Eccelsa prova attoriale di Toni Servillo e Silvio Orlando in Ariaferma, il film con cui Leonardo Di Costanzo torna dopo nove anni alla Mostra del cinema di Venezia
Un carcere per metà dismesso, costruito in pietra, che accentua il senso di pesantezza e staticità. Una mancanza di dinamismo sottolineata dalle riprese statiche, che tuttavia contrasta con la grande vitalità dei personaggi. E sta proprio qui, nell’eccelsa prova attoriale dei personaggi, su tutti Toni Servillo e Silvio Orlando, il punto di forza di Ariaferma, il film con cui Leonardo Di Costanzo torna alla Mostra del cinema di Venezia, nove anni dopo aver qui presentato L’intervallo. Il vecchio carcere ottocentesco diventa teatro di un’atmosfera sospesa, di un’attesa metafisica che richiama alla memoria il clima de “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Libro, e poi film, diretto da Valerio Zurlini.
La struttura del film si costruisce poi nelle dinamiche relazionali fra le guardie carcerarie, fra i detenuti e nelle rispettive interrelazioni. Il detenuto Orlando e il capoguardia Servillo. In un formidabile rapporto empatico, malgrado personaggi antagonisti se non antitetici. E torna ad aleggiare il senso di attesa, di sospensione, nell’animo dei carcerati che attendono che accada qualcosa che non accade mai. Liberazione, o comunque trasferimento. Intanto fra le due “classi” si dipanano meccanismi di complicità, di condivisione, di pietas. Che trovano l’acme nella scena del black out elettrico, quando detenuti e guardie si riuniscono un una “ultima cena” alla luce delle torce da campeggio.