Dopo pochi giorni dall’insediamento del nuovo Ministro della Cultura, una intervista rilasciata da un interlocutore istituzionale interno al MIBACT ha chiarito, da subito, quale fosse la posizione degli interni del ministero.
Intervista che è insieme strategica e utile, perché schierandosi apertamente permette anche a chi governa quali possano essere le posizioni che verranno più facilmente accolte e quali invece verranno decisamente contrastate.
Al di là delle valenze politiche delle riflessioni riportate, ci sono alcuni punti generali che meritano una più approfondita riflessione.
La prima riflessione è che lo status quo è anche più forte dello status quo ante posizione che si traduce in una difesa della Riforma Franceschini il cui annullamento viene evocato come elemento sicuramente negativo.
Fermo restando che questa posizione possa essere o meno condivisa, fa un po’ sorridere vedere come l’avversione al rischio e alle ambiguità (elemento ampiamente analizzato in economia) faccia difendere una condizione che soltanto alcuni mesi fa veniva ampiamente criticata da tutti gli interpreti del settore culturale.
Ma questo è un en passant.
Il tema che forse merita una riflessione più approfondita è legato alle indicazioni alternative fornite nell’articolo: la Riforma non si tocca, vanno però apportate delle modifiche “ragionate”. Anche questa posizione, in linea generale, è perfettamente condivisibile.
Meno condivisibile è invece la delineazione delle potenziali migliorie che si propone di attuare e che si traducono (con eleganza) semplicemente in maggiore spesa pubblica.
Nell’articolo si cita infatti il tema della logistica, e su che cosa si intenda per logistica viene esplicitato immediatamente dopo (le vecchie Soprintendenze avevano sedi distinte) e che si traduce nella realizzazione di nuove sedi che siano in grado di “accorpare” il personale di tutte le sedi precedenti; si parla di risorse umane: il piano assunzioni del precedente ministro è stato un passo, ma i vincoli pubblici non permettono ulteriori assunzioni e molto del personale andrà in pensione nel prossimo biennio; ci sono i temi dei depositi archeologici (trovare locali da adattare a “depositi archeologici” specifici).
Meglio chiarire: ad essere poco condivisibili non sono le “richieste” da parte dell’istituzione, ma l’assenza di soluzioni “economicamente sostenibili” e soprattutto, l’assenza di un discorso di “razionalizzazione” della Spesa pubblica, adozione di standard qualitativi e quantitativi condivisi, semplificazione dei procedimenti amministrativi, maggiore chiarezza regolamentale, maggiore razionalizzazione dei flussi di lavoro, ecc.
Quello che è poco condivisibile, in altre parole, è un atteggiamento che confonde il “bene comune” dal “bene pubblico (inteso in senso amministrativo)”. Se un responsabile del MIBACT non inserisce all’interno dei propri desiderata azioni che riguardano esclusivamente le esigenze del Ministero piuttosto che dei cittadini, si perde quel senso di mandato, e si rischia di perdere di vista che il Ministero è un’organizzazione funzionale al miglioramento delle condizioni della Cultura e del Turismo.
È opportuno ricordare, anzi, non dimenticare, che il Ministero non è il fine ma il mezzo.
va bene non sarà un nome che mette tutti d’accordo. Almeno però così il padiglione Italia della Biennale è affidato a uno serio e che si è dato da fare anche all’estero mica come il primo Trione che capita. Tanto preppy e niente arrosto.
Milovan for President!