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La scomparsa di Paolo Portoghesi, un ricordo del grande architetto

Paolo Portoghesi, fu Presidente della Biennale nel decennio 1983-1992, e primo Direttore della Biennale Architettura
In memoria di Paolo Portoghesi, grande maestro dal quale era possibile imparare qualcosa anche in una conversazione apparentemente banale

Ci conoscevamo da decenni con Paolo Portoghesi, anche se negli ultimi tempi avevamo avuto poche occasioni di incontro. L’occasione di frequentarlo con assiduità era la galleria Apollodoro , diretta dalla moglie Giovanna Massobrio, che sosteneva gli artisti della corrente della Pittura Colta, come Stefano Di Stasio, Bruno d’Arcevia o Marco Rossati. Carica di citazioni tratte dalle opere di Borromini, la galleria era un punto di ritrovo della cultura socialista nella Roma degli anni Ottanta, riunita intorno alla personalità di Paolo, architetto postmoderno ma soprattutto grande intellettuale, tra i massimi esperti del barocco romano. Ricordo tante conversazioni durante le inaugurazioni all’Apollodoro, che proseguivano spesso nei salotti dell’appartamento dei Portoghesi in via Gregoriana, con una vista spettacolare sulle cupole della capitale, incendiate dai tramonti primaverili. Paolo era una persona affabile, e aveva un modo di parlare calmo e preciso, che conferiva alle sue parole un’aura di saggezza, che condivideva con altri esponenti dell’intellighenzia artistica romana, come Giulio Carlo Argan, Giovanni Urbani o Giuliano Briganti. Uomini che non apparivano mai affannati o frettolosi, ma sempre centrati e disponibili al dialogo. Quando scrissi il mio primo libro sui cortili dei palazzi romani Paolo accettò di presentarlo con Maurizio Calvesi, che ne aveva scritto l’introduzione . Due grandi padri, protagonisti di un mondo che non esiste più da molto tempo, dai quali era possibile imparare qualcosa anche in una conversazione apparentemente banale. Paolo accettò di ripubblicare un suo breve saggio anche nel cataloghino che accompagnava la mostra “Intorno a Borromini” (2000) nelle sale di palazzo Falconieri, sede dell’Accademia d’Ungheria, con i dipinti di Domenico Bianchi e le sculture di Franz West, che anticipava la mia pratica curatoriale basata sul dialogo tra l’arte antica e il contemporaneo, all’interno delle quelle 4 magnifiche sale disegnate dal Borromini per Orazio Falconieri, con motivi simbolici, ermetici ed esoterici. Borromini e Portoghesi: due persone lontane nel tempo ma legate a filo rosso da una particolare visione del barocco. Uno da artista, l’altro da studioso.

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