Lovely Boy, il secondo lungometraggio di Francesco Lettieri, non è solo un’esplosione di ego, ma anche una richiesta di aiuto verso una società che dovrebbe riflettere più su sé stessa
«La roba che facciamo noi neanche c’ha un nome. Stamo su Marte, stupidi terrestri». Così Lovely Boy (Andrea Carpenzano) parla ai suoi follower in una delle prime scene di un film che si muove su due binari temporali consequenziali, presentati parallelamente. Il primo è quello della scena trap romana, di cui il protagonista fa parte insieme al suo socio Borneo con il duo XXG. È una realtà rallentata dalla noia perenne, dall’abuso di droghe, dai soldi per i soldi. Qui tutto passa senza lasciare traccia, come la nascita di un bambino o la morte di un cane. Il secondo ruota intorno alla Stammer, una comunità di tossicodipendenti sulle Dolomiti, dove Niccolò butta giù la maschera e fa i conti con il ragazzo che è. È il mondo reale in cui le cose non accadono, ma si vivono e a volte tagliano in due. Perché solo quando la vita riacquisisce senso anche la morte lo ha.
Lovely Boy non è un film sulla malavita, sulle periferie o sulla trap. Come ricorda Francesco Lettieri, nello speciale targato Sky, il suo primo rapporto con questo genere è stato di rifiuto totale. Progressivamente si è interessato alle storie dei protagonisti della scena. Così il film «è una richiesta di aiuto, di un ragazzo che ha più o meno tutto, ma in verità non ha niente». È la parabola di uno dei tanti giovani disillusi, un figlio di mezzo della storia che cerca di trovare sé stesso tra botte, autotune e tatuaggi in faccia. Niccolò è accompagnato da tanti falsi sorrisi e pochi sguardi reali, come quelli della sua ragazza Fabiana (Ludovica Martino), l’unica a considerarlo una persona e non un personaggio. Nella sua catabasi a un eccesso ne segue un altro, fino a che la gang si scioglie e Lovely diventa Lonely Boy.
La trap non è solo lo sfondo della vicenda. È l’anima di Niccolò, la forma di espressione del suo dissenso radicale, profondamente nichilista, contro tutto e tutti. Nell’intervista Enrico Borello (Borneo) sottolinea come sia un fenomeno artistico incredibile, un’esplosione di ego in una società che «è abituata a unire, ma unire molto spesso omologando piuttosto che valorizzando le differenze», e per questo in parte associabile al punk. Parzialmente, appunto. Perché quasi sempre la trap, evidenziando un problema sociale diffuso, invece di contrastarlo ci sguazza dentro in maniera consapevolmente caricaturale. Il dissenso muta nell’assenso al vuoto proprio di una società liquida, materialista e politicamente corretta, che spesso degenera in un abisso autodistruttivo ancora più profondo:
Prego per quelli che mi amano, quelli che dicono blablabla,
Prego per quelli che mi odiano, quelli che dicono blablabla,
Prego per quelli che pregano, quelli che pregano blablabla,
Prego per quelli che ascoltano, tutti i miei blablabla.
Nel rehab in montagna, tra lo sterco dei cavalli e i drammi delle persone, non c’è spazio per Lonely Boy. Faccia a faccia con la morte Niccolò scende da Marte e ritorna sulla Terra, cercando di riprendersi le sue idee, il suo equilibrio, la sua musica. Al ritorno in società vorremmo proprio che il film non finisse, ma è giusto così. In poco più di un’ora e mezza Lovely Boy dice tanto, e lo traduce bene, mostrando come l’arte possa svolgere un ruolo sociale non indifferente. «Che poi artista è una parola orrenda – confessa Carpenzano – io sono un miracolato, un ladro miracolato».
>> Lovely Boy è stato presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli autori della 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dal 4 ottobre è su 4 ottobre su Sky Cinema e NowTV.