In questi giorni ne onoriamo la memoria come Presidente del Parlamento Europeo e come politico di primo piano, per lui si preparano funerali blindati alla presenza di personaggi europei di spicco; ma David Sassoli (Firenze, 30 maggio 1956 – Aviano, 11 gennaio 2022) è stato per più di venticinque anni un giornalista, prima per la carta stampata e nelle agenzie, poi alla Rai, dove ha condotto telegiornali e trasmissioni televisive. In tutto questo tempo, da giornalista e da politico, Sassoli ha mostrato il volto di una persona perbene.
Alla fine degli anni novanta, dopo la conduzione de La vita in diretta (allora su Rai2), a David Sassoli era stato affidato un programma giornalistico in prima serata su Rai1, che firmò anche come autore. In quegli anni, chi scrive collaborava per le pagine degli spettacoli di uno dei principali quotidiani nazionali. Il caposervizio mi disse di contattare Sassoli, che nel frattempo iniziava a diventare uno dei volti di punta della Rai, per un’intervista. Lo chiamai e, molto gentilmente, mi chiese di passare a trovarlo in redazione. Era l’era pre-internet, nessuno sapeva niente di nessuno se non attraverso fonti giornalistiche, le interviste si svolgevano perlopiù al telefono e attori e conduttori televisivi rispondevano alle domande mentre si recavano a qualche appuntamento o dal telefono fisso del salotto di casa propria. Quando non volevano rispondere bisognava coglierli di sorpresa o andare a stanarli all’ingresso del teatro dove facevano le prove. Quindi, recarsi di persona alla redazione del programma per la sottoscritta fu motivo di curiosità giornalistica, ma anche di cautela; ovvero, se l’interlocutore voleva incontrarmi di persona, l’intervista sarebbe potuta risultare più ostica di quello che credessi.
L’incontro con David Sassoli
Niente di tutto questo: attesi solo qualche minuto, seduta in una stanza degli studi Rai, e David Sassoli arrivò, salutandomi con un sorriso tra il sereno e il malinconico: “Ciao Letizia, come stai?”, mi disse, benché non ci fossimo mai incontrati di persona, dandomi subito del tu come si usava fra colleghi giornalisti. All’inizio sembrava addirittura cauto riguardo lo spazio che il nostro giornale voleva riservargli. Si sedette davanti a me e parlammo per quasi un’ora, mi spiegò, con un tono calmo e deciso al tempo stesso, il tipo di trasmissione che voleva mandare in onda; e da ciò che diceva si capiva che ci teneva a realizzare un programma di servizio ed era quasi emozionato mentre raccontava le idee che con il suo gruppo di lavoro voleva mettere in pratica. Presi appunti, come facevo sempre, e ci salutammo con una stretta di mano; nessuna distanza, ostilità o diffidenza aleggiava in quella stanza, David era sicuro di essersi spiegato e che avrei ben interpretato le sue parole. L’articolo uscì il giorno dopo, in apertura della pagina degli spettacoli, con una sua bella foto orizzontale in cui il giornalista guardava l’obiettivo con quel sorriso tranquillo che ci saremmo abituati a conoscere in seguito, nel corso dei tanti anni di conduzione al Tg1. Il programma, in realtà, non andò benissimo; al contrario di adesso, si viveva un momento in cui gli approfondimenti giornalistici non brillavano per ascolti e l’ardito esperimento in prima serata fu fermato dopo quattro puntate.
Il resto è storia: la vicedirezione del telegiornale, l’elezione a deputato europeo, le primarie come sindaco di Roma (Sassoli arrivò secondo, dopo il futuro sindaco Ignazio Marino), infine la presidenza del Parlamento Europeo. Ma durante gli anni che sono trascorsi da quell’intervista, nello stile garbato, nelle parole equilibrate, mai aggressive o pesanti, nelle argomentazioni prive di retorica, ho riconosciuto il David Sassoli del quale in Rai tanti parlavano con stima; il giornalista affabile che accoglieva la collega più giovane e meno esperta. In poche parole, una persona perbene. Forse Sassoli sarebbe stato un nome adatto come possibile candidato alla Presidenza della Repubblica; a prescindere dallo schieramento politico, è proprio di persone come lui che, oggi più che mai, il Paese ha bisogno.