Paolo Iacchetti e le sue riflessioni di artista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi
Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni artisti italiani lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Ecco il contributo di Paolo Iacchetti (1953)…
Considerazioni sull’attualità dell’arte
Partirei da due proposizioni:
1 è la società che determina le condizioni e le possibilità delle forme di arte
2 l’arte cerca di andare sempre oltre le condizioni date
Sulla base di queste due asserzioni, che possono funzionare da postulato, voglio puntualizzare alcuni passaggi storici fondamentali, della relazione opera d’arte e società, per meglio comprendere le condizioni attuali dell’arte. Tali passaggi consentiranno di creare un orizzonte congruo ed utile per evidenziare il senso dell’attualità dell’arte.
A Rinascimento
L’arte, come noi la conosciamo oggi, consegue ad un’impostazione storica nata e stabilita fra classicismo e romanticismo, fra ‘700 e ‘800, dal momento in cui si abbandona l’imitazione degli antichi e si opta per il nuovo.
Quindi se noi consideriamo anche il Rinascimento sotto questa ottica storica possiamo realizzare degli errori di aberrazione prospettica.
Meglio è seguire gli studi attuali sul Rinascimento che evidenziano sempre meglio e sempre di più come la società, nella fattispecie la committenza, agisse nei confronti dell’arte. Le dinamiche sono quelle generalmente note. La persona potente cerca di accaparrarsi l’artista il meglio che c’è sulla piazza che è anche quello più caro.
Ma qual è l’esigenza e la finalità della committenza? È un’esigenza prevalentemente secolare legata alla propria dimostrazione di potere (gli artisti organizzano feste e meccaniche sorprendenti per gli invitati, feste che scandiscono l’anno per le corti e le loro popolazioni), all’interno della società (quanto mantenere un artista costa), alla sua esibizione (se brillante come Leonardo meglio), al suo definitivo riconoscimento.
L’imagerie dei riferimenti è fissa e trascorre da orizzonti classici e pagani (usati in modo metaforico) a vicende attuali e sacre (usati in modo didattico e didascalico).
L’iconografia è fissa, quindi rituale e celebrativa, e, in ultima analisi, dimostrativa di una guida della società, società tutto sommato piuttosto repressiva in confronto alle libertà che oggi viviamo. L’artista è considerato dalla società stessa come artigiano appartenente alla sua propria corporazione: e soprattutto è di Leonardo, e non solo, la consapevolezza di una tensione creativa che va oltre i valori della società stessa. L’artista, il creatore di immagini è non solo l’esecutore materiale, ma è ‘la consapevolezza’ stessa dell’arte e della propria tensione sublimante, tensione sublimante – nostra stella polare – che traspare dal trattamento delle iconografie fisse.
Qui va detto, per inciso, che l’immagine, nella cultura occidentale, è sempre stata vista come qualcosa di sospetto. Perché questo? Perché l’immagine è per sua natura ambigua, si presta a varie interpretazioni, consente sempre un mistero. Polivalenza che confonde la biunivocità della visione naturalistica del mondo.
Come viene coltivato questo mistero? Direi in vari modi dal Rinascimento al Romanticismo, e lo studio di queste modalità vanno a costruire la Storia dell’Arte come la conosciamo, riordinata secondo criteri sia di sviluppo sia storici, mantenendo l’ossimoro fra una tensione eterna ed immutabile dell’arte ed il suo trasmutarsi di forma in forma.
Sintetizzando si può dire che il mondo classico presenta una iconografia fissa normativa della società, dove la tensione sublimante si evince dal trattamento stesso delle immagini.
B Romanticismo e Moderno
Il passaggio dal Rinascimento al Romanticismo, dal 1500 al 1800 è basato sulla trasformazione di una società che da fortemente metafisicizzata sul modello medioevale – fra vita e post vita, vita e paradiso -, si avvicina sempre di più alla consapevolezza del presente: le ultime avvisaglie sono le ‘impressioni’ impressioniste ottocentesche che prepotentemente pongono il problema del Tempo.
Tale tema, farà passare la concezione del rapporto fra noi ed il mondo da una visione naturalistica di classica ed antica memoria, di opposizione fra soggetto e mondo, all’altra intermediata dall’apparenza del mondo.
Così se hai tempi di Leonardo il suo disegno anatomico era il corpo umano stesso, così come Sant’Anna e la Madonna vivevano in una natura umbratile e misteriosa, ma “vera”, già con Las Meninas di. Velasquez c’è un distacco dal mondo, la consapevolezza che il mondo viene posto in una cornice linguistica, secondo la lezione di Foucault. Ma è con Kant che si realizzano le condizione per cui
in cento anni si ha la fine di dio, la parabola nietzschiana – ripresa da Severino e divulgata da Galimberti – la fine della fine della trascendenza occidentale, quel luogo unico nel mondo dove è nata l’iconografia che ci contraddistingue.
Le Avanguardie artistiche sono sintomatiche di questo passaggio, passaggio che è molto più profondo e coinvolge tutti gli ambiti culturali.
Quanto si conosce del mondo è costituito da noi persona, dalla lingua che ci traduce il mondo, e dal mondo: e questo si estende su tutti i nostri ambiti di pensiero e di azione.
Le immagini del sogno sono lingua da tradurre – Freud -. La lingua stessa è materia da osservare – Saussure -. L’universo non si esplicita secondo una sola geometria euclidea: le lingue formalizzate come la matematica possono essere diverse e ci avvicinano a molti fenomeni del mondo o dell’universo – Einstein -. E infine Gödel dirà che i linguaggi possono dire di se stessi ma non possono dire del mondo; è solo la nostra intuizione che connette i linguaggi al mondo.
Duchamp avverte in campo artistico esattamente tutto ciò: e tutto ciò conduce all’indifferenza della forma, all’arte come comportamento, alla connotazione linguistica del mondo, galleria compresa. L’esperienza, il Tempo dell’uomo è il luogo nel quale agire. A parer mio Duchamp risponde in modo simbolico al tardo simbolismo della belle epoque. È un avvertimento: un avvertimento che mantiene ancora la centralità dell’uomo, centralità presupposta come dominio nella realtà classica, la possibilità dell’uomo di prendere le distanze dal mondo consapevolmente.
Indifferenza della forma, transitività fra arte e vita – il superamento della cornice per il quadro e del piedistallo per le sculture – arte si può fare con tutto, è l’annuncio provocatorio delle Avanguardie.
Di fatto la società è oramai talmente trasformata da non consentire centralità alcuna. Condizione che andrà diradandosi nel trentennio fra due guerre e si dissolverà definitivamente con la società di massa degli anni ’60, coincidente con la celebrazione della Pop Art.
In breve sintesi dall’inizio dell’’800 agli anni ’80 del novecento si assiste ad un periodo di passaggio. Il Romanticismo inaugura il Moderno, Moderno che arriva fino agli anni 80 e da lì inizia il Postmoderno. Postmoderno, a parere mio, azzardo forse, si estenderà al prossimo futuro, forse anche remoto.
Riguardo alla figura del collezionista, si può così contestualizzare storicamente: la società preromantica (ancora Quarto Stato) e romantica – ‘700 e ‘800 – che è caratterizzata dalla industrializzazione in via di sviluppo – ‘800 -, si trasforma in forza lavoro e platea democratica – ‘900 -, dove, infine si può attingere consenso – nuovo millennio -.
In ambito artistico, nel ‘700 il signore-mecenate del mondo antico, viene affiancato dal connaisseur, connaisseur che si appresta a diventare collezionista in un mercato che diventa via via più libero. La figura sullo sfondo è sempre quella del mecenate, lontana da quello che sarà l’attuale collezionista – Pinault per esempio -, ora parte del gioco del mercato.
Durante il Moderno, l’800, i musei collezionano l’antico classico, che viene storicamente ordinato. Sono raccolte che rispondono a criteri di fissata oggettivazione storica appunto, ma che con il postmoderno si smobiliteranno secondo un dinamismo di mercato.
L’artista da “persona al servizio” del Rinascimento, durante il Moderno diventa soggetto sul mercato, rappresentato dal gallerista fino agli anni ‘80 del ‘900. Viene mantenuta una distanza fra arte e vita, nonostante appunto gli avvertimenti duchampiani della futura deriva della società, che sono i più radicali e lucidi.
In questo periodo, quello del Moderno, quell’aspetto sublimante dell’arte, la sua magìa e nostra stella polare, è un ambito ampliato rispetto al ‘700 ed alla prima metà dell’800. Con la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900, la magia dell’opera rientra nella costruzione stessa delle immagini.
Nella consapevolezza di linguaggi autonomi, come in de Chirico – lo spaesamento e la meraviglia derivano dalla crasi degli indici temporali e dalla sospensione della costruzione percettiva prospettica, che disorienta – o in Mondrian, dove la meraviglia è costituita dalla solidità delle costruzioni plastiche e dalla loro imprevedibilità. Che ci corrisponde ad un livello percettivo di coordinate corporali. Come si può osservare, questi linguaggi sono autonomi, separati per intenzionalità e forma, non più vincolati da rassomiglianza con il mondo. In ciò consiste la fine di una visione comune e collettiva del mondo.
Ora la magia può essere esterna e consistere nello spostamento dell’opera in contesto altro: Duchamp. La sorpresa iniziale può diventare meraviglia e coinvolgimento: Dada. Ma tale sorpresa non può continuamente ripetersi pena ritrovare situazione da Luna Park. Surrealismo montato su luna park può apparire parte della produzione artistica attuale.
C Postmoderno attuale
In questo ultimo punto vorrei considerare il mondo attuale postmoderno. E’ un mondo basato su un mercato libero globale, che sia avvia a diventare maturo, dove le linee di scambio e di rispetti fra le persone ed i vari soggetti sono orizzontali e dove la verticalità gerarchica autorevole che contraddistingueva il mondo antico fino al Romanticismo è andata a schiacciarsi lungo tutto il periodo di transizione del Moderno, fino ad essere linea orizzontale.
Il modello, fantasioso, se volete, a cui mi rifaccio per rappresentare il post moderno è una superficie mobile, liquida dove tanti elementi galleggiano, emergono simili e dissimili, tutti simili nel galleggiamento; alcuni elementi più densi, altri meno densi, altri più belli altri ancora meno belli ma soprattutto alcuni ancorati a radici profonde e prolifiche altri invece in attesa di scomparire ai primi flutti.
Questo modello evidenzia rispetto al modello verticale del passato la perdita di una sorta di filiazione valoriale che consentiva la trasmissione dei valori stessi, fondanti l’individuo e la società, eredità e filiazione che furono la struttura di riferimento delle conservazioni istituzionali, e quindi artistiche, nel mondo antico aldilà della loro riuscita.
Per quanto riguarda l’arte, farei iniziare l’attualità del modello che stiamo vivendo con la vendita nel 1973 di una Flag di Jasper Johns da collezionista a collezionista per 1 miliardo di dollari di allora. La breve storia del quadro è questa: venduto da Castelli ad un collezionista, il quadro fa un paio di passaggi di cui l’ultimo è quello sopra citato. È l’inizio di un mercato legato al valore economico dell’opera come oggetto. E lontano dallo scambio iniziale -gallerista collezionista- che garantiva il senso del valore culturale riconosciuto nell’opera come luogo simbolico comune, transitante per la galleria, luogo specifico di selezione e garanzia di valori.
In questo caso il primo collezionista ha sullo sfondo ancora la figura del mecenate. L’ultimo collezionista acquirente, colui che ha speso 1 miliardo, finisce per attribuire all’oggetto il valore del mercato tendenzialmente in modo esclusivo al di là delle sue intenzioni culturali e delle intenzioni culturali dei soggetti intermedianti.
È come se il mercato libero fosse un campo magnetico in grado di orientare a proprio piacimento gli elementi in esso presenti.
A partire da quella data si va via via affermando, come valore proprio, il valore economico dell’oggetto artistico. Valore che andrà a superare quello delle opere di arte antica seppur rarefatte. In altre parole, in questa grande orizzontalità finisce per emergere con ulteriore evidenza la potenza economica del compratore.
Nel mondo antico il nobile – l’antesignano dell’attuale collezionista – acquistata un’opera il cui valore oltre che economico era costituito dalla garanzia di stare in un tempo che è eterno. Garanzia della propria vita in una eternità socialmente condivisa. Dopo le Avanguardie questo valore non si può rintracciare. Il valore attuale consiste solo nel valore economico e nella collocazione in termini di marketing nello spazio sociale dell’oggetto stesso. È lo spazio sociale, che è legato alle mode e al gusto che dà valore all’opera.
Non c’è più differenza retorica fra mondo e rappresentazione, non c’è più una soglia e un limite al di là del quale si accede alla rappresentazione del mondo.
Va anche osservato che ogni rappresentazione del mondo è contigua con il mondo stesso senza per questo non essere rappresentazione del mondo.
L’aura insita in ogni rappresentazione antica, in quanto distaccata dal mondo, tende a scomparire, mentre viene acquisita la sorpresa dello stoss (shock), del colpo dell’impatto dell’opera con l’individuo, fino allo scandalo.
Questo clima avanguardistico sostiene New Dada, ma non la Pop Art: come sappiamo New Dada e Pop Art si sovrappongono, sono quasi sinonimi. Ma come rivela il nome, mentre New Dada si basa su istanze scandalistiche e provocatorie ancora moderne, la Pop Art contiene in sé la celebrazione dell’oggetto senza alcuna distanza critica. Quella distanza che abbiamo evidenziato nel mondo antico.
Quindi è l’oggetto d’arte che è oggetto del mercato, oggetto scambiato nel mercato. E oggetto che fa il mercato come luogo che ci consente di considerare orizzontale la struttura della società e con essa l’opera d’arte. O meglio, queste sono le condizioni. Come far vivere l’arte con i suoi segreti e i suoi misteri in siffatte condizioni?
Emblematica a questo proposito è la critica di Swenson (dice Swenson: “In genere la critica d’arte si è rifiutata di dire che un oggetto può essere reso identico ad una sensazione significante o estetica, soprattutto se l’oggetto ha una marca. Eppure, in un certo senso, l’arte astratta tende ad essere un oggetto che possiamo paragonare ai sentimenti privati di un artista”) che equipara qualsiasi opera d’arte a qualsiasi oggetto. Dove l’oggetto si dà per immagine, poiché qualsiasi oggetto è espressione dello spirito o funzione di qualcosa che ci sta dietro.
Così un quadro di Cézanne è un oggetto che è immagine del sentimento di Cézanne. Un oggetto di solito ha una funzione, una utilità. In questo caso l’oggetto-quadro è forzato dal campo postmoderno a essere immagine di qualcosa, del sentimento dell’artista, in questa logica orizzontale.
La crasi sintomatica del disagio dell’arte forzata in questo campo, è nella Campbell Soup di Warhol. Dove dietro quel quadro oggetto ci sta una immagine di un sentimento dell’oggetto, un oggetto quotidiano che non consente una proiezione in un mondo altro, nemmeno aspirazionale.
Warhol mantiene sia la forza provocatrice di New Dada che la discutibile celebrazione dell’oggetto pop, e qui che è la sua grandezza.
Ma se quel quadro con la Campbell Soup diventa oggetto molto caro nel mercato, finisce per perdere quella sua qualità di provocazione. E diventa asservito al mercato stesso come oggetto al quadrato, l’oggetto che diventa immagine di se stesso.
Il passaggio nell’attuale consiste nel fatto che sia oggetti sia immagini sono fra loro equiparati. Così che il quadro di Cézanne diventa immagine del sentimento di Cézanne come BMW automobile diventa immagine di quanto BMW vuol farci immaginare di un mondo.
In altre parole le immagini sostituiscono gli oggetti e con loro competono, creano si mondi, ma definiti come oggetti.
Tutto è presente in questa orizzontalità, dove è sempre attiva una possibile valutazione di mercato. proiettabile su qualsiasi soggetto più o meno virtuale.
La sublimazione o una proiezione astrattiva dell’opera viene fortemente gravata dalla forza di attrazione del campo del Postmoderno, caratterizzato dalla forza-peso mercantile.
In questa descrizione, volendo tornare a rintracciare la nostra stella polare, cioè quella qualità sublimante magica che contraddistingue l’opera d’arte, dove la ritroviamo? Abbiamo detto che dopo le Avanguardie l’opera-oggetto è contigua al mondo, a noi. E non c’è più alcuna separatezza in un mondo altro ideale o ulteriorizzante, rispettivamente metafisico o fenomenologico.
La sorpresa come luogo ed indice della meraviglia è la strategia più premiata a partire dalle Avanguardie: sino a che la società consente lo scandalo, tale strategia è ampiamente utilizzata da Dada e dal Surrealismo; dal momento in cui la società assorbe qualsiasi suo movimento emotivo al suo interno. E non consente più alcuno scandalo, quindi a partire dagli anni 80, Viene ulteriormente utilizzata e raffinata fino a Hirst, Koons, Cattelan.
Viene a mancare, o meglio si fa presente come assenza, il luogo positivo armonico energetico nel mondo antico glorificato come bello. Quell’oltre che consiste con il concetto di bello, la creazione di un ambito umano in competizione con la natura, una tensione di forza e di apertura verso la natura stessa. (ricorderei per inciso, che in oriente non esiste il bello in arte, ma solo quello di natura)
Il mercato orizzontale non ammette fuoriuscita verticale e sublimante in quanto potenzialmente pericolosa per la sua orizzontalità stessa. Cioè la sua struttura vitale.
Le gerarchie in questo mondo orizzontale non sono scomparse; sono sì ammesse ma sono temporanee e coincidenti con il gusto e le mode. A questo tende l’arte nel sistema così come si è andato definendo. Questa è la sua attualità, secondo questa analisi.
A questo proposito attori dell’attualità come Celant mostrano e dimostrano, questa mia tesi.
La mostra sul Futurismo tenutasi da Prada (bellissima mostra), lascia intravedere come l’arte sia un accidente della società. Celant presenta frammenti delle mostre effettivamente tenute dai futuristi commiste ai fatti storici di cronaca del ventennio. Le immagini futuriste paiono supporto all’avventura politico-sociale italiana.
Ben lungi dal contraddire questa evidenza, osservo che artisti quali Sironi hanno utilizzato l’impostazione retorica del regime, ed hanno realizzato una estetica ai fini dell’arte. In altre parole, l’impostazione fascista ha solo consentito lo sviluppo di una forma monumentale che altrimenti sarebbe stata di difficile invenzione. Così come Giulio II ci consente di avere opere di Michelangelo.
L’allestimento celantiano della mostra fa apparire il contrario: cioè il Futurismo è stato supporto dell’avventura sociale. Forse queste sono solo mie tendenziose impressioni, pur sempre stimolate da qualcosa che ho visto.
D Conclusione
In base a questa analisi possiamo tentare una sintesi. Il mondo rinascimentale era caratterizzato dall’avere iconografie fisse: come abbiamo detto iconografia mitologica e sacra con ritratti di uso celebrativo.
Nell’attualità possiamo ritrovare questo elemento di rigidità nell’oggetto e nell’immagine dell’oggetto. Dove i quadri e le produzioni antiche ricadono sotto la stessa categoria “oggetto” e sua immagine nei media. Un oggetto che sorprenda e che sia strano. L’evidenza è nel mondo della comunicazione che fatto ha delle immagini l’elemento principe. Tale oggetto deve anche prestarsi ad essere immagine. Pubblicitaria di se stesso.
A questo punto rintracciamo, possiamo rintracciare in questo topos – l’oggetto/immagine – quell’elemento magico che è la centralità di questa trattazione? Ci basta una pietà con una bolla blu patinata come in Koons? Valida sia come immagine sia come oggetto nel suo sorprendente accostamento di antico e tecnologicamente attuale.
Una forma inventata in pittura, con tutta la fatica che occorre, le relazioni che il cervello intrattiene con il corpo, ebbene tale immagine/oggetto non è forse proiettivamente più densa e foriera di senso che non una traslazione di forme secondo la sintassi da rebus enigmistico?
Non ho risposte definitive: sono per l’impegno dell’uomo che tende a proiettarsi oltre, non sono per l’impegno dell’uomo che risponde al mercato. L’oggetto che si realizza oggi quadro o traslazione di oggetti deve avere quella straordinaria complessità che ci ha fatto sino ad ora riconoscere l’arte. Di oggetto comunque si tratta.
Ma è la magia che da esso continuamente può essere emessa di fronte alla nostra percezione che potrà garantire una vita altrettanto lunga quanto le opere d’arte che conosciamo e che ogni volta, dico ogni volta, si relazionano alla nostra profonda emotività vitale. Nell’ambiente artistico ricorre spesso ricorre spesso la massima per cui ‘l’immagine si fa negli occhi’, cioè nel cervello. Ma sulla base ci cosa? Dei riferimenti della moda e del gusto del periodo, o sulle coordinate fondamentali dell’individuo, sia metaforiche che percettive?
Paolo Iacchetti
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