Romano, Ponti aveva portato in Umbria una ventata di novità in una terra baciata dall’eredità della grande arte rinascimentale, ma poco aperta al contemporaneo
“Ci troveremo a dire, e a rimpiangere, che i nostri tempi erano molto più felici di questi. Perché eravamo più forti, perché eravamo più giovani”. Si concludeva così l’articolo che pochi giorni fa Vittorio Sgarbi dedicava ad Antonio Carlo Ponti su “Io Donna” del Corriere della Sera. Era un piccolo elzeviro dedicato al suo amico, alle comuni amicizie e passioni culturali. Ma oggi i toni – “eravamo più giovani” – risuonano come tristemente premonitori: perché Ponti è morto ieri all’età di 87 anni. “Un uomo di lettura e di scrittura”, scriveva ancora il Sgarbi, che ora ci autorizza a rilanciare le sue parole per commemorare l’amico – “(dice di essere di Bevagna, ‘quel pezzetto in Valle Umbra che i Tedeschi chiamerebbero Heimat, piccola patria: fatta di memorie, di genealogie, di lingua, di altare, di sangue, di tombe e di suolo)’”. E in poche righe riesce a compendiare con efficacia l’identità dell’intellettuale.
Era un vero signore, nel senso che direi ottocentesco del termine. Elegante, senza formalismi. Cordiale e aperto al prossimo, come di coloro che non sentono la necessità di rimarcare la propria profonda cultura e padronanza del mondo. Lo conobbi giovanissimo, e lui – assieme a Massimo Duranti, cosa rara fra critici troppo autoreferenziali – mi concesse l’onore, per un inesperto curatore, di tributare il primo, piccolo ma significativo, omaggio all’appena scomparso Piero Dorazio. Era romano, Ponti, ma era arrivato in Umbria portando una ventata di novità in una terra baciata dall’eredità della grande arte rinascimentale, ma ben poco aperta al contemporaneo. Fu il primo direttore del Corriere dell’Umbria, il primo giornale tutto umbro. Curatore di oltre 150 mostre, fra cui la lunga serie di collettive In Chartis Mevanie, la cui ultima edizione si è appena conclusa. E il ciclo Terra di Maestri. Artisti umbri del Novecento (Spello, Villa Fidelia, 2002-2007).
“Quella terra se la porta dentro, è in ogni sua parola, nel suo accento, nella sua camminata, giorno per giorno”, scriveva ancora Sgarbi, riferendosi all’Umbria di Antonio Carlo. “Davanti ha un drappello di amici cui scrive anche quando non ci sono più, e anche se sono lontani come me. Siamo il suo patrimonio, ci parla, ci evoca, ci interpella, in un diario intimo e insieme pubblico”.