Si è aperta a Palazzo Blu di Pisa una grande mostra dedicata a “I Macchiaioli” (8 ottobre 2022-26 febbraio 2023), a cura di Francesca Dini, la maggiore esperta del movimento
Di mostre dedicate ai Macchiaioli ce ne sono state tante, anche recenti, ma questa, con le sue 120 opere, è una delle più affascinanti e complete, che conducono dalla nascita del fenomeno macchiaiolo alla fine attraverso la bellezza. Si respira il clima di quello straordinario Ottocento, pieno di luce, di mare, di polvere dei campi di battaglia, delle campagne gialle di fieno, dove i buoi pascolano tranquilli. Si respira l’aria di un’Italia ancora vergine, intonsa, ricca di valori, inesorabilmente perduta. Donne che cuciono camicie per soldati e bandiere, militari a cavallo, monache che pregano di primo mattino. Sono gli anni sessanta dell’Ottocento, carichi di poesia.
Il termine “Macchiaioli” nasce nel 1862 da un recensore della Gazzetta del Popolo per definire quei pittori che intorno al 1855 rivoluzionano la pittura realista in senso antiaccademico. Non mancava una nota dispregiativa, con allusione a “darsi alla macchia”. Al contrario, la parola “macchia” ha origini lontane e profonde: Giorgio Vasari nel ‘500 a proposito delle opere mature di Tiziano, fatte di colpi di colore, spesso con le dita, parlava di «macchie di maniera», che da vicino non si vedono e da lontano appaiono perfette. Giovanni Fattori, il grande maestro livornese, diceva che «La macchia è la solidità dei corpi di fronte alla luce».
Se per molto tempo i Macchiaioli, innovatori all’avanguardia, sono passati in seconda linea rispetto agli Impressionisti, in questi ultimi decenni si stanno riprendendo il ruolo e il valore internazionale che meritano. Come gli Impressionisti, questi pittori giocano con la luce e dipingono “en plein air”, o in suggestivi interni, ma mantengono il valore della forma caricandola di sole e luminosità. Senza negare che, con i soggiorni a Parigi, alcuni di loro assimilano il messaggio impressionista. La loro infatti è una pittura europea che, partendo dal realismo di Gustave Courbet e di Joseph Proudhon, e da quello storico italiano, lavora sulla “macchia” del Cinquecento veneziano, rappresentando scenari naturali, da Venezia a La Spezia, dalla Lombardia alla Toscana, da Firenze al litorale livornese.
La mostra presenta una serie di capolavori, di collezioni private non facilmente accessibili e di importanti istituzioni italiane. Si articola in undici sezioni. La prima “Al Caffè Michelangelo” di Firenze, situato allora nell’attuale via Cavour, riguarda il periodo iniziale, quando alcuni giovani artisti toscani, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Raffaello Sarnesi, Giovanni Fattori, Adriano Cecioni, e di altre regioni come il napoletano Giuseppe Abbati, il veneto Vincenzo Cabianca, il romagnolo Silvestro Lega, il foggese Saverio Altamura si incontrano e confrontano alla ricerca di una pittura più nuova e moderna. “Progressisti” e antiaccademici, animati dal patriottismo e dall’amore per l’arte, difendono la libertà di espressione e l’apertura verso realtà artistiche di altri Paesi.
“Il nuovo sguardo sul paesaggio” è la seconda, che riunisce le opere di alcuni pionieristici pittori macchiaioli, come Nino Costa (Bovi al carro, 1855-1860), Serafino de’ Tivoli (Una pastura, 1859), che assimilano la nuova pittura moderna di paesaggio francese, che aveva trionfato all’Esposizione Universale di Parigi del 1855: il nuovo interesse è per lo studio dal vero, con i suoi effetti di luce e naturalità atmosferica. La realtà contemporanea è anche la guerra, la seconda di Indipendenza, che occupa la terza e la quarta sezione con la pittura di figura e i campi di battaglia. Così si dipanano scenari di vita di grande intensità come Il legionario napoleonico (1856), L’addio del volontario (1858), L’abbandonata (1858), tre tele di Vincenzo Cabianca, un grande pittore che ci lascia anche un piccolo olio su tavola con il Camposanto di Pisa (1858-60), creato con macchie di colore.
La mostra prosegue con la pittura del “Risorgimento”, che occupa larga parte della tematica dei Macchiaioli. Anche il grande maestro Giovanni Fattori passa alla macchia con capolavori come i Soldati francesi alle Cascine del 1859 o il Campo italiano dopo la battaglia di Magenta del 1862. Silvestro Lega ci lascia un iconico Ritratto di Giuseppe Garibaldi (1861) con camicia rossa e foulard al collo, mentre si devono a Odoardo Borrani scene poetiche e straordinarie come le Cucitrici di camicie rosse del 1836, con quelle donne dai gonnelloni intente a cucire alla luce di una finestra (1863).
Un’intera sala è dedicata a Il mattino (1861) di Vincenzo Cabianca, esposto a Pisa per la prima volta dopo 160 anni dall’Esposizione alla Promotrice di Belle Arti Torino nel 1861, che rappresentò il primo vero successo del movimento. Il dipinto rappresenta un gruppo di monachine, incappellate di bianco, che respirano il vento e il sole del mattino lungo un muro affacciato al mare. Un capolavoro di totale spiritualità.
Le sale di Palazzo Blu ci portano poi nella affermazione del movimento macchiaiolo dopo il successo dell’esposizione 1861 con opere sempre più mature e solari di Cristiano Banti (Riunione di contadine, 1861)), Giovanni Fattori (La contadina nel bosco), nel modernissimo ed essenziale Tetti al sole di Raffaello Farnesi (1864) che sembra già un “Morandi”. La mostra prosegue seguendo tutto il percorso macchiaiolo nei diversi luoghi sino al 1870.
Una galleria delle opere in mostra
I Macchiaioli
Pisa, Palazzo Blu
Lungarno Gambacorti 9
(8 ottobre 2022-26 febbraio 2023)
A cura di Francesca Dini (catalogo Skira)