Giovanni Gaggia e le sue riflessioni di artista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi
Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni artisti italiani lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Ecco il contributo di Giovanni Gaggia (1977)…
Arriverà la neve? Pagine di un diario
Spingere a guardarsi dentro, ricercare l’essenza, la verità. Come è possibile immaginarsi che qualcosa non cambi? Mutazione, evoluzione, adattamento. I pensieri sono molteplici: si appoggiano uno sull’altro casualmente, ma analizzandoli appare un ordine logico disarmante che segue pedissequamente gli accadimenti.
Sono a Casa Sponge, con me c’è Mattia, viviamo insieme da più di due anni. Una vita normale, un tempo speso regolarmente, tra il lavoro, le uscite, le visite, lo studio, gli amici, la famiglia, le classiche note che si appoggiano sullo spartito di tutti, nessuno escluso. Abbiamo scelto, io in verità da più di dieci anni, di vivere in campagna nelle colline dell’entroterra marchigiano, nella frazione di Mezzanotte, Pergola.
Mai nome poteva essere più opportuno per descrivere un segmento temporale. Oggi possiamo solo esplorare il tempo ed ogni suo sottoinsieme di significato. Nelle pause dalla tastiera, alzo gli occhi, sbircio dalla finestra: al di là del vetro vi è un ciliegio in fiore, il vento muove le sue fronde, le galline ora chiocciano. Riconosco oramai benissimo questo verso, stanno per concepire l’uovo. Non c’è un rumore estraneo, qui non si sente mai nulla, né ieri né oggi, probabilmente nemmeno domani. Noi però non siamo più gli stessi, Il nostro tempo non si scandisce più come prima.
La costante per noi è il rapporto con la natura. Ho scritto troppo spesso della sensazione di ritornare a casa, dopo una fiera o dopo una qualsiasi trasferta milanese o romana e ritrovare il mio silenzio, la mia volta celeste, o a maggio la costante delle lucciole. Rinunciare per conquistare. Non ho mai avuto paura di scrutarmi dentro, ora men che meno. Quando uso il verbo conquistare, intendo la meta di uno spazio interiore, un vuoto necessario per comprendere il mio cammino di uomo e di artista.
Pausa essenziale: il ciliegio è sempre lì con i suoi fiori, in questo momento i petali sono tutti fermi.
Le pietre della casa che ci accolgono, con il fianco scoperto e rivolto al vento, hanno visto la prima guerra, sentito la seconda, osservato il boom del cemento, subìto silenti l’abbandono. Accolto uomini e donne, contadini, fascisti, democratici, partigiani, viandanti, ora gli artisti, i turisti e gli intellettuali. Che bello sarebbe se potessero snocciolare l’archivio dei passaggi, uno ad uno da quella data impressa sulle mattonelle di cotto.
Questo è un racconto che si compone di giorno in giorno: è il mio diario, dove mi rivelo.
Oggi è il 23 marzo 2020, arriverà la neve?
La nostra quotidianità in questo tempo è mutata si è dilatata, amplificata; compiamo gesti che mai avremmo immaginato. Per 4 giorni abbiamo mantenuto un fuoco vivo, tentato di ardere tutte le tracce lasciate dall’autunno e poi dall’inverno. La sera si nascondeva, la mattina dalle sue ceneri si rigenerava ed io con ritualità chirurgica ho tentato ogni volta di lasciarmi alle spalle, gettandoli nelle sue fiamme, accadimenti non risolti. Ne ho arsi diversi. Il luogo dove qui bruciamo le sterpaglie è sempre lo stesso. Ricordo ancora una fascina che non volle ardere quando Laura Cionci stava per partire. Sarebbe poi dovuta ritornare per mettere in atto una ruota sciamanica. Non era il suo tempo, ne del fuoco tantomeno del suo rito.
Nello stesso triangolo di terra, un fuoco diverso: due anni fa per realizzare una fotografia che divenne l’immagine di una collettiva, racconto di un segmento di cammino di Casa Sponge e del suo lembo di marca bella. La mostra, voluta e progettata da Maria Savarese, si svolse a Milano in un luogo eclettico come la mia casa. Questa la similitudine, tante le differenze, però qui c’è ancora un cuore pulsante. Maria scelse otto artisti più me e dopo un lungo dialogo, dove sviscerammo l’intero percorso partendo dalla genesi del mio progetto di Casa aperta, decidemmo di partire da “Presa di coscienza sulla natura”, di Mario Giacomelli.
Ho in mano ora la brochure che stampammo. Sfogliandola sembra profetica. Un fuoco si alza, alle sue spalle gli Appennini, sopra le nuvole, il racconto e poi le immagini. La terra segnata da linee, solchi frutto di un lavoro contadino, la sua terra, la nostra terra, la mia terra; una consapevolezza già acquisita nel 1976, sopita, dimenticata dai più. Quella stessa consapevolezza è necessaria oggi e mi appare l’unica via per non soccombere. La storia di Marka prosegue con un dipinto di Roberto Coda Zabetta del 2017. Un nero, intenso e materico. È lo stesso nero che oggi tinge le mani di tutti. Roberto è una delle ultime persone che ho potuto abbracciare, dopo una passeggiata in paese, un pellegrinaggio in cerca di quei negozi che in una grande città non esistono più. Tra una parola e l’altra, i termini terra e natura furono ricorrenti. Quel giorno ci confrontammo sull’antico blu di guado. È con quel pigmento che Roberto sta trascorrendo queste giornate, mentre una collina ci divide. Seguendo l’ordine delle immagini arriviamo ad un dipinto di Angelo Bellobono: sono le sue montagne, mi piace pensare che sia l’Appennino, il medesimo che sta alle spalle del fuoco.
Qui oggi nevica. È il 24 marzo. Nella sua cresta velature di bianco. Si sussegue il volo dei colombi di Giulio Cassanelli, raccontato attraverso un dollaro imbrattato di guano: sembra raccontare il nostro PIL attuale e la borsa internazionale. Il percorso prosegue con il Tir di Giuseppe Stampone che equivale ora a raccontare il blocco sullo stretto, le interminabili code dei camionisti che si ritrovano a dover raggiungere Messina da Villa San Giovanni. Gli elmetti di Rocco Dubbini ci rimandano alle parole forti di Macron per descrivere l’emergenza attuale: “Siamo in guerra”. Infine, l’ultimo capitolo: “Le grandi domande”, di Stefania Galegati Shines.
È un video che racconta un progetto rivolto agli studenti della scuola primaria e media del Convitto Nazionale G.Falcone di Palermo, dove Stefania ha posto agli adolescenti una serie di quesiti a cui nessuno ha risposta certa. “Esiste la vita dopo la morte? Da cosa è nato l’Universo? C’è qualcuno che veglia su di me? Esistono la fortuna e la sfortuna?“. Le risposte si susseguono l’una dopo l’altra, fianco a fianco democraticamente. L’immagine che descrive l’opera è un composit di 4 volti di giovani siciliani. Conclude il pieghevole e non solo metaforicamente apparendo come l’ultimo capitolo di una storia universale. Sono solo 4 facciate che raccontano l’esistenza e formano una narrazione che mi sembra la medesima del nostro oggi.
Il trascorrere del mio tempo, come quello di molti, si compone di una alternanza di pensieri e di studio nelle pause necessarie dalla virtualità. In questo mondo parallelo si susseguono mostre sui social, aperitivi via whatsapp o facetime. Sono probabilmente elementi che testimoniano una resistenza. La mia coda dell’occhio non abbandona mai un punto fermo, un futuro ancora possibile. È in questo modo che stiamo componendo un archivio digitale che descrive un dialogo giornaliero tra me, Mattia e Chris Rocchegiani.
È una corrispondenza quotidiana di andata e ritorno. Suggestioni, immagini, parole, video, pensieri liberi ed astratti che parlano di forma, colore, colpi di luce ed elementi ordinari. Ci permette di aprirci e di rivelarci. Quando Chris avrà la possibilità di tornare a Casa Sponge, di trascorrere del tempo e lavorare, creare, dipingere, scrivere, la sua consapevolezza sarà diversa, più forte e più intensa. Le pagine che andremo a scrivere domani non dovranno essere identiche a quelle di ieri. Questo tempo è doveroso spenderlo per ripensarsi. Personalmente sto mettendo in discussione me stesso e rimpastando tutti i mie progetti. Le mie opere come il mio cammino di uomo non possono uscire indenni e immutati. Questo abitare differente, questo tempo diverso, ha come il fuoco dei giorni scorsi generato pulizia. Le relazioni si sono ridotte, alcune consoliate. Tra queste, una è riemersa dalla cenere più forte di prima. Ho sempre saputo che era lì. Con lei discuto di performance e di esistenza tutti i giorni. Sono lunghe e profonde conversazioni quelle con Mona Lisa Tina.
Insieme realizzammo un cammino intenso, duro fisicamente e psicologicamente: “Centrum Naturae”. Una delle mie performance più intense, al punto tale che per due anni ci siamo solo pensati. È una performance che iniziò nel 2014 a Pesaro, nella ex-chiesa della Maddalena e con la quale aprimmo l’edizione 2017 di Gender Bender. Una azione che sviscera la tematica dell’identità di genere. Ci siamo immaginati attraverso la relazione con l’altro nella costruzione di un unico corpo che non fosse né maschile né femminile ma assoluto. I nostri corpi nudi sono rimasti a completa disposizione del pubblico per un lungo tempo, siamo stati toccati, plasmati, accarezzati, manipolati. Ora quella Centrum Naturae è più forte e viva che mai si è evoluta e muterà. Non ha ancora una forma definita, sappiamo solo che ci proietteremo nel 2021 e la racconteremo in tutti i suoi passaggi tentando di rendere evidente il mutamento relazionale causato da questo tempo.
Nel mentre, ho ripreso a disegnare; mentalmente di più che fisicamente. Sto aspettando il momento giusto per disegnare un fiore di carciofo essiccato. Scrivo tanto, mi confronto con la materia e studio Beyus.
Oggi è il 25 marzo è il compleanno di Mina che compie 80 anni. Tra i video che riempiono l’etere c’è “Luna Diamante”, il testo è di Ivano Fossati, le immagini che scorrono sono tratte da il film “La Dea Fortuna” di Ferzan Ozpetek. Un amore, una torta nuziale, mani che sfiorano le mani, una danza liberatoria sotto la poggia, un bagno al mare alle prime luci del mattino, una casa, una famiglia scelta, sguardi. Momenti che sembrano così distanti. Mina canta: “C’è una luna turchese diamante stanotte che può spezzarmi il cuore. Tu con le tue mani io con i miei occhi, con la mia bocca. Tornando a casa aiutiamoci a ricominciare.”
Oggi è già giovedì 26 marzo, il cielo è grigio, il ciliegio è sempre li, il freddo sembra aver fatto richiudere su stessi i fiori. È un giorno triste.
Giovanni Gaggia