Si è da poco conclusa la 6a edizione del Riviera International Film Festival (10-15 maggio), che ha visto coinvolte tre location di una tra le più belle mete turistiche del Tigullio, Sestri Levante: lo storico Cinema Ariston, la Riff Lounge in Piazza Matteotti e il suggestivo ex Convento dell’Annunziata. In contemporanea, alcune proiezioni all’aperto si sono svolte nello scenario esclusivo del borgo marinaro di Portofino.
Una manifestazione giovane rivolta ai giovani – i film selezionati, quasi tutti anteprime italiane, sono diretti da registi Under 35 – che, fin dalla prima edizione nel 2017, ha saputo imporsi a livello internazionale. Lo ha fatto sia attraverso la qualità dei film selezionati – a partire dalla seconda edizione, al concorso dedicato ai film di finzione si è affiancato quello riservato ai documentari – sia grazie allo spessore delle personalità che ha saputo attrarre a Sestri Levante. Diversi i premi Oscar che il pubblico del Festival ha potuto apprezzare nel corso di questi sei anni. Due solamente nella prima edizione: Gianni Quaranta, Oscar alla miglior scenografia nel 1987 per A Room with a View di James Ivory, e David Franzoni, Oscar al miglior film nel 2001 in quanto soggettista e co-sceneggiatore di Gladiator di Ridley Scott.
L’edizione 2022 del Festival ha visto presiedere la Giuria dei film in concorso Casey Affleck, Oscar al migliore attore protagonista nel 2016 per l’acclamato Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan, a sua volta presidente della giuria a Sestri Levante nel 2021. Sempre quest’anno sono state organizzate, parallelamente alle proiezioni, vere e proprie masterclass in cui ospiti come Dante Spinotti – direttore della fotografia di film come The Last of the Mohicans di Micheal Mann (1992) –, Joan Bergin – costumista di The Prestige di Christopher Nolan (2006) – e lo stesso Casey Affleck (vincitore dell’Icon Award insieme a Bergin) hanno raccontato, anche dal punto di vista tecnico, alcuni degli aspetti più interessanti del proprio mestiere. Al Festival hanno partecipato anche attori e attrici come Alessandro Gassmann (premiato, in occasione della proiezione del suo ultimo film Il silenzio grande, con il Career Award), Luca Zingaretti, Chiara Francini, Anna Safroncik, Paolo Ruffini, il regista Gabriele Muccino, il produttore Benedetto Habib, il fumettista Giuseppe Camuncoli, il fondatore dell’organizzazione ambientalista TreePeople Andy Lipkis (premiato con il Planet Star Award), lo scrittore Giorgio Caponetti e la giornalista e scrittrice Rula Jebreal (vincitrice del Human Star Award).
Un festival, come dice il nome stesso, di respiro ampiamente internazionale, per quanto riguarda le produzioni cinematografiche presentate sia in concorso che fuori. L’Italia, in questa edizione, è stata rappresentata da Amuka (2021), produzione di matrice belga ma diretta dal regista italiano Antonio Spanò, che l’apposita Giuria ha decretato Best Documentary. La pellicola racconta il paradosso di una ex-colonia belga, ovvero l’odierna Repubblica Democratica del Congo, dove gli agricoltori rappresentano il 70% della popolazione ma in cui un congolese su due soffre la malnutrizione. Tra i documentari in concorso si sono distinti anche Ride the Wave (2021) di Martyn Robinson – incentrato sulle evoluzioni di un giovanissimo surfista alle prese con le onde atlantiche lungo le coste dell’Irlanda –, premiato con lo Sky Nature Award, e Dead Sea Guardians (2021) degli israeliani Ido Glass e Yoav Kleinman – storia di nemici storici che uniscono le loro forze per fermare il prosciugamento a cui sta andando incontro il Mar Morto a causa della cattiva gestione delle sue acque –, che si è invece aggiudicato la Special Mention del Festival.
Otto le diverse nazionalità che hanno contraddistinto la sezione dedicata ai film in concorso. Arrivano dall’Ungheria – da cui proveniva anche il film che ha trionfato nell’ultima edizione, As Far as I Know (2020) di Nandor Lorincz e Balint Nagy – ben due delle dieci pellicole in competizione. La prima, Things Worth Weeping For (2021) di Cristina Grosman, riflette una luttuosa esperienza autobiografica della regista che l’ha aiutata, alla soglia dei 30 anni, a prendere in mano il proprio destino. La seconda, Wild Roots (2021) di Hajni Kis – racconto del travagliato rapporto tra un padre che rifugge dalle proprie responsabilità e una figlia che non accetta di essere privata della figura paterna che le spetta –, ha trionfato sia nella competizione “regina” del festival (Best Movie) che in quella più “popolare”, riscuotendo il favore del pubblico in sala (Audience Award). Non solo: l’attore protagonista del film, Gusztáv Dietz, alla sua prima esperienza davanti alla macchina da presa, è stato riconosciuto come Best Actor. Best Actress sono state elette, ex aequo, le co-protagoniste del macedone Sisterhood (2021), curiosamente il titolo originale è Sestri, che in diverse lingue balcaniche significa “sorelle”), diretto da Dina Duma, il quale racconta le pericolose e irreversibili dinamiche che internet riserva quando lo si utilizza senza riflettere sulle possibili conseguenze delle nostre azioni.
Ha ricevuto la Special Mention della Giuria del Festival il russo Unwanted (2021). Il film, la cui regista Lena Lanskih è stata peraltro eletta Best Director, segue le vicende della quattordicenne Vika (Olga Malahova), residente in una piccola città degli Urali, che si ritrova già madre di un bambino: il suo desiderio di vivere la propria adolescenza come tutti gli altri verrà presto a scontrarsi in modo drammatico con le sue responsabilità materne. Si è aggiudicato infine lo Students Award – assegnato dagli studenti di cinema dell’Accademia 09 di Milano – il francese The Braves (2021) di Anaïs Volpé, commovente ritratto di due amiche unite dalla passione per la recitazione, il cui rapporto viene però messo in crisi da un drammatico ed inaspettato evento.
Tra il film che non sono stati premiati, Youth Topia (2021) – produzione svizzera diretta dal tedesco Dennis Stomer –, ovvero un’interessante riflessione, resa con una fotografia dai colori vivacissimi, sul passaggio all’età adulta. Nel film, a decidere chi è pronto a lasciare l’adolescenza, è un algoritmo, il quale contestualmente, analizzando le caratteristiche dell’individuo prescelto, si occupa di assegnargli l’impiego lavorativo “perfetto”: la protagonista, improvvisamente promossa allo stato di “adulta”, si trova a dover far coincidere la sua nuova vita con gli amici, rimasti fermi al grado di “giovani”, e con il padre che, retrocesso, è tornato a comportarsi in modo del tutto infantile. A Feature Film About Life (2021) della lituana Dovile Sarutyte prende spunto da una vicenda autobiografica della regista, ovvero la scomparsa del padre. L’attrice che impersona la regista, Agnė Misiūnaitė, anch’ella orfana di padre, riesce a restituire con fedeltà lo straziante compito di doversi occupare del funerale di un proprio caro: al tempo stesso, tuttavia, la pellicola (il cui titolo richiama alla vita, pur proponendo una trama che si sviluppa e racconta di una morte) regala inattesi momenti di genuina comicità che riescono a proiettare un raggio di luce su di una tematica solitamente così infelice.
Direttamente dal Sundace Film Festival di Salt Lake City, dove si è aggiudicato il World Cinema Dramatic Special Jury Award, arriva il filippino Leonor Will Never Die (2022) di Martika Ramirez Escobar, esperimento che sconfina nel “metacinematografico” – per la gioia dei cinefili – in cui Leonor, una regista in pensione, va in coma dopo che un televisore le è caduto in testa: si ritroverà ad essere l’eroina della sceneggiatura che lei stessa stava scrivendo prima dell’incidente. Dal Cile proviene invece The Cow Who Sang a Song Into the Future (2022) di Francisca Alegria, vicenda a tratti ben ancorata alla realtà di oggi, dove le conseguenze dell’agire sconsiderato dell’uomo sono sotto gli occhi di tutti – il film mostra la morte di migliaia di pesci nel sud del Cile a causa dei liquami tossici sversati nel fiume da una fabbrica di cellulosa –, in altri momenti decisamente surreale, dove la pellicola racconta la storia di una famiglia cilena la cui madre, morta da tempo, improvvisamente ritorna nel mondo dei vivi, portando alla luce tensioni familiari che la sua scomparsa aveva lasciato irrisolte.
Last but not least un “piccolo” film (circa 200.000 € di budget, nulla o quasi in confronto anche solo a una produzione hollywoodiana low cost) di un giovane regista ceco (classe ’94), Adam Koloman Rybanský. I titoli di testa della pellicola, presentata durante l’ultima edizione della Berlinale nella sezione Panorama, precisano: “Un film di Adam Rybanský e dei suoi amici”. Intitolato Somewhere Over the Chemtrails (2022), è ambientato in un piccolo e sperduto paese nella regione di Zlín (Zlínský Kraj), nel sud-est della Repubblica Ceca. La cittadina di Zlín, capoluogo della regione, non raggiunge i 100.000 abitanti, ma dispone comunque di un fondo per la cinematografia, lo Zlín Film Fund, il quale ha contribuito a finanziare questo film, in collaborazione con la Televisione Ceca. Il progetto, comunque, non sarebbe esistito senza il contributo volontario dei compagni di corso di Rybanský, che insieme a lui, grazie a questo film, si sono laureati alla FAMU, prestigiosa scuola di cinematografia di Praga.
Con la lente del surreale – trasmessa, a livello visivo, da inquadrature quasi esclusivamente fisse e di lunga durata –, Somewhere Over the Chemtrails racconta la storia di una piccola cittadina di provincia, la cui tranquilla vita è stravolta da un evento sconcertante: durante i festeggiamenti pasquali, subito dopo i fuochi d’artificio – a cui assistono tutti tranne il prete del paese, che si rifugia in chiesa – un furgone va schiantarsi a tutta velocità contro una fontana, lasciando ferita una persona. Ad intervenire prontamente è il risoluto capo dei pompieri volontari Bronya – interpretato da Miroslav Krabot, noto regista e attore teatrale ceco, protagonista di The Man From London di Béla Tarr, che nel 2007 fu tra i film in concorso a Cannes –, il quale, non trovando nessuno alla guida, non esita a etichettare il fatto come un deliberato attacco terroristico di matrice musulmana, convincendo la comunità della necessità di difendersi ad ogni costo. Il vero protagonista del film è pero Standa – impersonato dall’attore teatrale Michal Isteník –, uomo impacciato ma di buon cuore, che, come Bronya, fa parte del corpo dei vigili del fuoco del paese. Bronya, da poco rimasto vedovo della moglie con cui non ha potuto avere prole, vede in Standa un figlio, mentre Standa, avendo perso il padre, riconosce in Bronya una figura autoritaria a cui appoggiarsi, seguendolo anche nelle espressioni più xenofobe o propriamente razziste.
La svolta, per Standa, avviene quando Bronya gli confida che a provocare l’incidente non sono stati i terroristi, ma l’ubriacone del paese, chiedendogli tuttavia di mantenere il segreto per evitare che i compaesani tornino a disinteressarsi della minaccia straniera che, secondo Bronya, incomberebbe sulla comunità.
Abbiamo rivolto al regista qualche domanda.
Come ti è venuta l’idea di fare questo film? Sei partito dalle “scie chimiche”, che ricorrono sia nel titolo sia, più volte, durante il film…
A.R: Tutto è partito da una semplice domanda: che cosa succederebbe se un camion lanciato a tutta velocità si schiantasse, invece che nel centro di una grande città affollata di turisti, nel mezzo di un piccolo paese di 200 abitanti? Per quanto riguarda le scie chimiche, mi sono basato su una delle teorie del complotto più diffuse su internet, secondo cui le scie lasciate in cielo dal passaggio degli aerei siano materie tossiche sparse dai “poteri forti” per avvelenarci. Oggi siamo costantemente bombardati di informazioni, credo che in fondo non sia strano se poi la gente sia così confusa da non distinguere cosa sia vero, o razionale, e cosa no.
Per costruire il film ti sei servito di pochi personaggi ben caratterizzati. Pensi che il microcosmo rappresentato nel film possa avere una portata universale?
A.R: Mi piacerebbe. Sicuramente i temi che ho voluto toccare – come per esempio il potere che la paura di ciò che non conosciamo ha su di noi quando questa viene usata per manipolarci – si possono ritrovare ovunque, non solo nelle piccolissime realtà come quella che ho voluto raccontare.
Quanto è importante nel film il rapporto tra i protagonisti, Standa e Bronya?
A.R: Riveste un’importanza centrale. Bronya, tra i due, viene spesso identificato come il personaggio negativo, ma non è così. Bisogna osservarlo attraverso gli occhi di Standa, che, nonostante alla fine del film si renda conto che Bronya è razzista, non smette di essere suo amico. Con questo non voglio giustificare certi comportamenti, ma solo dire che, a volte, bisognerebbe provare a comprendere più che giudicare.
Cosa hai voluto comunicare con lo stile di regia che hai adottato nel film, caratterizzato da inquadrature fisse e di lunga durata, con pochissimi movimenti di camera?
A.R: Ho voluto costruire una serie di fotografie del villaggio: la lentezza di molte scene è un modo di riprodurre la sensazione che si prova vivendo in una comunità così piccola (Rybanský è nato in un piccolo paese della Repubblica Ceca, ndr), dove il tempo spesso sembra fermarsi.
Chi non ha potuto partecipare al Festival potrà vedere il film in sala o su qualche piattaforma?
AR: Ancora non lo sappiamo, questo è il primo Festival a cui partecipiamo in concorso dopo il passaggio fuori concorso alla Berlinale. Della vendita del film si sta occupando Plutofilm, speriamo che in futuro il film venga distribuito anche in Italia.
Proprio di un piccolo film come Somewher Over the Chemtrails ci ha parlato il Presidente della Giuria Casey Affleck, a cui abbiamo chiesto un commento sul festival:
I film selezionati sono tutti fantastici. Amo i festival come questo, sono fondamentali per mantenere vivo l’interesse del pubblico verso il cinema. I film indipendenti che trovano spazio al Riviera International Film Festival rischierebbero di andare persi altrimenti. Inoltre questa è una grande opportunità per i registi, in particolare per i molti esordienti che ogni anno partecipano al Festival, non solo di far conoscere il proprio lavoro, ma anche di confrontarsi l’uno con l’altro”.