La mostra “Collecting Matta-Clark. La raccolta Berg | Opere, documenti e ephemera” proposta dalla prestigiosa Accademia di San Luca a Roma fino al 25 febbraio, documenta la passione/ossessione del collezionista Harold Berg – cileno residente a Barcellona – per la singolare attività di Gordon Matta-Clark (New York, 1943-1978).
Berg è venuto a conoscenza di Gordon Matta-Clark qualche decennio dopo la morte prematura dell’artista. E’ il James Dean dell’arte contemporanea, osserva. Un’attività creativa effimera, affidata all’impermanenza del momento performativo ed alla dinamica processuale del fare arte. Di cui non restano, a testimonianza, che lacerti, spoglie, frammenti residuali.
La collezione Berg – ne vediamo una silloge in mostra – si compone infatti di numerose sequenze fotografiche, filmati, disegni, qualche taccuino ed altri piccoli cimeli. Gordon Matta-Clark era figlio del pittore surrealista e architetto Sebastian Matta (e fratello, quindi, del più noto, almeno in Italia, Pablo Echaurren, accademico di San Luca). Aveva fatto studi di architettura ed aveva un fratello gemello, Batan, anch’egli artista, morto tragicamente due anni prima di lui. Fu uno degli animatori di SoHo (acronimo di South of Houston street) un piccolo quartiere che, negli anni settanta, fu meta e riferimento degli artisti newyorkesi e non solo. Qualche nome: Vito Acconci, Joan Jonas, Philip Glass, Richard Nonas, Trisha Brown, Robert Wilson.
A SoHo il giovane Gordon dette vita al gruppo di ricerca Anarchitecture e, con la sua compagna, la danzatrice Carol Goodden, aprì il celebre ristorante FOOD, ancora oggi vivissimo nel ricordo di chi ha vissuto quegli intensi anni di follia creativa. Ricorda lo scultore Richard Nonas: “Abbiamo giocato con l’arte come un gatto gioca con un gomitolo di spago. Abbiamo giocato perché era il modo più immediato e più serio che conoscevamo per capire, per comunicare, per esistere…Arte e vita erano fuse insieme…”. Visioniamo due filmati dell’epoca che documentano l’azione “teatrale” di Matta-Clark, Splitting (1974) e Conical Intersect (1975).
Il suo interesse precipuo era evidentemente rivolto all’architettura ma in un forma apparentemente distruttiva. Aggrediva l’edificio trascelto provocandone violente modificazioni strutturali mediante fenditure, scavi, sezionamenti, dislocazioni, tagli. Dentro, fuori, sotto, sopra diventavano così riferimenti precari: non più scontate convenzioni spaziali ma coordinate incognite vincolate ad un progetto artistico. E l’originaria connotazione funzionale del manufatto recedeva dando spazio al processo plateale di una scultura in fieri.
Un’operazione dalla valenza estetica ed insieme, metaforicamente, politica (un binomio che, in quei tempi, da più parti, si riteneva inscindibile). Riflettendo sulla mostra, sul corposo catalogo, sui video proposti da youtube ci è sorta, spontanea, una domanda: la caratteristica azione sugli edifici (tagli, scavi etc…) potrebbe forse avere un nesso con la ricerca spaziale di Lucio Fontana che l’artista potrebbe aver conosciuto, anche indirettamente, tramite suo padre? Lo abbiamo chiesto a Pablo Echaurren che ci ha, molto generosamente, risposto:
“Penso che l’accostamento con Fontana sia pertinente ma dal punto di vista poetico, di coincidenza poetica più che di nesso cognitivo. In Gordon l’architettura è tutto: trasformare la struttura relazionale e abitativa sono il fine, non si tratta di un fatto puramente visivo. Non si tratta del taglio dell’occhio di Buñuel e Dalì (anch’esso pertinente). E poi, nostro padre non era certo tipo da parlare di altri artisti con i figli o con nessun altro. Era molto incentrato su di sé. Io -tanto per dirne una- ho appreso dell’esistenza di Duchamp da Baruchello quando avevo 17 anni. Da mio padre mai una parola, un accenno. Eppure…”.
Informazioni utili
Collecting Matta-Clark. La raccolta Berg | Opere, documenti e ephemera
14 dicembre 2018 – 25 febbraio 2019
Accademia Nazionale di San Luca, Piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma
Tel. 06 679 8850
segreteria@accademiasanluca.it
*Nella prima immagine: OfficeBaroque, 1977. Courtesy Harold Berg