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Vergogna Italia. In fondo alla classifica Eurostat per spesa pubblica per la cultura

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L’ultimo record di questo nostro strano Paese ce l’ha certificato l’Eurostat, che monitora le spese dei governi dell’Unione Europea: l’Italia è in fondo alla classifica per la spesa pubblica destinata all’educazione (il 7,9 delle uscite totali rispetto a una media del 10,2 delle altre nazioni) e al penultimo posto per la cultura (1,4 contro il 2,1).

Il fatto è che questo poco felice primato si accompagna a un altro record, che è proprio quello del nostro patrimonio artistico, che annovera cinquemila musei, monumenti e aree archeologiche, con 49 siti Unesco, come nessun’altro mondo, tanto da rendere inspiegabile tutto questo.

O forse una spiegazione c’è: è inutile cercare di capire. Siamo così. Rassegnamoci: pensiamo che la cultura non serva.

Il paradosso è che, nonostante i nostri politici da Giulio Tremonti in giù si siano ormai tutti adeguati alla massima dell’ex ministro dell’economia che «la cultura non dà da mangiare», invece sia proprio vero il contrario.

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photo: Altan



Secondo il ministero dei beni e delle attività culturali (Mibac), nel 2011 la spesa dei turisti stranieri per la cultura è ammontata al 32,6 per cento del totale sborsato da chi viene in vacanza da noi, pari a 103,7 milioni entrati nelle nostre casse asfittiche, senza che contare che tutto il settore ha prodotto un valore aggiunto di 80,8 miliardi di euro, cioé il 5,8 per cento dell’economia nazionale.

Come a dire che forse sarebbe meglio ripensarci bene sopra e rifare alcuni calcoli.

Solo che a sfogliare numeri e dati, si finisce per affondare nello sconforto. E’ che vero che abbiamo 5mila tra musei, monumenti e aree archeologiche come nessun’altro al mondo, ma quanti di questi funzionano e rendono veramente?

La palma delle visite spetta al Colosseo, secondo le ultime cifre conosciute che si rifersicono al 2013: 5,2 milioni di visitatori e 37,4 milioni di incasso. Segue Pompei, con tutti i suoi ben noti problemi e disservizi: 2,3 milioni di persone e 19,2 milioni di euro entrati.

Colosseo

Poi ci sono gli Uffizi: 1,8 milioni per 8,7 milioni di euro. I 202 musei e le 221 aree archelogiche hanno accolto 36,4 milioni di visitatori per 113,3 milioni in euro, più 6,1 milioni per i servizi ausiliari. Non sono pochi, ma non illudetevi che siano tanti. Anzi.

Solo a Versailles, gli incassi dello stesso anno ammontano a 58 milioni di euro, più quindici per i servizi ausiliari, più sedici in donazioni, più altri undici da voci varie per un totale che arriva a cento milioni di euro. Un solo museo in Francia fa più di tutto quello che noi facciamo con i nostri meravigliosi record.

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Ma il Louvre nel 2012 aveva appena ricevuto la bellezza di 116 milioni di sovvenzioni statali. E noi? Noi tagliamo, ogni anno qualcosina di più. E tagliamo tutto, spettacoli, mostre, cinema, personale, tutto. Senza contare che già così le cose funzionano poco e molto male, come se tutto quello che riguarda la cultura fosse lasciato a se stesso, senza una logica e un programma, e senza nessuna organizzazione.

Da noi 204 tra siti e musei sono gratuiti (11,6 milioni di visitatori nel 2012) e nei 219 a pagamento ben 8,7 milioni di persone sono entrate gratis. In un articolo del Fatto veniva citato un esempio signficativo: «in provincia di Piacenza l’area archeologica di Lugagnano Val D’Arda è stata visitata in un anno da 11.412 clienti. Ma solo 489 hanno pagato il biglietto».

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Nel frattempo, il bilancio dei beni culturali è passato dai 2,7 miliardi del 2001 (lo 0,37 per cento delbilancio totale dello Stato) all’1,5 nel 2013 (appena lo 0,2 per cento). Secondo il rapporto annuale datato 2013 di Federculture dal 2008 il settore culturale in Italia ha perso 1,3 miliardi tra risorse pubbliche e private. A tutto questo bisogna aggiungere che non è solo il governo centrale a passare con il machete sui fondi destinati alla cultura, ma che da qualche anno anche gli enti locali fanno purtroppo la loro parte, riducendo notevolmente con i Comuni e le Province questo tipo di investimenti.

La verità è che una politica saggia e previdente dovrebbe puntare sulla cultura e sull’industria creativa, come a un settore su cui investire per ricevere profitti. Si potrebbe cominciare scegliendo, dando cioé i soldi a quei beni culturali che sono redditizi, e poi aiutare la tecnologia e la ricerca. Se è vero che tutto questo ha un costo e richiede parecchio coraggio, è altrettanto vero che l’articolo 9 della Costituzione imporrebbe la tutela del patrimonio storico e artistico del nostro Paese.

Certo, ormai da noi gli articoli servono solo per accompagnare i sostantivi.
Però, prima o poi, qualcuno di noi dovrà rifletterci sopra: è un suicidio voltare le spalle alla nostra fortuna.
Alla faccia di Tremonti e dei suoi epigoni.

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