Con l’opera Doctor Said I might Go Blind. It Helped Me see more clearly. 15 Feb.2022, 17:58 Benni Bosetto vince la prima edizione del Premio Artisti Italiani PART, riconoscimento biennale per talenti dell’arte contemporanea nato da un’idea di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e Giuseppe Iannaccone, organizzato dalla Fondazione San Patrignano in collaborazione con il Comune di Rimini, all’interno dei Palazzi delle Arti di Rimini.
A Benni Bosetto è stato attribuito il primo premio, del valore di 10.000 euro, “per aver proposto un’opera che coniuga ricerca e tradizione attraverso una tecnica elegante e un linguaggio di grande potenza espressiva, capace di condurre lo spettatore a riflettere sulla complessità dell’essere umano”.
In occasione del conferimento del riconoscimento abbiamo avuto la possibilità di parlare con l’artista, per riflettere con lei sulla sua opera e sulla sua ricerca.
In Doctor said I might Go Blind. It Helped Me see more clearly si possono ritrovare, nelle trame realizzate a matita, elementi che riportano a un universo immaginifico e animistico, in cui pare di poter assistere alla manifestazione istantanea di un pensiero pre-razionale, dove il piano reale e il piano metafisico si mescolano. A quali immaginari si può ricollegare? Come è nata quest’opera e perché hai deciso di presentarla al PART?
È un’opera che nasce da una serie di disegni su seta presentati per la prima volta alla Galleria Campoli Presti di Parigi a marzo 2022. La mostra si chiamava Tete en l’air (Testa tra le nuvole) e voleva riflettere sulla natura ambivalente della distrazione, intesa come quello stato mentale che permette connessioni inaspettate tra i momenti altalenanti di concentrazione e deriva.
Mi preme, in questo preciso periodo storico a me sempre più incomprensibile e spaventoso, portare in luce l’utilizzo di un linguaggio poetico dove non sia necessaria una lettura lineare dell’immagine. È un lavoro che si libera delle cose e che cerca contemporaneamente di unire tutto insieme. In qualche modo parla di libertà e comunione. Della libertà di un linguaggio istintivo e giocoso in cui tutte le cose convivono in un ecosistema micelico espanso su tutta la superficie del tessuto, dove i soggetti non sono mai soli, bensì vivono insieme, all’interno di una collettività in tutt’uno con l’ambiente che li circonda. I soggetti galleggiano tutti su una superficie vuota e senza prospettiva.
Nell’opera proposta hai utilizzato la tecnica della matita su seta, che ruolo ha il disegno nella tua ricerca artistica?
Il disegno fa parte della mia quotidianità, è quindi una forma di comunicazione che controllo e gestisco istintivamente. Questo controllo mi permette di catturare visioni complesse, di fare emergere pensieri differenti e combinarli insieme, di osservare meglio e di giocare in un tempo breve e in uno spazio contenuto. È un ottimo luogo di sperimentazione. Amo la semplicità del disegno. Solitamente uso una matita di grafite B. Non aggiungo colori. Cerco il gesto, l’immagine e la narrazione che ne conseguono.
Hai sperimentato vari media, in particolare la lavorazione della ceramica e la creazione di performance. Quanto è importante per te non focalizzarti su un unico mezzo? Cosa ricerchi nel lavoro con i differenti materiali, o con i corpi stessi?
Lavorare su diversi campi è una vera sfida, mi mette costantemente alla prova ed è molto utile perché grazie a questo metodo esplorativo riesco a comprendere la mia ricerca da angolazioni diverse. Ogni materiale mi permette di mettermi in contatto con la realtà in modi differenti. Penso che perdersi sia molto terapeutico, nel mio caso mi permette di accorgermi con il tempo che a ogni percorso che intraprendo ci sono sempre delle costanti che accompagnano la ricerca e non mi abbandonano mai: spontaneità, ritualità, frammentazione, assemblaggi, transcorporeità. Le relazioni tra ambiente, corpo e immaginazione sono i punti che sorreggono ogni mio progetto, dalla performance all’installazione al disegno. Ogni volta che inizio un nuovo lavoro cerco di seguire il linguaggio suggeritomi dalla materia. Per esempio, la ceramica ha un legame diretto con la fisicità, è un mezzo morbido, scivoloso, viscido, terreno e acquoso, mi serve per costruire soggetti che agli occhi risultano avere una vitalità. Come le sculture all’interno dell’installazione presentata alla quadriennale del 2020 (Anima) che rappresentano la vaporizzazione, la dissoluzione, il grado zero del corpo.
Potresti indicarci alcuni libri che leggi e che ti aiutano nella fase di ricerca? Artisti ai quali ti ispiri? A tal proposito, rispetto alla collezione permanente del PART, ci sono artisti e artiste a te affini?
Al momento sulla scrivania tra i libri compaiono: La comparsa dei riti di Byung Chul Han, What artists wear di Charlie Porter, L’ordine Nascosto di Merlin Sheldrake, Pensare come una montagna di Aldo Leopold, L’avanguardia Esoterica di Antonietta Grippo, Dub: Finding Ceremony di Alexis Pauline Gumbs e Wanderlust, una monografia sull’opera di Joseph Cornell, un artista surrealista americano che sto guardando molto in questo periodo. Rispetto alle opere della collezione permanente del PART, quella che mi ha interessato maggiormente è un dipinto silenziosissimo di Agnes Martin.
Progetti futuri a cui stai lavorando?
Avrò una mostra a marzo da Mai 36 a Zurigo e al momento ho appena iniziato a lavorare per un nuovo progetto performativo.
Questo contenuto è stato realizzato da Anna Masetti per Forme Uniche.
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