San Giovanni Battista e Narciso tornano a Roma dal 24 settembre, entrambe posizionate a Palazzo Barberini. Un’occasione unica per ammirare le due opere di Caravaggio accostate agli altri due capolavori dell’artista conservate nel museo: Giuditta e Oloferne e San Francesco.
Per un Caravaggio che va eccone due che fanno ritorno. Nei giorni del discusso arrivo del Seppellimento di Santa Lucia a Rovereto, che lascia Siracusa per la soddisfazione di Vittorio Sgarbi e le proteste della città siciliana, due opere di Michelangelo Merisi tornano a Roma per riprendere il loro posto nelle sale di Palazzo Barberini. Anche se, a dire, il vero, una di loro subisce un momentaneo spostamento.
San Giovanni Battista e Narciso – in prestito dallo scorso febbraio al Rijksmuseum di Amsterdam per la mostra Caravaggio-Bernini – vengono dunque esposte dal 24 settembre al fianco di altri due capolavori di Caravaggio: Giuditta e Oloferne e San Francesco. Ma mentre il Narciso ritornerà nella sala n.25 dove di consuetudine è esposta, il San Giovanni, normalmente conservato alla Galleria Corsini, sarà inserito nel percorso di visita del piano nobile di Palazzo Barberini, nella sala n.26. Le due sedi, congiuntamente, formano le Gallerie Nazionali di Arte Antica.
La nuova disposizione – resa necessaria dai lavori che interesseranno la sede di via della Lungara a partire dal 1° ottobre 2020 – permette dunque di contemplare, in un’eccezionale disposizione ravvicinata, quattro capolavori del pittore delle luci e delle ombre.
Qui un focus sui due lavori che fanno ritorno a Roma.
San Giovanni Battista, 1604-1606, olio su tela, cm 94 x 131
L’opera ritrae San Giovanni senza barba, la nudità coperta da un mantello rosso, il bastone a croce appoggiato sul fianco. Sembra un uomo, perso nel deserto, più che un santo. Difatti Caravaggio lo libera dei sui attributi più classici e riconoscibili: la pelliccia di cammello è assente, mentre la ciotola – con cui Giovanni versò l’acqua nel battesimo di Gesù – e la croce sono appena visibili, marginali nel complesso dell’opera.
Proprio questi elementi sono al centro del dibattito attorno all’autografia di questo dipinto, attribuita al Merisi non senza perplessità. Infatti, sebbene esistano altre versioni dello stesso soggetto che seguono il medesimo stile, la mancanza di alcuni topos iconografici rendono l’opera controversa e aperta a diverse interpretazioni.
Narciso, 1597-1599, olio su tela, cm 113,3 x 94
Narciso è indubbiamente uno dei miti classici che ha conosciuto più rappresentazioni nella storia dell’arte. Per questa ragione appaiono particolarmente interessanti le variazioni sul tema, soprattutto se realizzate da un pittore come Caravaggio. Così la sua versione si distingue per l’insolito schema compositivo, concepito quasi come una carta da gioco: la parte inferiore è speculare a quella superiore come se il pittore avesse ribaltato di 180 gradi la metà superiore della tela per ottenere la figura riflessa. Una trovata congeniale all’ossessione di Narciso, che si innamora della propria immagine specchiata nell’acqua.
E difatti l’opera immortala proprio il momento cruciale della sua vicenda: l’istante in cui realizza la natura folle del proprio sentimento e si lascia morire sulle sponde della fonte. La bocca è dischiusa dalla sorpresa e dallo sgomento, mentre l’ampia l’ampia manica a sbuffo accompagna lo sguardo verso la mano, immersa nell’acqua nel tentativo di abbracciare quella forma ingannevole dell’immagine di sé.