
Il British Museum è finito nell’occhio del ciclone dopo aver ospitato, lo scorso 13 maggio, una festa organizzata dall’ambasciata israeliana per celebrare il 77° anniversario dell’indipendenza di Israele. L’evento, passato quasi sotto silenzio, ha scatenato una dura reazione da parte di centinaia di membri dello staff dell’istituzione museale più famosa del Regno Unito.
Secondo quanto riportato da The Art Newspaper, 250 dipendenti hanno firmato una petizione indirizzata al direttore Nicholas Cullinan e al consiglio direttivo, criticando aspramente la scelta di mettere a disposizione gli spazi del museo per un’iniziativa ritenuta politicamente divisiva. Alcuni curatori hanno definito la decisione “scioccante” e hanno espresso timori per le future collaborazioni internazionali: “Questo gesto potrebbe compromettere il nostro lavoro con istituzioni culturali estere”, si legge nel documento.
Il museo, da parte sua, ha replicato dichiarando che l’evento era puramente commerciale e che le decisioni sugli affitti degli spazi avvengono in modo “apolitico”. “Non possiamo né vogliamo interferire con la politica estera del governo britannico”, ha scritto l’istituzione in un comunicato ad ARTnews, aggiungendo di essere consapevole della sensibilità del momento.
Alla festa hanno partecipato figure di spicco del panorama politico britannico, tra cui l’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely, la deputata laburista Maria Eagle, il leader conservatore Kemi Badenoch e il controverso leader di Reform UK, Nigel Farage. A condurre la serata, il comico Jimmy Carr.
Il caso ha assunto una portata simbolica: per molti palestinesi, il 15 maggio non è una data di celebrazione, bensì il giorno della Nakba – la “catastrofe” – che segnò lo sfollamento forzato di circa 750.000 persone nel 1948. Non a caso, all’esterno del museo si sono radunati gruppi pro-palestinesi e pro-israeliani per protestare, dando vita a momenti di forte tensione.
Tra le voci più critiche, anche Venetia Porter, ex curatrice dell’arte islamica e mediorientale del museo: “Ospitare un evento così schierato nel mezzo di un conflitto atroce è in totale contrasto con i valori che il British Museum dovrebbe rappresentare”, ha dichiarato a TAN.
La polemica è tutt’altro che chiusa. Il caso riaccende il dibattito su neutralità, cultura e responsabilità istituzionale in un contesto globale sempre più infiammato. E per il British Museum, simbolo di conoscenza e dialogo, la scelta di affittare uno spazio è diventata una questione di principio.














