Banksy, prima con un’opera che si autodistrugge e poi con “Burnt Banksy”, ha lanciato un fortissimo messaggio. NON TUTTO è IN VENDITA
“Senza Banksy non si cantano messe”. Se non sbaglio così inizia uno dei capitoli di arte contemporanea più incisivi di sempre. Questo. Costantino della Gherardesca dice che Banksy “non è un artista ma un grafico pubblicitario”. Beh, curioso che questa condanna avvenga successivamente al suo rapporto di collaborazione con Francesco Bonami, nel favoloso podcast “artefatti” che di favoloso ha solo il contributo del celebre critico.
Ma andiamo avanti. Bonami infatti ha criticato duramente Banksy, utilizzando questi termini in un suo celebre libro: “Non è un artista perché non dice e non fa niente di nuovo. Il vecchio che produce è una banaletta (sic) spray. Predica il riciclaggio ma le sue idee non sono ciclabili fin dall’inizio. Vuole essere lo Zorro dei writers ma è solo un Topo Gigio in missione speciale. […] Paladino dell’arte democratica, è invece diventato il re del facsimile mediocratico”.
Che ridere, converrete con me che dopo aver letto queste dure parole, sarà difficile, se non impossibile, guardare Topo Gigio con gli stessi occhi. Eppure Banksy, da quando ha iniziato la sua carriera da “falso artista”, di cose ne ha dette. Pure troppe. La miccia all’elaborazione della critica sulla società l’ha accesa in una generazione priva di stimoli, avvicinandola alla street art di qualità. Eh no signori e signore, non possiamo sempre parlare di Basquiat, anche se ci piacerebbe tantissimo, dobbiamo guardare avanti e restare al passo con i tempi. Qualcuno poi dirà: “Beh la riproducibilità delle sue icone è pari a quelle di un negativo di una fotografia, lo potrei fare anch’io!”.
E questo è vero. Ma cari critici, non ci vuole un genio per capire che Banksy è forse la mente più lucida di questa epoca. Per capire davvero l’anonimo Zorro, dalla bomboletta senza macchia e senza paura, bisogna girarsi. Facciamo un passo indietro nella storia. Qualcuno sa dire come ha fatto la Chiesa a costruire il suo cristallizzato Impero? I primi cristiani sono riusciti nel loro intento di evangelizzazione grazie ad uno strumento troppo efficace per essere ignorato. L’illusione dell’immortalità, la santificazione degli uomini e delle donne martirizzati in nome della causa, o comunemente chiamato Gesù Cristo.
In breve: il martire si opponeva all’imperatore pagano, lui lo condannava, il martire moriva e di conseguenza veniva fatto in diecimila pezzi dai suoi fratelli e sorelle cristiani, in modo da poterli disseminare nelle varie comunità, come simbolo dell’esistenza della causa. Il celebre cantautore Fabrizio De Andrè in questo caso direbbe; “Morire per delle idee vabbè ma di morte lenta, va bè ma di morte lenta”. Orde di pellegrini arrivavano da ogni dove, per vedere un piede, una mano oppure un dito. Così facendo la colonizzazione si è radicata in maniera tale da non lasciare scampo alla riflessione cristiana.
Questo esempio della disseminazione corporea, può essere, in linea generale, applicato non solo alla nostra società, ma al lavoro di Banksy stesso. Nel lontano 21 marzo 2006, a San Francisco in California nasce Twitter, un social network che, una volta lanciato sul mercato, costringe milioni di utenti a comprimersi in un numero limitato di caratteri. Noi stessi quando decidiamo di iscriverci prima a Twitter, poi a Facebook, Instagram, Tik Tok, Gmail, Linkedin, ci stiamo battendo per la causa. La vendita di noi stessi. Disseminiamo pezzi della nostra identità in internet, nella speranza che qualcuno la sposi. Chiedendoci un appuntamento oppure offrendoci un lavoro.
Quella è la base da cui partiamo per confrontarci con “l’imperatore”, “la società”, “l’opinione pubblica”. Sperando che non ci facciano a pezzi, anche se inconsapevolmente lo stiamo già facendo in prima persona, creando reliquie digitali di noi stessi. Cosa fa Banksy? Ci siam svegliati un giorno e abbiamo trovato una sua opera in Siria, poi a Napoli, in America e via discorrendo. Fin quando la dura critica alla società si è rivolta direttamente all’imperatore, nostro signore CAPITALISMO. C’è chi sostiene che il capitalismo e il mercato siano i signori del nostro tempo. Non c’è scampo. Margaret Thatcher ha detto che ”è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Banksy, prima con un’opera che si autodistrugge e poi con “Burnt Banksy”, ha lanciato un fortissimo messaggio. NON TUTTO è IN VENDITA.
L’opera di questo grafico pubblicitario, il non artista che scandalizza gli occhi più raffinati, sa interpretare la teologia digitale contemporanea. Sa che la nostra società dura ventiquattro ore. Banksy è consapevole del privilegio di cui godiamo, compiere atti osceni oggi che saranno dimenticati domani. C’è un Manifesto Senza Testo che si avvale di questa figura misteriosa per spiegare i compromessi che accettiamo ogni giorno: ”[…] Questo è un tempo dove la legge suprema è dettata dalla criminalizzazione dei sentimenti, dove il tempo domina gli atti delle decisioni e delle conseguenze, un periodo in cui la vera rivoluzione industriale è riuscita a sintetizzare il DNA delle persone, CENTOQUARANTA caratteri, in un celluare conserviamo intere memorie di intere generazioni e culture, quasi non abbiamo la libertà di non sentirci liberi, Vittime del correttore automatico, un messaggio, un testo, tutto memorizzato in una scheda non madre ma matrigna che ricatta una morale che gelosamente conserviamo tramite il velo di Maya”.
“Le parole che usiamo spesso, meccanicamente riproposte in discorsi di genere diverso, uno scroll sullo schermo e ci relazioniamo con un omicidio e la preparazione di un piatto caldo senza che i nostri sentimenti cambino, automi, macchine, assassini di umanità, dove la normalizzazione ci porta alla metabolizzazione gustosa del dissenso, della provocazione, dove la pornografia diventa soggettiva e la violenza democratica. Il periodo del blablabla, dove la modernità è determinata dalla rigenerazione degli assensi durata 24h, ogni giorno il privilegio di ammazzare e di dimenticare, un movimento, il nostro, dei CRITICI SENZA MOTIVO, che si avvale di un manifesto che è senza testo”.
“Noi che siamo critici, critici a tempo, critici senza motivo, a noi dico che le parole finiscono e i pensieri si autodistruggono. Scriviamo e non ci rendiamo conto che quello che è oggi non è domani, ma lo sarà tra cento anni. Così come Banksy distrugge le opere che vende, così Medea uccide i suoi figli perché il sapere animale e divino non è in vendita e così come i privati ci privano del nostro intelletto ormai cronometrato”. Insomma Banksy ci mette davanti ad una possibilità di scelta. Ci restituisce la capacità di decidere per noi. Non tutto si può comprare. E quando c’è da arrendersi all’imperatore, non resta che chinare la testa e farsi battezzare. Voto: 30 e lode.