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Esiste ancora il plagio nell’arte concettuale? I casi Vezzoli & Mr Savethewall e Alioto & Cattelan

Mr Savethewall

Esiste ancora il plagio nell’arte concettuale, oppure chi copia chi e tutti sono felici? E’ una domanda interessante che mette in discussione uno dei dogmi dell’arte contemporanea, cioè che basti l’idea, a patto di avere avuto per primi questa idea.

L’assioma serve per bypassare l’obiezione dell’uomo qualunque di fronte alla pochezza di alcune opere d’arte, obiezione che di solito si riassume nella constatazione: “Avrei potuto farla anche io”. “E no!”, ci spiega invece il curator embedded, la grandezza sta proprio nel fatto che quell’idea l’artista l’abbia avuta per primo. E a nulla serve controbattere che anche se l’ha avuta per primo, ci sembra una nullità, una schifezza, una cosa insensata. Il fatto che l’abbia avuta per primo, ne decreta l’artisticità, quale che sia la riuscita tecnica, sempre che ci sia una riuscita.

Se dunque accettiamo questa teoria – peraltro balzana sebbene fondante del concettuale – la questione del plagio o della citazione diventa esiziale, poiché, a rigor di logica, solo l’artista che ha avuto per primo l’idea è artista. E invece, sempre più spesso, abbiamo notizia che anche gli artisti cool e osannati hanno copiato le loro idee, arrivando secondi o terzi, dietro ad altri artisti che però sono rimasti meno noti. Hirst, per esempio, ha ammesso di aver copiato tutte le sue opere più riuscite. Jeff Koons è inciampato nello stesso vizietto: accusato di plagio, ha perso alcune cause ed è stato costretto a risarcire il danno. Qualche mese fa è stato condannato, in Francia, a pagare qualche migliaio di euro di danni morali e patrimoniali e di diritti di immagine violati, per avere riprodotto illegittimamente, nella sua scultura “Naked”, l’immagine del fotografo francese Jean-François Bauret. Nel 2008 un esemplare di “Naked” era stato venduto per 8 milioni di dollari. Lo scatto di Bauret, dal titolo “Enfants”, era stato pubblicato nel 1975 come cartolina postale.

Jean Francois Bauret e Jeff Koons

I casi di plagio o di citazione o di “fair use” (cioè, una deroga al diritto d’autore) sono numerosi e vanno appunto dal plagio/plagio, alla citazione che di fatto è da sempre uno dei motori dell’arte, al “fair use” quando l’’artista “usa” senza motivi commerciali. D’altronde, picassianamente si dice che l’artista mediocre copia, mentre il genio ruba, giustificando di fatto la possibilità per il genio di “rubare” al fine di esaltare l’idea che l’artista mediocre non era riuscito fino in fondo a rappresentare. La questione non si poneva nell’arte antica, quando nella lunga teoria di crocifissioni, madonne, annunciazioni, natività… non contava l’idea semmai la riuscita tecnica. Ma nel caso dell’arte che è arte in quanto idea, come giustificare la cosa?

Recentemente in Italia ci sono stati un paio di casi interessanti. Il primo riguarda un’opera di Vezzoli ideata per la copertina di Vanity Fair, settimana scorsa, che ha avuto un’eco incredibile, visti i tempi di confinamento e la necessità di immagini simboliche. L’opera rappresenta una bandiera italiana con un taglio al centro, sulla falsariga dei famosi tagli di Fontana. E assomiglia molto a una opera simile, datata 2015, di Mr Savethewall, un artista pop e molto riconosciuto nel panorama della street art, che ai tempi giocava sulla bandiera italiana e sui tagli alla Fontana, aggiungendo un titolo, tipico del detournament situazionista, come “Itaglia”. Savethewall dopo lo sconcerto iniziale ha preferito soprassedere, immaginando che Vezzoli, star assoluta dell’arte concettuale, avesse ben potuto arrivare alla medesima idea, indipendentemente dall’opera che l’aveva preceduta. Già Cattelan aveva usato i tagli di Fontana, nella famosa Z di Zorro su sfondo rosso, ed era chiaro, in quel caso, che fossimo nel lecito ambito della “citazione”, tra l’altro uno degli elementi tipici del postmoderno.

Vezzoli

Meno friendly, proprio con il Cattelan nazionale, è stato Massimiliano Alioto, uno dei più accreditati artisti figurativi della sua generazione, che ha deciso nei giorni scorsi di diffidare il collega. “La riproduzione non autorizzata e/o l’elaborazione dell’opera Il genio sono io di Massimiliano Alioto”, ha scritto l’avvocato Gloria Gatti, “infrange l’art.18 sul Diritto d’autore, nonché l’art.12 della Convenzione di Berna. In considerazione di quanto riportato, con la presente Massimiliano Alioto vi invita a interrompere lo sfruttamento non autorizzato della sua opera; a inviargli o a distruggere tutte le copie non distribuite della stessa, fornendone le adeguate testimonianze; a comunicargli tutte le informazioni relative ai guadagni della vendita e ai margini operativi”. Secondo Alioto, infatti, l’abat-jour dal titolo “Yes”, prodotta in 500 copie al prezzo di 750 euro ognuna, con la faccia di Cattelan avvitata su una lampadina, a significare “il genio sono io”, assomiglierebbe, molto, a un suo disegno a matita del 2017, debitamente pubblicato sui social, dal titolo appunto “Il genio sono io”, in cui il volto del celebre artista Vito Acconci si avvita sulla base di una lampadina. Il caso è aperto.

Cattelan
Alioto

Tutto queste ripetute, quotidiane, segnalazioni, spingono però a una congettura: se non conta aver avuto per primo l’idea, se non conta averla materialmente realizzata ben potendo farla realizzare da altri (come spesso fanno gli artisti concettuali), se non conta averla fatta meglio di chi l’aveva già pensata, mi domando quale sia il criterio per giustificare l’opera d’arte. Se togliamo queste tre caratteristiche all’opera d’arte concettuale, non resta che la riconoscibilità dell’artista, la forza del suo brand. Sembra però svilente che l’opera valga non per la bellezza o la sua riuscita, a questo punto neppure per la primazia dell’idea, bensì solo per il marchio di fabbrica.

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