Artista, giornalista e attivista curda: Zehra Doğan espone a Brescia, per la prima volta in Italia, le opere con cui manifesta il dramma personale e collettivo della guerra. Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche dal dal 16 novembre al 6 gennaio.
Talvolta le parole non bastano. Per esprimere qualcosa oltre l’immaginabile forse nulla è veramente sufficiente. Ma bisogna pur tentare, perchè proprio il messaggio più difficile, la condizione più terribile, il dramma più minaccioso meritano prima di altri di essere ascoltati.
Per questo Zehra Doğan – artista, giornalista e attivista curda – non ha mai cessato di manifestare il proprio e altrui dissenso, la propria e altrui sofferenza. Rinchiusa per 2 anni, nove mesi e 22 giorni con l’accusa di propaganda terrorista nelle carceri di Mardin, Diyarbakir e Tarso, l’artista ha continuato a scrivere (mantenendo un Diario) e a dipingere, come poteva, le sue immagini di protesta. Veramente efficaci, dal momento che una di queste le è costata la prigionia: un acquarello tratto da una fotografia scattata da un soldato turco. Questo disegno digitale mostrava la città di Nusaybin distrutta dall’esercito nazionale nel giugno 2016 con le bandiere issate e trionfanti, e i blindati trasformati in scorpioni.
«Gli occhi dei personaggi che disegno sono più grandi del normale. Sono estremamente aperti e grandi. Perché gli occhi sono testimoni di tutto… Parlare non basta, lo so già. Sono gli occhi dei personaggi che raccontano ogni cosa»
Dopo la Tate Modern di Londra, città in cui Zehra Doğan ha scelto provvisoriamente di vivere il proprio esilio, l’artista ha scelto il Museo di Santa Giulia di Brescia, per esporre dal 16 novembre al 6 gennaio il risultato di quell’ingiusta prigionia. Con la curatela di Elettra Stamboulis, Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche riunisce circa 60 opere inedite – tra disegni, dipinti e lavori a tecnica mista – che portano alla luce il dramma politico, sociale e umano che la comunità curda sta vivendo oggigiorno. Vicenda personale e collettiva si uniscono in un linguaggio artistico eterogeneo, che include spesso elementi tratti dalla quotidianità: dalla carta di giornale alle stagnole dei pacchetti di sigarette, dagli indumenti di uso comune ai frammenti di tessuto. Il risultato sono opere spesso estremamente fragili, ma potenti nella loro capacità espressiva.
La poetica di Zehra Doğan emerge così dalle 4 linee tematiche in esposizione: le macchie, generatesi dalla casuale sovrapposizione di materiale, delineano un immaginario simbolico che mira ad esaltare elementi specifici come gli occhi, le mani, gli attributi femminili; proprio la figura femminile restituisce il risultato dell’attività di Zehra come attivista femminista, impegnata nel diffondere le testimonianze delle donne Yazide scampate all’ISIS; in alcune zone del mondo la prima battaglia da combattere è quella contro il patriarcato, così nella sezione dedicata alla rappresentazione politica nelle scene di guerra di nuovo predomina la figura femminile; conclude la mostra un nucleo di opere create dopo l’esperienza in carcere. Frammenti del suo Diario carcerario accompagnano l’esposizione.
Zehra Doğan è stata rilasciata il 24 febbraio 2019. La sua storia di artista dissidente ha da subito raccolto l’interesse e la solidarietà del mondo dell’arte internazionale, tanto che Ai Weiwei le ha scritto una lettera personale e, lo scorso anno, Banksy le ha dedicato il più ambito dei muri di Manhattan, il Bowery Wall, con un’opera che la raffigura dietro le sbarre, mentre impugna la sua arma più potente: una matita.