Un fanciullo libero da condizionamenti riesce a smascherare la violenza insita nella società contemporanea. Questo il plot della mostra dedicata a Luca Staccioli da State Of. A Milano fino all’8 ottobre.
Niente può mantenersi sano di mente in condizioni di assoluta realtà recita il lungo ma evocativo titolo della mostra dedicata a Luca Staccioli. Conviene dunque abbandonare le funi che ci ancorano al reale e provare a inserirsi nel meccanismo che l’artista, insieme al curatore Dario Moalli, ha allestito nello spazio espositivo di State Of. Una mostra costituita da varie stratificazioni, sia a livello contenutistico che tecnico.
Impossibile non partire dal titolo, liberamente ispirato a una frase del libro L’incubo di Hill House della scrittrice Shirley Jackson. Volendo forse forzare un’adesione tra arte e vita, potremmo ricondurre la citazione alla difficile esistenza della donna in una società fortemente patriarcale. Jackson ha dovuto combattere a lungo per non lasciarsi intrappolare dalle catene sociali che avrebbero potuto soffocare la sua creatività sotto gli obblighi di moglie e madre. Per fortuna, una battaglia che è riuscita a vincere.
Possiamo quindi ispirarci a lei mentre affrontiamo la mostra: liberi da condizionamenti sovrastrutturali, epurati dal peso dell’esuberanza paternalistica del mondo in cui viviamo. Un mondo brutalizzato dalle guerre, economiche e militari; un mondo guidato dall’individualismo e dal desiderio illimitato, veicolo per una competizione continua e snervante; un mondo sovraccaricato da immagini e stimoli dilaganti, motore di un indottrinamento passivo ma penetrante. Un mondo che cerca di coprire tutto questo sotto una patina luccicante, ma talvolta non abbastanza.
Per superare la coltre di educazione e regolamentazione che ottenebra il nostro giudizio sulla realtà, Staccioli ha ideato un alter ego-fanciullo. Un’entità capace di sfuggire al ciclo distruttivo del reale, anche grazie a un’infantile reticenza a essere inquadrato in un sistema, a trovare un lavoro, ad aderire a un partito, a incasellarsi in una definizione. Insomma, un individuo dal pensiero libero, privo di qualsivoglia indottrinamento. É improduttivo ed emotivo, per questo sfugge agli imperativi che la società vorrebbe imporgli. Così riesce a osservare la realtà nella sua natura tossica.
Anche la mostra, su cui ora entriamo nel merito, è pensata come la proiezione della cameretta di un bambino. Lo notiamo dai giochini, piccoli pupazzetti dai colori vivaci e dalle forme arrotondate. Le cromie rimbalzanti tra il rosa e l’azzurro diffondono un’atmosfera infantile, quasi accogliente. Questa viene però velocemente negata, non appena si viene attirati dalle complesse cornici rosa, pieni di vari oggetti di uso comune quali mestoli e altri utensili. Al loro interno – applicate con varie tecniche quali disegno, ricamo e collage – trovano spazio immagini, a loro modo tutte violente, raccolte da internet, tv e archivi storici. Si tratta de ciclo intitolato Familiar Pics, perfetto esempio dell’immaginario delirante e controverso di un bambino posto di fronte all’essenza degenerata della realtà.
Tale condizione, come evidente in Please stand behind the yellow line (DHG), si estende all’uomo e alla sua vita quotidiana. Nel video tutte le persone, nelle loro attività giornaliere, indossano guanti gialli che esasperano il sentimento di emotività anestetizzata e di impossibilità a comprendersi. Il suono di un sveglia dà il via a un ripetersi ossessivo e quasi inconsapevole, una irrealtà normativizzata che dal grottesco scivola velocemente nell’inquietante.
Così la mostra vorrebbe essere un invito a prendere consapevolezza della deriva violenta e anaffettiva a cui la visione neo-liberista sta conducendo la società. In una realtà che ci ha assoggettato fino a farci perdere l’orientamento, non rimane che affidarsi a una guida – questo bambino, questo non-adulto, questo Virgilio liberatore – capace di condurci verso una lucidità persa.