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Alle Scuderie del Quirinale l’Italia é un desiderio di paesaggi

Giovanni Crupi, Eruzione, vista a 50 metri distante della lava (Etna, Catania, 20 maggio 1886; stampa all’albumina su carta; Firenze, Archivi Alinari)
Al suo apparire, nel 1839, la fotografia è lo strumento che riproduce in bianco, nero e grigio l’immagine del reale, prima dell’unificazione politica dell’Italia. I viaggiatori stranieri già dal settecento erano stati attratti dal nostro paesaggio: una fusione tra cultura e natura, arte e monumenti, rappresentato in bilico tra realismo e idealità. L’articolo 9 della Costituzione italiana pone tra i “principi fondamentali” la tutela del Paesaggio e del nostro patrimonio storico-artistico, minacciato dalla catastrofe ambientale globale.

La mostra “L’Italia è un desiderio. Fotografie, Paesaggi e Visioni 1842-2022. Le collezioni Alinari e Mufuco” ospitata alle Scuderie del Quirinale a Roma, racconta come il Belpaese è stato immortalato dai fotografi nell’arco di due secoli.
Tra vedute di città, campagna, cipressi, uliveti, marine, vette, ghiacciai, mura e rovine antiche, strade, fiumi e greggi, campi e ferrovie, centri storici e periferie, seicento scatti colgono le trasformazioni italiane e documentano l’evoluzione tecnica della fotografia.
L’Italia nell’immaginario collettivo è soprattutto desiderio di una esperienza ottica, scandita da appunti visivi di conoscenza ottenuta col viaggio, con i suoi differenti e straordinari luoghi e genti dal nord al sud. Tra dagherrotipi, negativi originali, lastre, autocromie, stampe vintage, fino alle stampe a colori di grande formato alle modalità contemporanee di produzione delle immagini, l’Italia s’è desta e ri-vista come desiderio in letteratura, pittura, nelle incisioni, litografie, in fotografia e nel cinema.
Ideata per gli spazi delle Scuderie, la mostra per la prima volta apre un dialogo tra le collezioni pubbliche di Fondazione Alinari (creata dalla Regione Toscana nel 2020), per la conservazione e valorizzazione degli Archivi Alinari della fotografia dal 1842 al 1950 e il Museo Fotografia Contemporanea (MUFUCO, nato a Cinisello Balsamo-Milano nel 2004) dal 1950 al 2022, con l’obiettivo di fare conoscere a un pubblico più vasto il nostro patrimonio fotografico.

Vittore Fossati, Oviglio, Alessandria (1981; © Vittore Fossati – Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo)

La mostra inscena l’evoluzione tecnica e l’iconografia del nuovo linguaggio fotografico di rappresentazione del reale con immagini dello stabilimento dei fratelli Alinari (1852), pionieri prima dell’unità d’Italia di una ricognizione fotografica di luoghi fisici e mitici in bilico tra cultura, natura e desiderio, fino alla fotografia contemporanea capace di evocare e narrare i cambiamenti sociali e del nostro paesaggio.
Sarà Canaletto (1697-1768), pittore e incisore attratto dalla verità rappresentativa del reale a creare il vedutismo, non tanto nelle opere realizzate per i viaggiatori inglesi e composte con la camera ottica, ma per la sua Venezia nel ‘700 in lenta decadenza con i suoi canali e muri decadenti. D’altronde il vedutismo era anche genere nato per soddisfare la richiesta dei visitatori stranieri invaghiti del Gand Tour.
Rigore della resa, soggetto monumentale, bozzettismo decorativo incluso nella rappresentazione dei popolani e committenza turistica, sono le caratteristiche della “corrente” che poi si ritrovano nella fotografia delle collezioni Alinari.
La fotografia sembra nascere a servizio della pittura, non a caso le immagini dei primi fotografi affondano le radici nella tradizione topografica e nel vedutismo architettonico, anche nelle scelte compositive. In Italia la litografia si afferma negli stessi anni in cui all’estero si sperimentavano procedimenti fotografici . La litografia è la prima forma di riproducibilità tecnica della realtà e nei primi anni dell’ottocento si diffondono le pubblicazioni di viaggio, costumi, e sulla città. La litografia ha modalità di rappresentazione simili alla fotografia, giunta in Italia nel 1839, l’anno stesso della sua invenzione. Furono i dagherrotipisti i pionieri della fotografia , scienziati, ottici e “meccanici”, anche itineranti. Attraverso il collodio, perfezionato dai fratelli Alinari a Firenze, scrupolosi osservatori delle meraviglie architettoniche artistiche italiane, il desiderio d’Italia si fa immagine.
In mostra c’è l’album Italy di James Grahan (1858-1862) esposto per la prima volta; affascina la sezione dedicata a “negativi e trasparenze” che mostra negativi in carta, in lastra di vetro, diapositive colorate e diapositive colorate a mano e autocromie, che permettono di capire i passaggi fondamentali del processo fotografico teso a una perfettibilità visiva.

Giorgio Roster, Colorazione del cielo al tramonto (1872-1921 circa; diapositiva su lastra di vetro colorata a mano; Firenze, Archivi Alinari-archivio Roster)

Leopoldo Alinari, passa dall’incisione alla fotografia, il modello delle vedute fotografiche è l’incisione , anche nella resa prospettica. Gli Alinari consolidano un metodo austero di rappresentare l’Italia, “scientifico” e rispettoso dell’obiettività dell’immagine, fedele al modello prospettico quattrocentesco e a un concetto puro di fotografia. In mostra incanta il servizio sulle rovine dopo la battaglia Romana del 1849 di Federic Flacheron, i due negativi in lastra di vetro 30×40 cm di Wilhelm von Gloden, mai esposti prima e le diapositive di Giorgio Roster. Questo e tanto altro ancora troviamo nella sezione espositiva dedicata alle collezioni Alinari, con immagini in cui prevale assialità e centralità, punto di vista elevato, isolamento dal contesto , luce senza forti contrasti. I fratelli Leopoldo, Giuseppe, Romualdo e dal 1890 Vittorio Alinari, coniano una iconografia paesaggistica “oggettiva” , nel senso positivista ottocentesco del termine, riconoscibile per una fissità metafisica, al di sopra della storia, sperimentatori di un paradigma “italiano” che ha poi superato i confini nazionali.

Wilhelm von Gloeden, Elegie (Elegies) (Taormina, 1900; Firenze, Archivi Alinari-archivio von Gloeden)

Le opere della collezione del Museo di Fotografia Contemporanea introducono nuovi modi di raccontare la realtà, il reportage, il fotogiornalismo, la fotografia umanista in cui anche le persone danno una identità ai luoghi. I paesaggi costituiscono lo sfondo, lo scenario , in cui il racconto prende forma in diverse fotografie di molteplici autori capaci di cogliere in scatti differenti i cambiamenti economici, politici, urbanistici e sociali dell’Italia, suddivisa in campagna e città, centro e periferia, miseria e luoghi del consumismo di massa. Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, la fotografia nell’ambito delle neoavanguardie introduce una riflessione sul linguaggio e sullo statuto del medium, includendo il tema del paesaggio. É un esempio Viaggio in Italia (1984) di Luigi Ghirri, un libro fotografico che raccoglie diverse ricerche che si sono sviluppate in quegli anni sul territorio nazionale diventato manifesto di una estetica fotografica italiana, in cui l’ordinario diventa straordinario e i luoghi spesso marginali, lontani dall’immaginario turistico e commerciale, immagini che anticipano la fotografia sociologica e riflessioni sulla identità del territorio, avvicinando la fotografia all’urbanistica, architettura e arte.

Olivo Barbieri, site specific_Milano 09 (2009; © Olivo Barbieri – Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo)

“Archivio dello Spazio”, curato da Achille Sacconi e Roberta Valtorta, raccoglie i paesaggi di 59 fotografi, dieci anni (1987-1997) di indagini sul territorio della provincia di Milano. L’archivio artistico segna l’avvio del Museo di Fotografia Contemporanea, coinvolgendo anche la committenza delle istituzioni pubbliche. Nella tensione tra documentazione, sperimentazione e narrazione di trasformazioni territoriali e sociali, le fotografie diventano protagoniste nelle mostre di arte contemporanea, nei musei e nel mercato dell’arte. Nel nuovo millennio il tema del paesaggio comprende approcci poliedrici, scatti differenti su realtà urbane e naturali, ambienti e spazi fisici e immaginati post-prodotti nell’era digitale ma anche con l’immagine di sintesi prodotta dalla tecnologia, quali modellazione 3D e l’intelligenza artificiale. Il paesaggio è luogo condiviso e inclusivo, non solo immagine realizzata con il banco ottico, bensì panorama umanistico frammentato: un’opera viva che prevede la partecipazione del pubblico in cui luoghi eutopici diventano memoria collettiva e forse metafora o promessa di un mondo migliore.

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