A Palazzo Roverella, una grande mostra celebra i quattro volti di un movimento che indagò l’angoscia che serpeggiava in Europa tra la fine dell’Ottocento e la Grande Guerra. A cura di Franco Parisi. A Palazzo Roverella, fino al 21 gennaio 2018. www.palazzoroverella.com
Rovigo. Nel clima teso e contraddittorio della Mitteleuropa di fine Ottocento, stretta fra l’ebbrezza della modernità e un’ineffabile angoscia per il futuro, anche la comunità artistica non poté evitare di interrogarsi sulla possibile nuova direzione da prendere, poiché i più sensibili fra i pittori, gli scrittori, i drammaturghi, avvertirono la necessità di nuovi mezzi espressivi per raccontare un presente difficile, incalzato da un lato dal progresso tecnologico e scientifico, e da un clima politico particolarmente caldo dall’altro; un viscerale antisemitismo serpeggia nel Vecchio Continente, rinverdito dall’affaire Dreyfus, la politica colonialista assoggetta senza scrupoli l’Africa e l’Asia, mentre la regione balcanica è terra di scontro per gli Imperi Centrali. In poche parole, si stanno gettando le basi per quell’instabilità politica e sociale che segnerà il secolo successivo, e nell’immediato porterà alla Prima Guerra Mondiale.
In mezzo, si formò un pensiero artistico radicalmente nuovo, che andava dalla letteratura alla pittura, ed ebbe i suoi centri principali nelle città di Monaco, Vienna, Praga, cui più tardi si aggiunse Roma, anche se con caratteri differenti. Eccezion fatta per l’Urbe, a Nord la corrente di pensiero dell’avanguardia risentiva del neopaganesimo di Friedrich Nietzsche, predicatore della morte di Dio, e propugnatore di una nuova presa di coscienza dell’individuo, di una necessità di rinnovare la società anche attraverso un suo radicale ripensamento. Gli artisti delle varie Secessioni, avvertendo la necessità di un cambiamento nell’arte, presero le distanze dall’accademia, chiarendo lo scopo già dal nome del movimento.
Secessione. Monaco Vienna Praga Roma. L’onda della modernità, ripercorre circa venti anni di storia dell’arte e del pensiero europeo, dal 1892 (anno di fondazione della Secessione di Monaco), alla Prima Guerra Mondiale. A caratterizzare, in linea generale, questi artisti, il ricorso a soggetti e temi del mito, dell’onirico, eroici o tragici, dove il lato del dolore supera quello del sentimento, spazzando via il sentire romantico e muovendosi verso un simbolismo crepuscolare, dalle atmosfere incerte, caratterizzate da una sensualità latente, così come da un impeto di violenza appena celato. La modernità aveva assunto il carattere di una forza dirompente, determinata a travolgere usi e costumi dalle radici millenarie, con una foga distruttrice che, in retrospettiva, ricorda quella dei rituali dionisiaci: l’uomo si sentì al pari di un nuovo Creatore, la scienza e la tecnologia sembravano poter risolvere qualsiasi difficoltà. Così non fu, o lo fu soltanto in parte, e al vuoto esistenziale si cercava di rispondere con la trasgressione. Fra gli artisti e gli intellettuali avviano a diffondersi i primi stupefacenti, assieme a un consumo di alcool sempre più elevato. Alla Belle Époque era succeduta una certa stanchezza, e l’arte cercava un modo per raccontare il nuovo sentire. La pittura quindi si distacca dal naturalismo che aveva caratterizzati, ad esempio, i Macchiaioli e gli Impressionisti, e si ammanta d’inquieto simbolismo, di metafore intellettuali e di ragionamento filosofico (un eccesso di autoreferenzialità sarà l’accusa che espressionisti come Richard Gerstl muoveranno ai “secessionisti”). Ma in quegli anni si avvertiva la necessità di una riflessione interiore, di un ripensamento di valori, o semplicemente di un modo per esternare inquietudini che erano familiari anche agli artisti stessi.
La Secessione, come spiega il nome, fu un movimento di rottura che non ebbe tuttavia carattere omogeneo, al contrario ebbe varie identità, adeguandosi, in un certo senso alle atmosfere culturali dei centri in cui sorse.
La prima costola del movimento nacque a Monaco di Baviera nel 1892, e includeva artisti come Franz von Stuck, Fritz Behn, Ludwig Dill, Thomas Theodor Heine, portatori di stili fra loro sensibilmente differenti. Se von Stuck era propugnatore di un raffinato simbolismo, Behn interpretava la scultura africana con stilemi classici, mentre Ludwig Dill risente in maniera sensibile dell’Impressionismo della Scuola di Barbizon, da lui apprezzata sin dalla giovinezza. A Vienna, la Secessione nacque nel 1897, ma già artisti come Gustav Klimt avevano lasciato intuire un nuovo corso artistico. Nella capitale austriaca, attorno a lui si radunarono Max Klinger, Egon Schiele, Koloman Moser, Josef Maria Auchentaller. Se a Monaco si guardava al misticismo (in particolare quello dei Rosacroce) e alla spiritualità, a Vienna la Secessione ebbe caratteri di astrattismo e razionalismo uniti a una frequentazione degli stilemi e delle atmosfere orientali, in particolare la pittura bizantina, con il largo uso della foglia oro per gli sfondi, e della tecnica del mosaico ravennate, molto apprezzato da Klimt.
A livello puramente estetico, l’indagine estetica dei pittori “secessionisti” si sofferma su volti pallidi e smunti, quasi fossero una riproposizione dei vari Trionfi della Morte di trecentesca memoria; la Signora con il cappello su sfondo rosso (1897-98) di Klimt, ha un volto così scavato e gli occhi infossati, tali da farla sembrare uno scheletro, o comunque un cadavere. Un po’ più in carne, ma glacialmente pallide, Le sorelle (1907), ancora di Klimt. E ancora, le atmosfere nebbiose degli Impressionisti (studi della variazione della luce su fenomeni atmosferici), divengono in von Stuck metafore di smarrimento morale, di incertezza del futuro, come le nebbie del tempo che avvolgono l’isola dove Shakespeare ambienta le vicende de La tempesta. E la psiche, i suoi strati più profondi, gli istinti primordiali come il sesso, l’estasi dei sensi, ma anche la continua presenza della Morte, furono le tematiche del movimento. Che riuscì a ramificarsi anche nell’Europa Orientale, e più esattamente a Praga, importante centro economico e culturale dell’Impero Asburgico. L’impulso lo dette la personale che Edvard Munch vi tenne nel 1905, con il suo espressionismo dalla forte valenza psicologica. Nacque così nel 1910 il movimento Sursum, composto da Emil Pacovský, Josef Váchal, František Kobliha, Jan Zrzavý, Jan Konůpek; la loro pittura, così come le incisioni, si rifacevano a una pluralità di stili, dall’espressionismo di Váchal al simbolismo di Kobliha. Tuttavia, nella Praga conservatrice dell’epoca, il movimento ebbe scarsissimo successo critico, e si sciolse appena due anni dopo, anche se ognuno degli ex membri continuò la carriera artistica. Poco apprezzati al momento, e rivalutati soltanto alcuni decenni più tardi, i “secessionisti” cechi portarono nel Paese un’ondata di novità pittorica, ma soprattutto nell’incisione xilografica, il cui bianco e nero acuiva le cupe atmosfere dei soggetti; ricorrente il richiamo alla mitologia greca (in chiave dionisiaca), e a quegli episodi biblici più ambigui, come la vicenda di Salomè, ma anche il mito della Sfinge, e le leggende medievali.
Monaco, Vienna, Praga, un triangolo artistico accomunato da un paradossale binomio di modernità stilistica e antichità della rilettura della realtà, nel senso che invece di confrontarsi con un’aderente pittura della quotidianità, la Secessione la rilegge in chiave metaforica, ne indaga le paure del presente ricercandole nella sfera religiosa, mistica, esoterica del passato.
La Secessione fu anche movimento di design, e sviluppò raffinatissime soluzioni estetiche per l’oggettistica, dai portasigarette alle tazzine da caffè, dai vasi alle poltrone per le sale di ricchi borghesi. Si tratta tuttavia di oggetti dalla bellezza opprimente, inquietante, pronta a trasformarsi in un insetto mostruoso, un po’ come accade al corpo sfigurato di Nana, uccisa dal vaiolo che si riversa dalle viscere come fosse il veleno succhiato da quella Venere fatale, e che adesso ne deturpa la bellezza. E a ben guardare, qualcosa di simile è accaduto all’Europa della Belle Époque, dissoltasi nel carnaio della Grande Guerra, dopo trent’anni di eccessi e splendori.
Un capitolo a sé stante lo costituisce la Secessione Romana. Pur situata a mezzogiorno della Mitteleuropa, l’Urbe riuscì tuttavia a sviluppare la sua costola del movimento nel 1912; già da tre anni, a seguito della roboante nascita del Futurismo, si avvertiva nell’ambiente artistico italiano la necessità di un rinnovamento; Felice Casorati, Plinio Nomellini, Mario Cavaglieri, Giacomo Balla (poi “trasferitosi” in seno al Futurismo), furono gli interpreti più acuti della modernità italiana, di quella café society tanto bene raccontata da Alberto Moravia ne Gli indifferenti. Fortemente legata all’iconografia della donna, la Secessione italiana la ritrae nella sua quotidianità, sia essa della raffinatezza borghese, sia, più raramente, in quella popolare. Resta comunque distante la cupa simbologia mitologica di Monaco, Vienna e Praga, che non trovavano eco in una città come Roma, la cui severità era temprata da un’aura di mediterranea solarità. La stessa Italia, pur agitata da tensioni sociali nel mondo del lavoro, e da agitazioni di stampo anarco-socialista, non viveva la crisi di coscienza di Austria e Germania, per tutta una serie di vicissitudini storiche e sociali in parte già affrontate a proposito di Caravaggio. In comune con le altre Secessioni, quella italiana ebbe comunque l’eterogeneità stilistica, dal divisionismo di Nomellini, approdato poi al Simbolismo, fino all’espressionismo di Cavaglieri e al “primitivismo” (anticipando il “ritorno all’ordine” di Soffici), di Ferruccio Ferrazzi. Per il suo carattere più spiccatamente mondano, la Secessione Romana non possedé l’afflato di quelle nordiche, ma espresse comunque talenti d’indiscutibile valore, uno su tutti Casorati, a cui si affianca Lorenzo Viani, probabilmente gli unici veri “secessionisti” non solo nello stile, ma anche e soprattutto nella personalità.
La mostra di Rovigo costituisce un’importante occasione per conoscere o approfondire i molteplici volti della Secessione, e per ricostruire un periodo storico cruciale per il futuro dell’Europa.