È stato con una diretta su Zoom che Deloitte ha presentato lo speciale “Lo stato dell’arte ai tempi del Covid-19”, parte del report sul mercato dell’arte e dei beni da collezione che verrà pubblicato a giugno. Ad accompagnare la presentazione, una tavola rotonda con alcuni dei protagonisti del settore, che hanno condiviso il proprio punto di vista sull’anno appena trascorso e su ciò che ancora ci aspetta.
A pochi giorni di distanza dall’anniversario del primo lockdown, si tirano le somme di ciò che è stato fatto in uno degli anni più difficile degli ultimi tempi. Periodo che per ora non sembra prossimo a concludersi, viste le recenti misure restrittive che sono andate a colpire -ancora una volta- musei e gallerie.
Lo spirito con cui è stato accolto questa ennesima chiusura è sicuramente diverso dal panico che si era diffuso lo scorso marzo, quando la maggior parte degli attori del settore si era dovuto reinventare quasi da zero, colmando lacune digitali venute prepotentemente a galla. E nonostante lo scoramento che inevitabilmente dilaga a ogni nuovo Dpcm, ormai ci sono diversi elementi utili per poter azzardare qualche (seppur vaga) previsione per il futuro.
Deloitte, analizzando e sviluppando i dati raccolti nei mesi passati, ha tracciato una panoramica di quelli che sono stati (e saranno?) i principali trend riguardanti le opere d’arte e i beni da collezione e le soluzioni messe in atto per resistere alle difficoltà.
Confrontando i risultati con quelli del report stilato lo scorso giugno, i cambiamenti che emergono sono significavi. L’iniziale entusiasmo per le novità digitali messe in campo dal settore culturale sembra aver lasciato il posto a una sempre più pressante speranza di un ritorno al “live”. Le tante (forse troppe) iniziative sfoderate da case d’aste, musei e istituzioni per sopperire alla fruizione in presenza hanno presto smesso di essere una novità, diventando in poco tempo una nuova normalità che però non cancella il desiderio di tornare a quella vecchia.
Questo per quanto riguarda la quantità. Ma quando si parla di qualità, quali -e quante- misure sono state in grado di dare una risposta efficace alle nuove esigenze dell’era pandemica? Basandosi sui dati raccolti, si può dire che gli strumenti più soddisfacenti siano state le piattaforme di acquisto, tramite cui è stato possibile recuperare il calo del -60% nel fatturato registrato nel primo semestre del 2020, chiudendo l’anno con una diminuzione più contenuta (-29,7%).
E se una fetta importante di intervistati ritiene che l’online sostituirà le transazioni fisiche per una percentuale compresa tra il 25 e il 50%, appare comunque chiaro il desiderio di tornare a frequentare di persona sale espositive e di vendita. Una prima prova di ritorno alla normalità sarà Art Dubai, che aprirà le porte (fisiche) a fine marzo.
Tra le conseguenze “positive” (se così si possono definire) stimolate dalla crisi, si possono annoverare un rinnovamento digitale generalizzato in un settore che, in questo senso, presentava un ritardo ormai significativo. L’aumento delle operazioni di compravendita online ha generato a sua volta una serie di nuovi trend destinati a segnare le abitudini di acquisto dei collezionisti almeno nel breve periodo, così come le modalità d’azione delle stesse case d’aste. E se i primi si stanno sempre più buttando sulle private sales, le seconde sono sempre più aperte a offrire aste cross-category e a innescare collaborazioni tra i vari dipartimenti, prima decisamente separati. Il t-rex venduto a $31 milioni da Christie’s durante l’asta serale “20th Century” ottobre non ha fatto certo lo stesso scalpore che nel 2017 destò l’inserimento del Salvator Mundi leonardesco tra i lotti Post-War and Contemporary (sempre da Christie’s). Le cose sono cambiate, e con loro la disponibilità del pubblico ad accettare compromessi contaminazioni di epoca e genere.
L’altra forma che può dirsi peculiare di questo periodo è quella dell’asta ibrida, fruibile al tempo stesso sia in sala che da remoto. Sul tema è intervenuta Mariolina Bassetti, Direttrice di Christie’s Italia, che ritiene impossibile un totale ritorno al passato. Nel bene o nel male, l’anno della pandemia lascerà una traccia difficile da cancellare, almeno nel breve periodo. D’altronde, è ancora difficile pensare a 800 persone riunite nella stessa sala ad aspettare che vengano annunciati i lotti in vendita.
D’obbligo la richiesta rivolta poi a Bassetti di rilasciare un commento sulla recente vendita di Everydays: The First 5000 Days, l’opera d’arte creata con NFT da Beeple venduta dalla casa d’aste per $69 milioni. Se la cifra realizzata è stata una sorpresa anche per chi da Christie’s ci lavora, il risultato è solo la conferma di una fascinazione per nuovi mezzi di “fare arte” che era già nell’aria prima che si iniziasse a parlare di Coronavirus.
A rappresentare il mondo delle gallerie sono intervenuti Verusca Piazzesi, Direttrice di Galleria Continua, e Tommaso Calabro, dell’omonimo spazio milanese, quest’ultimo sostenendo che, già prima della pandemia, l’utilizzo di canali digitali fosse fondamentale per la sua attività. Nonostante le indubbie difficoltà, il gallerista si è detto soddisfatto del numero di visitatori registrato quest’anno, coinvolti anche tramite post e storie pubblicati su Instagram.
Per quanto riguarda Galleria Continua, questa sembra porsi controcorrente rispetto ai trend generali, avendo essa aperto la sua settima sede poco meno di un mese fa. Apertura che, dice Piazzesi, più che da una strategia anti-pandemia è stata dettata da una scelta impulsiva frutto di un’opportunità contingente. L’obbiettivo è quello di rafforzare il carattere “pubblico” della Galleria, da sempre impegnata a diventare uno spazio aperto agli artisti e alla comunità in cui si inserisce, portando avanti una sorta di “didattica artistica”.
Sul versante fiere è stato invece Simone Menegoi a parlare. La “sua” Arte Fiera ha deciso di rispondere alla crisi in un modo innovativo, fuori dal coro delle trasposizioni digitali che hanno ricalcato pedissequamente gli appuntamenti più importanti del calendario artistico. Menegoi e il suo tema hanno invece deciso di accantonare la natura commerciale della fiera per concentrarsi unicamente sul programma culturale. PLAYLIST si è rivelata essere una soluzione vincente, come hanno dimostrato i numeri registrati nella settimana in cui la piattaforma è stata disponibile al pubblico (26mila visite e 170mila pagine consultate).
Alla tavola rotonda non mancano poi le opinioni di che forse ha sofferto più di tutti: i musei. A parlare per primo è stato Mons. Simone Nicolini, Vicedirettore dei Musei Vaticani, che, dopo un 2020 fatto di aperture e chiusure alterante a ritmo serrato, ha raggiunto una nuova consapevolezza su quello che è il ruolo dei musei nella società d’oggi. E se il modo di gestirli si è modificato, a essere cambiate sono anche le aspettative del pubblico, il cui accresciuto bisogno di sicurezza determinerà le scelte gestionali del prossimo futuro. Perché per funzionare davvero un musei ha bisogno di visitatori che contribuiscano a farlo diventare un luogo generatore di vita sociale.
Il secondo contributo “museale” è stato quello di Francesca Rossi, Direttrice dei Musei Civici di Verona, che ha sottolineato l’importanza (ora più che mai fondamentale) di istituire una rete di relazioni con il pubblico e con il territorio. Nonostante le difficoltà affrontate nei mesi passati, la direttrice ha raccontato di uno straordinario sostegno ricevuto dai cittadini, tradottosi anche in numerose donazioni a favore dei Musei negli scorsi mesi.
A chiusura del confronto è intervenuto Ugo Nespolo, ridimensionando -almeno in parte- quanto detto in precedenza. In linea con quanto emerge dal suo ultimo libro (“Per non morire d’arte”, Einaudi, 2021), l’artista si dice preoccupato di come gli eventi artistici siano ormai diventati palcoscenici per il jet-set più che appuntamenti culturali. E se è vero che l’arte deve avere un suo mercato, questo non deve però essere un luogo artificioso, dove ciò che viene ben pagato è automaticamente considerato bello.
Insomma, nonostante tutto i dubbi rimangono ancora molti, così come le opinioni su come rispondervi al meglio. Certo è però che l’attuale crisi del mercato dell’arte non è imputabile soltanto all’emergenza sanitaria che un anno fa ha sconvolto le nostre vite. Il Covid-19 non ha fatto altro che accentuare ritardi congeniti di un mondo tradizionalmente refrattario ai grossi cambiamenti.
Nel male, alcune conseguenze sono state sicuramente positive, vedasi la maggior trasparenza con cui oggi fiere e gallerie conducono i propri affari e l’aumento di nuovi buyers (soprattutto millennials) che per la prima volta si sono approcciati al mondo delle case d’aste.
Questo anno “di pausa”, senza spostamenti tra Basilea, Maastricht e Miami, ha inoltre favorito una maggior consapevolezza sui temi di sostenibilità ambientale e sociale, complici anche i movimenti Black Lives Matter e la crescente importanza delle artiste donne.
Un mercato dunque sempre più internazionale, in cui però la location diventa secondaria rispetto alla qualità del venduto. Un mercato in cui a farla da padroni sono i collezionisti millennials e le aste cross-category. Dove i vernissage in galleria e le giornate di preview in fiera sono soltanto un ricordo. Almeno per il momento.