Coerenza non significa non cambiare mai, ma farlo rimanendo fedeli a se stessi, proseguendo nel solco della propria identità. Così, per i suoi dieci anni di attività, 10 A.M. ART di Milano si rifà il look – cambiando logo – e festeggia il traguardo celebrando in mostra tre artisti a cui da sempre è legata: Mario Ballocco (1913-2008), Franco Grignani (1908-1999) e Luigi Veronesi (1908-1998). Dal 30 novembre 2023 al 23 febbraio 2024.
Partendo dalla nuova veste grafica, essa si manifesta come quint’essenza dello spirito estetico e concettuale della galleria. Nei tre segmenti neri – che distribuiscono come su uno scaffale il suo nome – si riconoscono i caratteri fondanti della ricerca che porta avanti, come l’immediatezza e la semplificazione formale, elementi tipici di una semplicità che non è frutto di superficialità, ma di profonda analisi. Come una poesia ermetica o una pietra preziosa, l’arte cinetica e optical promossa da 10 A.M. ART è il risultato di tentativi e intuizioni, sempre volti ad assottigliare la forma per farne emergere, come in un negativo, le più larghe possibilità percettive possibili. Su tale linea ben riconoscibile si muove dunque la galleria, oggi punto di riferimento per la promozione e valorizzazione storico-critica di tanti artisti che hanno lavorato o lavorano con le dinamiche sopracitate.
Tra questi ci sono, come anticipato, Mario Ballocco, Franco Grignani e Luigi Veronesi. Tre autori che per primi hanno intrapreso in maniera compiuta la via della non-figurazione negli anni Trenta, pur rimanendo estranei a gruppi più o meno organizzati di artisti (a quel tempo, in questo campo, i centri più interessanti erano quelli di Milano e Como). Hanno invece sviluppato un idioma pittorico astratto-concreto del tutto personale, non privi di contaminazioni con dimensioni tangenti alla pittura come la musica e il design, ma anche la psicologia. E lo hanno fatto in maniera indipendente, almeno fino al dopoguerra, quando i rispettivi cammini si incrociano.
“Ad accomunare tutti e tre, al di là di un eventuale fascino esercitato su di loro dalla possibilità di basare certi equilibri formali su determinate proporzioni“, racconta il curatore “sta l’amore per il numero e per la razionalità strutturale, derivante dalla profonda consapevolezza del caos e del mistero del mondo “apparente”, fenomenico, rispetto a un’altra realtà – quella astratta, cioè dell’arte – che la mente riesce a inventare, costruire e proporre secondo infinite armonie, e nella quale, davvero, è possibile trovare un ordine universale, quello stesso che i Greci avevano individuato nella sezione aurea, e i maestri del Quattrocento toscano nella “divina proporzione”“. Impostazione matematica che non raffredda la poesia, ma anzi la esalta come enigma inestinguibile dell’opera d’arte, che per quanto si sforzi di rappresentare il mondo inevitabilmente ne rimarrà almeno in parte esclusa.
Tale tensione è stata espressa dagli artisti in mostra in maniera quasi meccanicistica, scomponendo la realtà e le sue dinamiche in forme essenziali, poi ricomposte secondo leggi artificiali e artificiose, lontane anni luce dal dato originale. Il percorso compiuto è paragonabile a quello di una fantascienza rivoltata, che anziché prefigurare un futuro lontano si immagina un passato a cui l’umanità non apparteneva. E così le opere in mostra si compongono di linee, colori, forme ripetute che indagano le strutture fondanti della realtà. Per poi inventarne di nuove.
Non è un caso, allora, che l’esposizione si apra con Mario Ballocco e la sua Compenetrazione tricromatica (1970), che isola e poi sovrappone i tre colori primari, come a simboleggiare gli elementi fondanti della percezione. Segue un’altra riflessione sui colori (Reversibilità cromatica, 1977), prima del passaggio al bianco e nero. Opere come Struttura stellare con corona “indotta” bianca (1974) o Complanarità di otto dischi indotti (1975/77) fanno esplicitamente riferimento alla psicologia della Gestalt, secondo cui non è corretto dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementari e occorre invece considerare l’intero come fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti: “Il tutto è diverso dalla somma delle sue parti“.
Massima che trova riscontro anche nei lavori di Franco Grignani, che sono molto di più dell’incrocio che le linee bianche e nere lasciano intendere. Artista, ma anche designer e pubblicitario, Grignani sviluppa la sua ricerca intorno ad aspetti tissurali di subpercezione, distorsione e induzione. Opere che dunque non mancano di una certa quota concettuale, pure avendo la manifesta intenzione di giocare con i nostri condotti percettivi. Dinamiche così raffinate e profonde che innescano, talvolta, anche risvolti narrativi: com’è possibile, per esempio, che in Dissociazione dal bordo 281 (1969) la trama di linee si sia staccata in quel modo? Con la mente ci ritroviamo, quasi inconsapevoli, immersi nel tentativo di svolgere la superficie che si è staccata dal bordo, distenderla e riprovare a dargli ordine, prima di naufragare dolcemente nell’impossibilità di ricondurla all’origine. Narrazione che diventa poesia nei lavori di Luigi Veronesi, il cui accostamento, d’impatto, è con un gigante della storia dell’arte occidentale: Kandinsky. Sembra un paragone da storcere il naso, ma le analogie sono evidenti: gli sfondi neutri, le forme leggere che si dispongono come bolle o piume, i colori a suggerire atmosfere e risvolti emotivi, la distribuzione ritmica e musicale degli elementi. Riscontri che non sono suggestioni, ma documentati atti procedurali, seguiti dall’artista in modo analitico, estremamente impostato, con un rigore che supera anche l’astrattismo geometrico e conduce la discussione su un piano quasi prettamente scientifico.
Al piano inferiore della galleria, la mostra prosegue con due sperimentazioni piuttosto particolari di Grignani e Veronesi. Quest’ultimo ci mostra attraverso i fotogrammi il volto più quotidiano del suo immaginario artistico, di cui fanno parte anche fiori, bicchieri, nastri. Un’ancora di realtà per un artista altrimenti indaffarato con forme unicamente astratte. Grignani, invece, nemmeno con la macchina fotografica riesce a sfuggire alla tentazione di distorcere la realtà al punto di privarla dei suoi connotati. Immortalandola con zoom vertiginosi e altrettanti vorticosi movimenti di macchina, l’artista ha però dato sfogo a un astrattismo meno impostato, maggiormente votato al caso e all’intuizione. Segno che anche dietro agli artisti più razionali, in fondo, c’è sempre un pizzico di follia.