Archetipi, relazioni, personaggi rientrano nel vocabolario visuale di Julião Sarmento (Lisbona 1948- 2021). Mentre dal punto di vista formale la sua gamma cromatica si riduce nel tempo in modo da eliminare ogni dettaglio superfluo per concentrarsi sull’essenziale. Un vocabolario che ha il suo centro luminoso nella complessità delle relazioni interpersonali, nell’instabilità, nelle contraddizioni del desiderio e nell’impossibilità di trattenerlo completamente.
Nell’accurata messinscena dell’artista portoghese si rivelano solo frammenti di desiderio, come la seduzione di un gesto, capace di indurre nello spettatore il lavoro del sogno, immagini o sensazioni già vissute. Forse perché l’itinerario del desiderio è accompagnato quasi sempre dalla paura del desiderio stesso, le immagini si concentrano sul frammento, la traccia mnestica, si apparentano con qualcosa che ha che fare con il feticismo dell’oggetto rappresentato.
In effetti nella sua opera coltissima, impregnata di filosofia, psicoanalisi, cinema, letteratura, il desiderio si fa “metonimia della mancanza ad essere” (Lacan). Diviene l’intervallo, il fuori campo, con il bianco gessoso della pittura a sottolineare il non detto, l’assenza. Appaiono, a volte lievi esercizi di linee che nel fondo bianco del quadro fanno intuire corpi, spazi, quasi a suggerire interni chiusi, domestici. Il desiderio del resto, per esercitarsi, ha bisogno di un vuoto, dell’incertezza, dell’estraneità, dell’enigma così che le immagini di Sarmento racchiudono varie, complesse narrazioni.
Avverte l’artista: “La mia opera è spesso ridotta al desiderio quando non si tratta solamente di questo. Quando si parla di desiderio si cerca sempre di sfuggire alle parole e ai concetti. Io preferisco lavorare sul desiderio di sapere, di comprendere la vita, piuttosto che sul desiderio sessuale di un uomo per una donna”. Sarmento si mette in sintonia con l’inconscio di ognuno di noi, dove, citando ancora uno degli adagi tanto amati da Lacan “il rapporto tra sessi diversi non esiste, non c’è rappresentazione della differenza sessuale”.
L’icona di Sarmento è una giovane donna priva di volto, vestita con un abitino nero che ne accentua il carattere anonimo. Su questa immagine viene esercitata la fantasia di chi guarda. Marlene (2006) appartiene alla serie Hollywood dedicata ai personaggi femminili del cinema noir: i quattro frammenti che compongono il quadro sono tenuti insieme da bianchi maculati e profondi, alcune parti sono cancellate, ma ancora percepibili.
Davanti alle sue opere stranianti, misteriose, lo spettatore si ritrova a proiettare come su uno schermo conflitti, fantasie, tristezze, mancanze, domande insoddisfatte, immaginare scene che non si fermano all’apparenza, al semplice gesto, ma a ciò che evocano o soltanto suggeriscono. I testi che ricorrono nei grandi quadri contribuiscono ad aprire uno spazio di riflessione, quasi a rompere con l’immediatezza dell’opera per fare esercizio di memoria, altro tema ricorrente nella sua estetica.
Artista multimediale, la sua produzione ha contemplato nel corso del suo lungo iter artistico differenti mezzi espressivi, pittura, scultura, fotografia, video. Julião Sarmento avvia fin dagli anni ’70 una carriera di successo internazionale: Documenta a Kassel nel 1982 e 87, la Biennale di Venezia dove ha rappresentato il Portogallo nel 1997, la Biennale di San Paulo 2002 sono alcuni fra i momenti più importanti della sua carriera. In Italia si ricordano la grande mostra alla Galleria di Arte moderna di Bologna, alla GAM di Torino e l’ultima del 2021 “On Goya” alla Galleria Giorgio Persano di Torino.