È in corso a Palazzo Reale e al Museo del Novecento di Milano una doppia mostra del pittore Mario Nigro, figura fondamentale dello scenario artistico italiano
Inserito nella descrizione stilistica della corrente pittorica dell’Astrattismo geometrico, Mario Nigro aderì al Movimento per l’arte concreta (MAC), movimento artistico fondato a Milano nel 1948, con lo scopo di dare impulso all’arte non figurativa, in particolare all’astrattismo prevalentemente geometrico.
La mostra curata da Antonella Soldaini e da Elena Tettamanti, che conta oltre un anno di lavoro, in collaborazione con l’Archivio Mario Nigro – il cui Presidente è il figlio Gianni (1949) – ha anche lo scopo di riconciliare la città con l’artista: la mostra prevista al Pac nel 1993, un anno dopo la sua morte, a cura di Angela Vettese, non ebbe luogo a causa dell’attentato mafioso che ne impedì l’apertura prevista per il giorno seguente.
Le mostre odierne, ben organizzate ed allestite, curate con passione e rigore, scorrono senza inciampi, tendono a suggellare tutto il percorso artistico, dai primi dipinti “Elementi astratti” del 1947, fortemente influenzati ed ispirati dai maestri dell’astrattismo internazionale, Klee e Kandinsky, fino all’ultimo quadro del 1992, anno della morte. Nel mezzo un lungo percorso, suddiviso a Palazzo Reale in 8 sale, che attraversa tutte le stagioni dell’arte e del periodo storico/politico, del cosiddetto secolo breve per l’intensità degli eventi che hanno scardinato e continuamente evoluto le dinamiche politiche, sociali e culturali. L’esposizione, concepita seguendo la sequenza cronologica, è la più ampia mai dedicata all’artista.
Bellissima ed interessantissima è la documentazione mostrata nello Spazio Archivi del Museo del Novecento, con i documenti personali, lettere, inviti di mostre, cataloghi e le fotografie di Ugo Mulas alla Biennale di Venezia del 1968 (quella della contestazione, con la copertura delle opere in segno di protesta per gli attacchi con i manganelli della polizia agli studenti a reprimere le loro contestazioni). Qui sono anche esposti inediti lavori su carta, progetti e disegni preparatori, usati come bozzetti delle grandi tele a narrare una prima spontaneità nell’approccio dell’artista così rigoroso e formale nel tratto finale.
Politica…, ma perché parlare di politica introducendo l’arte di un artista, di un pittore e per di più astratto? Partiamo dall’inizio. Chi era Mario Nigro? Che persona era?
Immaginate di essere nati a Pistoia nel 1917, trasferirsi poi a Livorno (nel 1929), di conferire due lauree negli anni ’40, una in Chimica (1941) e l’altra in Farmacia (1947), di essere predisposti all’arte della musica, studiare violino e pianoforte, giocare a calcio, a rugby ed a hockey su prato, di avere una vocazione irrefrenabile per la pittura, la pittura astratta, geometrica, ed avere la necessità di allontanarsi dall’ambiente, un poco provinciale, seppur genuino ma non meno feroce e competitivo, dei pittori figurativi, en plein air, che si dilettano a dipingere con attitudine e una certa professionalità, sulle rive della Costa degli Etruschi, con intorno gli ammiratori incuriositi a contemplare la bellezza della pittura e la somiglianza del paesaggio.
Immaginate di sentire il bisogno, una forte necessità interiore, irrefrenabile, di confrontarsi con il mondo, più libero e professionale della grande metropoli, lasciare il lavoro sicuro di farmacista agli Spedali Riuniti di Livorno, e trasferirsi a Milano nel 1959, a 42 anni, con tutta la famiglia, moglie e il figlio Gianni, per cominciare la nuova, più importante e imprevedibile, avventura.
Proviamo solo ad immaginare quale forza interiore abbia mosso il non più giovane pittore Mario Migro a lasciare la casa di famiglia, mollare tutta la tranquillità di una vita già disegnata e trasferirsi a Milano.
Qui apre lo Studio in Via Brera al civico 23, proprio di fronte al bar Jamaica dove entra in contatto con gli artisti che frequentavano il locale, ormai diventato il loro comune salotto di incontri, dove incontrarsi e misurarsi con i colleghi, in cerca di una propria identità, e relazionare la propria arte con quella emergente e prorompente, seppur ancora prematura ed indefinita, di quell’epoca.
Nell’intervista del bel catalogo di Silvana Editoriale la curatrice Elena Tettamanti intervista Tomaso Trini il quale riferisce che conobbe Mario Nigro nella galleria a Milano di Gian Enzo Sperone (galleria torinese promotrice dell’Arte Povera) e che da lì Nigro cominciò a frequentare Lucio Fontana che ne ammirò subito il suo lavoro tanto da invitarlo alla Biennale di Venezia nel 1964. Tra di loro, racconta Trini, ci fu un rapporto molto stretto di collaborazione e stima reciproca.
Eppure Mario Nigro era un uomo timido, apparentemente insicuro. Secondo i racconti di Ugo La Pietra (1938), che ebbe modo di frequentarlo negli incontri alla galleria Cenobio in Via San Carpoforo negli anni ’60, il pittore era molto schivo, taciturno, molto serio, spesso si auto isolava dagli altri come a nascondere una forte timidezza nonostante la cordialità ed i sorrisi.
Secondo quanto scrive il figlio Gianni, la sua poca sicurezza “derivava da un’infanzia difficile, ma non in senso economico. Aveva, fin dalla nascita, un difetto alla voce, e la famiglia, che sentiva l’accaduto quasi come una colpa, tendeva a rendergli il difetto ancora più pesante.” Schernito anche dai coetanei e dai compagni di scuola ha vissuto cercando di sopravvivere a questa malformazione che lo faceva sentire in una condizione di forte disagio. In seguito poi, figuriamoci nel confronto per la sua pittura astratta ed informale così lontana ed indecifrabile da quella rassicurante, figurativa e paesaggistica. Dichiara sempre il figlio Gianni che il padre per reazione “sviluppò una grinta geniale che lo spinse alla fame del sapere, alla sete del fare… e convinto di non potersi esprimere pienamente con una voce distorta dalla malformazione del palato, cercò con ansia, con rabbia, nuove forme di comunicazione, finché, dapprima goffamente, poi con sempre più illuminata limpidezza, provò, proprio con la pittura, a trasmettere il suo sentire”.
Ad aggravare la sua condizione fisica, nel 1960, subisce un gravissimo incidente stradaleche lo tiene lontano dalle tele per molti mesi. Leggendo la sua biografia (ecco la politica), colpisce la profonda sensibilità manifestata con la condizione di smarrimento e di disfatta che Nigro ebbe alla notizia della repressione sovietica alla Rivoluzione di Budapest nel 1956. Quei fatti ebbero un forte eco all’interno della politica e nella società italiana con aspri conflitti, non solo ideologici, anche nella società civile che si disorientò e si divise in diverse fazioni.
Piace ricordare che testimonianza di quegli eventi drammatici furono gli scritti di Luigi Fossati (1927 – 1990) – all’epoca inviato dell’Avanti! che fu il primo giornalista occidentale a documentare la rivolta popolare ungherese dell’ottobre del ’56 fino all’ingresso, il 4 novembre, dei carri armati sovietici inviati dal Cremlino – e le fotografie in bianco e nero di Mario De Biasi (1923 – 2013) inviato di Epoca, settimanale allora diretto da Enzo Biagi, che inviò il fotografo a Budapest e rimase, unico fotografo europeo con Erich Lessing, per giorni sotto il fuoco tra i due fronti, documentando lo scempio, i massacri, i morti, la rabbia e le impiccagioni nelle strade della città.
Nascono le “Tensioni Reticolari” e da quel momento la sua pittura cambia radicalmente e diventa più consapevole, ossessiva e maniacale, coerente nel linguaggio di rottura. In tutto il suo successivo tratto pittorico si evidenziano le tensioni drammatiche, spesso fortemente e dichiaratamente condizionate dagli eventi esterni, e costante sarà il riferimento, non solo di sottofondo, alla metrica musicale, alle formule minerali e alle composizioni chimiche e architettoniche apprese negli studi universitari, che fungono da approccio fondamentale al suo sistema artistico.
Nel suo lavoro Nigro denuncia la guerra, l’odio e le tragedie umane ma è l’amore quello che cerca e dal quale attinge il fuoco della poetica, custodendo e accompagnando nel suo segno la ricerca di una pace interiore, meditativa e riflessiva: forte, fortissimo è il legame con il figlio, che non smetterà mai di amare e con il quale condivide, costruisce e mantiene un rapporto di profonda e costante intima e sincera amicizia.
Il percorso artistico è spirituale, circolare e coerente. Poco prima di morire Nigro ironizzava sulla sensibile possibilità di chiudere la ricerca avvicinandosi alle opere più figurative ripensando alla propria figura nel contesto contemporaneo: “In una società che tende a manipolare ogni cosa, spesso l’artista perde quel senso di libertà individuale per sottostare a un’arte prefabbricata, falsamente scandalistica, falsamente d’avanguardia, in una dimenticanza dei veri valori di contenuto…”
I titoli delle sue opere Dramma simultaneo, 1955, Tensioni reticolari del 1956, Terremoto del 1981, Emarginazione, 1982, I dipinti satanici, 1989, prendono spunto ed ispirazione dai fatti accaduti nel mondo mentre Vibrazioni 1963/64, L’incontro, 1972, Sogno di un vero amore, 1973, Trilogia dell’Amore, 1973 sembrano appartenere più da una sfera privata.
Poco o per nulla incline alle dinamiche di mercato, Mario Nigro amava ripetere che del successo non gliene importava assolutamente nulla. La fama gli era del tutto indifferente e la usava strumentalmente per poter continuare a dipingere liberamente, incondizionatamente. Era costretto, così diceva, a cercare di fare le mostre, di essere notato dalla critica, a sforzarsi per ottenere di essere invitato alle manifestazioni pubbliche importanti come la Biennale, perché solo in tal modo gli era possibile vendere qualche quadro e quindi riuscire a dedicarsi anima e corpo al dipingere. Insomma, per poter fare il pittore, come diceva lui, era necessario essere qualcuno, avere un nome, farsi largo nell’ambiente.
Minime sono le conoscenze relative al mercato delle opere di Mario Nigro che sembra cristallizzato all’interno di un sistema bloccato, poco incline all’offerta culturale dei protagonisti italiani dell’epoca, Lucio Fontana a parte, ad evidenziare l’assenza di un “sistema nazionale”, pubblico e privato, disposto, con un progetto chiaro e di lungo periodo, a proteggere e divulgare verso l’estero la cultura italiana con una proposta organizzata e strutturata. Visto l’enorme potenzialità del linguaggio pittorico astratto italiano, incluso questo autore raffinatissimo, ci si auspica più attenzione da parte delle istituzioni straniere, ma anche volontà da quelle nazionali, che possano consacrare la nobiltà, e la freschezza, originalissima, di tutto il lavoro di questa generazione di artisti ormai perduta che ha ispirato, e continua ad influenzare, numerosissime ricerche più contemporanee. Il futuro è nelle mani di chi vive.
Mario Nigro. Opere 1947-1992
dal 14.07.2023
– Palazzo Reale (fino al 17 settembre)
– Museo del Novecento (fino al 5 novembre)
a cura di Antonella Soldaini e Elena Tettamanti