Terzigno (Napoli). E’ la galleria Fonti che, in collaborazione con il Museo Emblema, ospita nuovamente la produzione artistica di Salvatore Emblema (1929-2006), spaziando dagli anni ’50 fino agli anni ’80 del secolo scorso. L’appendice degli spazi museali propone il risultato di una ricerca evolutiva dei mezzi espressivi dell’artista. Il poliedrico Emblema, nonostante il multiforme approccio alla materia artistica, è sempre stato fedele alla sua liason con l’elemento naturale. L’esposizione, curata dal nipote dell’artista, scomparso nel 2006, indaga la mutevolezza nel tempo del modus operandi di Emblema, proponendo, infatti, opere pittoriche, scultoree e installative, discendenti ora da un atto costruttivo ora da un atto compositivo; tuttavia, in ognuna di esse, pur figlie di diversa genesi, mai vien tradito l’ideologico spirito che supporta il suo operare: “usare la natura per creare arte e non usare l’arte per sconvolgere la natura”.
Nel felice sposalizio tra verba e res, concetti e azione, celebrato da Emblema in tutta la sua carriera, si distinguono, quindi, le prime opere di tipo compositivo, come l’accogliente ritratto della moglie del 1965 eseguito con la tecnica della fullografia (ossia l’uso delle foglie avvizzite); a seguire lapilli su tavola lignea, frutto di un processo costruttivo, che accorpiamo tra gli “esperimenti materici”, laddove lo strumento si fa esso stesso soggetto dell’opera. Nel percorso espositivo dialogano, quindi, senza costrizioni, anche produzioni pittoriche o gestuali che segnano l’epilogo delle sperimentazioni dell’artista. Sono gli anni ’80 che rappresentano il momento di più evidente mutamento del registro stilistico: si assiste a una sorta di “controriforma pittorica”, come testimonia il grande “paesaggio panoramico”, così definito dal gallerista Giangi Fonti. L’opera è una sorta di indagine sul colore che, adagiato su tessitura di juta, tende all’annullamento del paesaggio stesso.
L’antologia dell’artista diventa, negli ultimi anni della sua produzione, impregnata di colori intensi. La pittura è fatta di luce e sensibilità cromatica e gestuale, tecnica sicuramente ereditata dagli espressionisti astratti con cui è venuto in contatto nella terra oltreoceano. La vicinanza a Pollock e a Rothko è stata determinante per il suo percorso poetico (in particolare per il ciclo delle tele nude incorniciate da fasce di colore), e della carriera da scenografo nei film di Fellini si son poi rinvenute le tracce nelle installazioni macro su territorio. Gli allestimenti ambientali di sapore minimalista hanno anticipato alcuni caratteri della Land Art: l’introduzione di maestose griglie che arrivano a 18 metri di estensione, di cui in esposizione vi è un modello, consentendo di osservare e percepire lo spazio modificato cromaticamente senza alterarne intensivamente i caratteri. Nelle vesti di una Penelope sperimentale, Emblema attraversa i territori della fase costruens, dis-intessendo la materia della tela e generando l’opera reticolare; successivamente, in un input assemblativo, una tessitura multipla orchestra una scenografia territoriale che si fa oltrepassare dal paesaggio: queste le cosiddette Trasparenze dei pieni anni ’70.
Tali soluzioni, assieme alle molteplici altre, svelano una grande intuizione di Emblema: è possibile dipingere il paesaggio con qualsiasi mezzo senza essere interventisti diretti sull’intorno.
Informazioni utili
Galleria Fonti
via Chiaia 229, Napoli
Fino al 26 Luglio 2019