È aperta a Roma la grande mostra “Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco” (fino al 3 luglio) organizzata dalle Scuderie del Quirinale e dalla National Gallery di Washington, con la collaborazione del Comune e dei Musei di Genova
Dopo anni di studi e importanti rassegne sul barocco genovese è arrivata la mostra clou, che riunisce e ripercorre tutto in un vasto scenario. Un grande progetto, pensato per una prima tappa a Washington, annullata per la pandemia di covid nell’autunno scorso (ma di cui rimane fortunatamente il catalogo) e realizzata a Roma, con la co-organizzazione della National Gallery di Washington. Curatori di entrambe le esposizioni, Piero Boccardo, Jonathan Bober, Franco Boggero.
Il titolo di Superbarocco è in linea con l’appellativo di Superba di Genova, la città che tra la fine Cinquecento e i primi del Settecento, è stata una delle grandi capitali economiche d’Europa. Grazie ai traffici, ai commerci, alle banche, le nobili famiglie genovesi hanno accumulato tra ‘500 e ‘600 enormi ricchezze che hanno permesso loro di formare importanti collezioni d’arte e di arricchire chiese e palazzi. Una selezione di 120 opere (dipinti, sculture, argenti, disegni) giunte da musei e collezioni internazionali, permettono al grande pubblico di conoscere una straordinaria stagione dell’arte genovese. E di ammirare capolavori come l’Adorazione dei pastori (1645) di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, proveniente dalla chiesa genovese di San Luca, la grande tela di Rubens con Giovan Carlo Doria del 1606, la bellissima Madonna col Bambino e san Giovannino di Bernardo Strozzi del 1616-1617, e, dello stesso Strozzi, La cuoca del 1625, e poi l’Immacolata d’argento del Museo del Tesoro della cattedrale di Genova del 1606, e molte altre meraviglie.
Il Barocco genovese rappresenta un periodo di grande creatività per la città, con proprie caratteristiche. Si articola infatti in varie correnti parallele, in cui hanno spazio non sono originali artisti genovesi come Valerio Castello, Gregorio de’ Ferrari, Gioachino Assereto, Alessandro Magnasco, ma anche grandi stranieri come Antoon Van Dyck, Rubens, la colonia di fiamminghi, lo scultore francese Pierre Puget e italiani come il milanese Giulio Cesare Procaccini, il campano Francesco Solimena, l’emiliano Marcantonio Franceschini. Non mancano artisti genovesi attivi in altre regioni italiane come Bernardo Strozzi e Filippo Parodi che lavorano Venezia, Castiglione a Roma e Magnasco a Milano. Queste varie personalità e la loro diversa cultura contribuiscono a creare un linguaggio locale composito e nuovo, tramandato per generazioni attraverso botteghe famigliari, ma spesso circoscritto alla città e non sempre, nel passato, compreso e apprezzato come meritava.
La mostra (catalogo Skira-Scuderie del Quirinale) conduce attraverso i vari aspetti e personalità dagli inizi tardo cinquecenteschi in cui a Genova i pittori locali si imbattono in presenze forestiere romane, toscane, nordiche che influiscono sulla loro formazione. Così ecco Rubens con la grande tela con i Miracoli del Beato Ignazio di Loyola del 1619 (dalla chiesa del Gesù di Genova), la sensuale Estasi della Maddalena, del 1618-1621, di Procaccini, il capolavoro di Simon Vouet con San Sebastiano curato da sant’Irene e da un’ancella del 1622 circa e il Sacrificio di Isacco di Orazio Gentileschi del 1611-1615.
Poi gli “esordi genovesi”, la nuova generazione di artisti locali che, accanto alla lezione dei maestri forestieri, tendono ad una visione naturalistica e ad una particolare attenzione ai dati emozionali, come dimostrano la Madonna col Bambino e san Giovannino di Bernardo Strozzi, del 1617-1620, una paffuta e rosata contadina coi pargoli e il suo cesto di frutta o la giovane Cuoca, dello stesso artista, del 1625, che guarda pensosa lo spettatore mentre spenna anitre e oche. Accanto ai dipinti, bacili e brocche in argento sbalzato e cesellato, raccontano il gusto sofisticato dei nuovi collezionisti genovesi.
Particolarmente interessante la tappa che porta negli anni trenta, attraverso maestri fiamminghi come Van Dyck e i suoi magnifici ritratti di nobili e borghesi (Agostino Pallavicino in veste di ambasciatore; Elena Grimaldi Cavalleroni Cattaneo), o come l’anversese Cornelis de Wael e le sue parabole dipinte. Ma a colpire sono i pittori di genere con le loro colorate e affascinanti nature morte: La dispensa di Giacomo Legi, del 1630 circa, rivela la ricchezza dei prodotti, dai funghi alle prugne fresche, dai volatili a zucche e alle pesche, dai crostacei alla cacciagione.
Poi, alla ribalta arrivano gli artisti genovesi di metà secolo e oltre, che sfilano in percorsi quasi monografici, Assereto, Castiglione, Fiasella, Giovan Andrea de Ferrari. Quest’ultimo con il suo capolavoro, l’Ebbrezza di Noè, del 1630-1640, che affascina per la naturalezza di quel corpo di vecchio robusto ed ebbro, abbandonato a terra dopo aver scoperto la vite, con accanto il fiasco rovesciato e i chicchi d’uva. Affascina anche lo studio espressivo dei volti dei tre figli che indicano le nudità del padre tra stupore, irriverenza e scandalo, cercando di coprirle. Davvero superbo, anzi super, il Barocco genovese.
SUPERBAROCCO. Arte a Genova da Rubens a Magnasco
dal 26 marzo al 03 luglio 2022
ORARI
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00 L’ingresso è consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura