Cambiamenti di gusto, ma anche superficialità e incultura hanno provocato gravi danni al patrimonio artistico. Lo smembramento, ad esempio, dei grandi polittici del passato, di quelle pale fatte da più pannelli che andavano di moda nel Medioevo e primo Rinascimento. Era successo all’ottimo Taddeo di Bartolo (come ha raccontato Artslife qualche giorno fa) e a tanti altri capolavori, come il Polittico Griffoni, spettacolare e bellissima opera di due grandi ferraresi, Francesco del Cossa (Ferrara 1436-Bologna 1478) ed Ercole de’ Roberti (Ferrara 1450 circa-Ferrara 1496).
I due pittori vi avevano lavorato tra 1470 e 1472 su commissione di Floriano Grifoni che voleva abbellire la sua cappella in San Petronio di Bologna con un grande dipinto in onore del domenicano Vincenzo Ferrer. Era nato questo grande complesso con vari santi nei due registri superiori, opera di Cossa, e storie di san Vincenzo Ferrer nella predella, lavoro del Roberti. La cornice era stata fatta dal maestro del legno Agostino De Marchi da Crema.
Un’opera singolare, perché in una “costruzione” ancora gotica, voluta dal committente, con alcuni fondi oro nei pannelli superiori, si inserivano figure solide, ben spaziate, decisamente rinascimentali. Ogni dettaglio era curato secondo la più aggiornata cultura del tempo, emiliana, toscana, nordica. Per un paio di secoli tutto bene.
Ma ecco il disastro. Nel 1725 l’architetto Stefano Orlandi, incaricato di risistemare la cappella Griffoni, acquisita dal cardinale Pompeo Aldovrandi, giudicava obsoleta la straordinaria pala. Il vecchio altare andava eliminato. Il cardinale si era convinto e nel 1732 il polittico era già tolto dalla cappella e diviso. Da allora, l’esodo dei singoli pezzi, finiti in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo: National Gallery di Londra, Pinacoteca di Brera di Milano, Louvre di Parigi, National Gallery of Art di Washington, Collezione Cagnola di Gazzada (Va), Musei Vaticani, Pinacoteca Nazionale di Ferrara, Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Collezione Vittorio Cini di Venezia.
Un vero puzzle ricomporlo, anche solo idealmente. Il primo a cimentarsi era stato Roberto Longhi nell’Officina Ferrarese (1934) che, su un’idea di Gustavo Frizzoni, aveva restituito i pezzi principali al Cossa (contro la vecchia attribuzione a Lorenzo Costa) e ipotizzato una ricostruzione ardita e rivoluzionaria, che allora si scontrava con il parere di molti. Troppo bella e moderna una pala così per Bologna, e poi predella e pannelli erano in stili diversi. Molti i dubbi, ma aveva ragione Longhi. Uno schizzo della pala, con carpenteria e un sintetico elenco delle tavole, fatto dal cardinale (meno colpevole, dunque!) e ritrovato nel carteggio con l’architetto, ha confermato la ricostruzione dello storico. Da allora molti gli studi, e qualche cosa ancora da chiarire.
Ma il complesso è tornato a esistere com’era nato. Non solo, ma le sue tavole dipinte superstiti, quattordici, tra pezzi principali, predella e piccoli pannelli dei pilastri, sono state riunite dalle loro lontane sedi, a Palazzo Fava di Bologna per una mostra che avrebbe dovuto aprirsi il 12 marzo (sino al 28 giugno 2020, catalogo Silvana Editoriale). Dedicata al Polittico Griffoni, promossa da Genus Bononiae. Musei nella Città, curata di Mauro Natale e Cecilia Cavalca, è stata chiusa per “coronavirus”.
La mostra permetterà di trovarsi di fronte a quelle carismatiche figure, san Vincenzo Ferrer, san Pietro, san Giovanni Battista, san Floriano, la fascinosa santa Lucia, ai piccoli santi dei pilastri, e alla dinamica ed estrosa predella del de’ Roberti. Ci sarà anche la ricostruzione del polittico operata da Adam Lowe, fondatore di Factum Foundation, che negli ultimi vent’anni ha lavorato alla registrazione, all’archiviazione, al restauro digitale ad alta risoluzione e alla produzione di copie esatte di opere d’arte.
Un omaggio a due grandi artisti a più di 500 anni dalla loro fatica.