altro che avrebbe fatto la sua bella figura in questo clan esclusivo. Purtroppo è inciampato malamente in una cameriera.
Le altre grandi star, Silvio, Bernie e Joseph, hanno parecchie cose in comune, a parte l’età: l’ossessione per il sesso, ad esempio, e le donne molto più giovani. Dev’essere un vizio del potere. Se non rinunci a uno, ti resta attaccato pure l’altro?
Sepp Blatter è della classe 1936, nato in una modesta casa, con le mura sbrecciate e un po’ ingrigite dall’umidità, a Visp, Zurigo, in Svizzera, dove adesso ha una sontuosa villa con il parco e tutti i suoi uffici. Suo padre era un meccanico della biciletta, e lui da adolescente cantava ai matrimoni, o faceva il cameriere nelle zone sciistiche più esclusive per pagarsi tutti quegli extra che i suoi genitori non sarebbero mai stati in grado di offrirgli. Era ambizioso e determinato.
Che sapeva già bene quel che voleva, lo si capisce meglio dagli studi: forse non è un caso che si sia laureato alla scuola di business affiliata all’Università di Losanna. Adesso l’abbiamo capito tutti perché è così bravo in affari. Diventa pure giornalista e PR.
Gioca a calcio, centravanti in una squadretta della Terza Divisione svizzera. Con il pallone la carriera non la fa sul campo, ma dietro la scrivania. Parla 5 lingue: tedesco, francese, inglese, italiano e spagnolo. Grazie a queste sue capacità lavora nei comitati organizzatori delle Olimpiadi del 1972 e ‘76. E’ cominciata la scalata. Nel 1977, a 41 anni, entra nella Fifa.
Nel 1981 diventa segretario generale, all’ombra di un altro grande vecchio dello sport, Joao Havelange: fa effetto dirlo adesso, ma Sepp è un giovane rampante. Non brucia le tappe, perché davanti ce n’è un altro come lui, che non molla mai.
Nel 1998, però, comincia l’era Blatter, da presidente della Fifa, e su qualche giornale inglese scrivono che forse sono già girate delle mazzette per quelle elezioni. Ma non ci sono prove. Di fatto, lui, nel suo impero, modifica il gioco del calcio in mille modi, anche modernizzandolo. Poi lo porta in giro per il mondo, nel 1994 in Usa e 2010 in Sudafrica, nel 2018 andrà in Russia e nel 2022 in Qatar. E’ un dittatore che non ama perdere.
A Berlino, 2006, si rifiuta di consegnare la Coppa del Mondo alla nostra Nazionale. Agli ultimi mondiali del Brasile, invece, era vietato riprenderlo in qualsiasi modo, perché Sepp è troppo previdente: temeva che la sua immagine finisse su qualche maxischermo e poi fosse coperta dai fischi.
Il suo motto è sempre stato lo stesso: «Il potere va conquistato e difeso». Difatti. Il vero problema è conquistarlo a quelli come lui.
Fuori dalla stanza dei bottoni, gli piace leggere. Ha una grande passione per i libri gialli e di spionaggio. Ama il buon vino, le belle donne e il lusso. Va in trasferta solo nei migliori alberghi del mondo.
Diciamo che non si muove mai a caso. E dice senza arrossire che nessuno ha mai cercato di corromperlo: «Sarebbe controproducente: accetto solo bottiglie di vino grande marca. Brunello di Montalcino e Bordeaux».
Una volta disse che «le donne dovrebbero portare divise più aderenti», durante le manifestazioni sportive. Il calcio femminile se ne avvantaggerebbe, aggiunse poi. Anche i maniaci. Lui non avrebbe di questi problemi. Scrivono i giornali inglesi che ha una donna per ogni città. Se Berlusconi le fa venire ad Arcore, lui le va a trovare. Due modi diversi di intendere la vita. Ha sposato Liliane Biner, da cui ha avuto una figlia, Corinne. Poi, invecchiando, ha cominciato a collezionare donne più giovani.
Il suo segreto comunque è il potere. Con lui la Fifa è diventata un territorio feudale. E’ alla quinta rielezione, e il grande scandalo non l’ha neppure scalfito. Nel 2007 vinse per acclamazione, nel 2011 era l’unico candidato, e nel 2015 il suo rivale ha dovuto ritirarsi dopo il primo turno.
Il segreto del successo? I soldi. Leggendo il Fifa Financial report 2014 si evince che la Fifa ha fatturato la cifra record di 5,7 miliardi di dollari, un incremento del 37 per centi rispetto al quadriennio precedente. Le riserve bancarie sono salite a 1,5 miliardi di dollari: 10 per cento in più.
A fronte di 5,7 miliardi di guadagno ce ne sono 5,38 di spese e un miliardo di questi viene messo nei «progetti di sviluppo», fra cui, tanto per capirci, 2 milioni a Jack Webb, uno dei suoi vicepresidenti arrestati, «per migliorare il calcio nelle isole Cayman», un paesino di 56 mila abitanti il cui voto per l’elezione del presidente della Fifa, però, vale quello dell’America.
Poi ci sono i soldi per le spese di trasferta, per i collaboratori e soprattutto per i lauti stipendi dei 25 membri del Comitato Esecutivo. Secondo David Jones del Daily Mail, quello del grande Sepp ammonta a due milioni di sterline all’anno.
Alla fine non serve farsi troppe illusioni. Se noi non amiamo troppo il potere, lui – il potere – ama invece moltissimo i suoi adoratori. Vale per tutte le cose della vita. Noi resteremo sempre a guardare. Il potere lo batte solo un altro potere. Sperando che sia meglio di quello prima.