Regina Galindo lancia dal Guatemala un poema collettivo ispirato al cadavre exquis, gioco collettivo diffuso fra i surrealisti. Allargata a 69 amici digitali, fra i quali diversi italiani
L’idea, e anche il titolo, deriva dal cadavre exquis, gioco collettivo diffuso fra i surrealisti, realizzato per la prima volta a Parigi nel 1925. Consisteva nel far comporre un breve poema da più persone, senza che nessuna potesse conoscere l’intervento dell’altra, ricomponendo poi casualmente la sequenza. Il nome del gioco deriva dalla prima frase che fu ottenuta: le cadavre exquis boira le vin nouveau (“il cadavere squisito berrà il vino nuovo”). Poi fu applicato anche alla pittura, con dipinti creati da 4 diversi artisti e poi montati a caso.
Ora, quasi ad ingannare il tempo nella quarantena da Coronavirus, torna a rivivere in Guatemala, dove la celebre performer e artista Regina Galindo ne lancia una versione poetica allargata a 69 amici digitali, fra i quali diversi italiani…
Esercizio in quarantena #0
Cadavre Exquis
Poesia scritta in tempi di quarantena tra 69 amici digitali
Prendi le posate d’argento, tesoro, siamo chiusi e affamati. Abbiamo i giorni contati e con i nostri occhi ben aperti andiamo dietro la pioggia, dopo la tempesta.
E cosa faremo mai, come tutti i giorni, volendo un po’ quello che abbiamo sempre voluto ma non abbiamo mai osato avere mentre fuori piove, aria e uccelli non riposano, ci ricordano che il presente esisteva da ieri, vomitando baci ovunque… Il mio cuore è il mio cuore
Impazziamo decifrando questa chiusura. Usciamo solo quando non siamo più gli stessi, non perché non possiamo; non vogliamo più padroni né governi. Il silenzio rimbomba, la solitudine ci abbraccia e l’ingiustizia cresce sempre di più. I mostri avari scopriranno il loro vuoto e la solitudine in questa quarantena. Scopriranno che era paura e non rispetto, che non possiedono il tempo, che nessuno li chiama perché hanno raccolto tutto quello che hanno costruito, non hanno relazioni intime, vicine perché amavano più i soldi che gli esseri umani.
Orario stimato del volo: le 15:06.
Abbiamo sempre voluto una pausa dalla realtà, ma non contiamo, così finiremmo per annegare. È arrivato il momento in cui il tempo è stato cancellato. Martedì era Venerdì e Venerdì era Domenica. La mattina era la notte e il pomeriggio scomparve. Poi è successo, quello che non avevamo aspettato è arrivato, dopo averci pensato, non volevamo più essere quell’umanità.
Silenzio, a volte dalla finestra si può vedere un muro di silenzio.
Brava, arrabbiata, odio il mio silenzio.
Rompiamo le stoviglie, nessuno viene a cena.
E continueremo da soli come eravamo ieri, ma questa volta nel silenzio della nostra compagnia.
Sediamo a tavola. Ci siamo guardati negli occhi… Ci siamo detti tutto quello che non c’eravamo detti, quello che non avevamo voluto dirci. C’era così tanto e anche così poco tempo. Non avevamo mai respirato come ora e per tanto tempo, prima respiravamo superficialmente, ognuno di noi pianificava di svelare i suoi segreti più cari.
Così poco da ricordare e tanto da dimenticare tra queste pareti gonfiate di catrame. Mi sono perso nel silenzio, mi sono perso nell’abisso, entro in piedi nella solitudine profonda che è la mia migliore amica; ora che tutto è crollato, ora che siamo la nostra stessa carne; ora solo il tempo sovrano saprà fare ciò che fa “la primavera con i ciliegi”.
Le posate d’argento si conoscono a memoria i segreti che ci raccontiamo più volte, a modo di preghiere prima dei pasti. Apriti voglio che esca aria e non acqua. Apri la finestra, così esce il mio annegamento. Finiamo di mangiare. Preferisco giocare.
Perché è meglio durare che bruciare?
È un sollievo che la diarrea non sia un sintomo di questo virus.
Il mio letto, la barca dei miei sogni. Mordi, ingoia, respira… Ricomincia da capo. Rinchiusi tutti e 3 potremo sopravvivere
Tesoro, la mia pelle è affamata di tatto. Mi cerco, mi trovo, mi perdo. Qui non ho età, solo passione, forse vita. Risuona ancora sulle mie pareti il tuo battito. Mi manchi, ti bacio, mi bacio. Tu mi hai palpato. Bacio a bacio strappo il mio endometrio. L’eco rosso dei miei pianti percorrono le mie gambe nella speranza di pagare la terra della tua sepoltura. Condividiamo anche i silenzi e le parole non dette che sono nel baule insieme all’argenteria, rendiamo questo momento un incontro memorabile.
Alcool e wi-fi, resilienza, amore nel Corona Times.
Senza nemmeno organizzare appuntamenti e celebrazioni ci limitiamo a masticare il silenzio come pane rancido; appena ringhiando un “passami il sale” attraverso il deserto di noci lucide aspettando l’angelo sterminato. Ti chiedo se mi dai un ultimo bacio, ti metti del sale nero in bocca per farti salutare.
Fanculo sul corona e nel corona e in esso incoroneremo, yeah.
Ha confessato di aver pianificato di lasciarmi in questi giorni e io ho accettato, da tempo volevo che se ne andasse ma dalla mia finestra, dalla mia finestra vedo e sento la solitudine e il giorno in cui ti vedrò te lo racconterò. Tutto è utile e inutile allo stesso tempo. Nessuno ti salva, solo la tua creazione di angelo caduto, di umano inventato, orfano di baci, di un giocattolo rotto… Misericordia. Non sono state sufficienti le foglie sotto i piedi, né i granelli di sabbia, né l’odore del mare. Mancano, ancora più dei baci al mondo!
Affamato come un animale nel suo silenzio notturno, incastro la mia vita in un pugno, soffocando, osservo i vermi avidi germogliare e le ossa dei morti sgretolare. Sfioro la terra, alla polvere ci penso come un malato terminale non ho tempo. Ritorno normale, la vita.
Mi affaccio sul balcone, davanti a me l’oceano infinito, le onde portano via i pensieri di quelli che ci sono e quelli che se ne sono andati questo strano momento. Mi mancano gli abbracci e le mani intrecciate. C’è uno sconosciuto nel mio specchio, mi vede, lo vedo, è sempre stato lì senza rendermene conto. Valvole respiratorie accelerano, il cuore gonfiato da coperte d’argento. La quotidianità era la loro sicurezza che con tanto lavoro avevano costruito o piuttosto sopportato e non gli piaceva l’idea di dover ricominciare da capo.
Ricorda che ora i figli si prendono cura dei genitori, che esempio stai dando?
Quello della resistenza. Perché reclamare qualcosa non è mai stato ad alta voce, non si conosce fuori dalle mie labbra, si suda solo. E continuo, perché non so come fermarmi. N° posso fermarmi, mentre il mondo per alcuni tour al rallentatore, quando per gli altri sfugge la vita veloce in un’ultima espirazione, vorrei fermarmi un istante, nostalgia, bruciare con il ricordo del tuo bacio ma nessuno sembra ascoltare la chiamata più evidente , ci salverà solo ascoltare le voci nel silenzio, quel filo ancestrale che sorge dalle cellule più dimenticate.
Ho fame e fa freddo.
Prendi anche anche il copriletto del vuoto.
La tasca della mia felpa mi canta “Badum badum bada boom”, continuo a cercare nelle stelle. Rancide monarchie stanche del potere hanno deciso di smettere di corrompere e condividere la loro corona con chi può bene tossire. Non mi stanco mai di vedere il cielo, albe e tramonti color ocra; cieli offuscati e nuvole dense che minacciano di distruggere tutto al loro passo; il blu infinito di un pomeriggio libero; le stelle e la luna in una fredda mattina di novembre. Sono un misero punto dell’infinito.
Ho fame di cibo, molta fame ma fa ancora più fame di rinascita, voli, liberazione. Vieni a volare in alto e lontano, vicino al Sole.
I minuti si fermano, mangio le ore nella smania di non sentirti vicino per divorarci a vicenda e in silenzio. Se chiudi gli occhi mi vedrai masticare le stelle che si nascondono sotto la tua pelle, mi vedrai sospesa nel minuto esatto quando giorno e notte baceranno le mie tempie.
Vivo il paradosso del naufrago che si nutre delle proprie carni per sopravvivere mentre scompare e potremmo essere costretti a forzare la porta. Forzarla non tanto per proteggerci, ma per proteggere voi.
N° è un covo, è una gabbia. Ogni strada porta ad una destinazione ma a volte è più importante andare lì che arrivare. Sì, arrivare a credere, che l’argento non serviva a nulla, che le posate bisognasse venderle, che c’erano altre esigenze incomprensibili in questi tempi, che avevamo finito l’ultimo rotolo e che l’ultima cosa che ci rimaneva fosse la dignità.
Ma di tanto urlare al “vuoto” nessuno l’ha voluto ascoltare, nessuno l’ha saputo capire. Si sentiva sola.
Vorrei urlare, ma è solo sussurro. Vorrei correre ma allungo le braccia al cielo e continuo a ruminare. La notte, così lontana, non ha più stelle ma sguardi. Guardiamo e non vediamo la fine solo confusione e paura, il sapore dei rinoceronti non è paragonabile a quello dei pipistrelli. Ho sempre voluto morire e ora ho paura.
La mia lingua ti aspetta piena di pesci, larve e fluidi. Ogni pazza con il suo tema. La domanda, sotto forma di spirale, è se ti sei lavato le mani prima di mangiare o hai deciso di aspettare che la morte ti trovi senza gel né disinfettante.
Gli autori
Regina Galindo, Lucia Ixchiu, Paula Acevedo, Celeste Flores, Anabella Acevedo, Jorge De Leon, Paula Orellana, Camila Camerlengo, Ed Sebastián, Cesar Martínez Silva, José Oquendo, Karma Davis Perez, Anayte Rodríguez, Magda Angélica, Sara Hermann, Luisa González Reiche, JuanMa Calderón, Kimy De León, Ana Moon, Alexia Miranda, Tania Hf, Andrea Aragón, Coco Fusco, Mariela Richmond, M Mariana Rodríguez, Gisela Romero L., Giovanna Maroccolo, María Adela Díaz, Tierra Ajpu, Ana Silvia Monzón, Luis F. Alejos, Barbara Perea, Ednita Sandoval, Belia de Vico, Francisco Solares-Larrave, Ana Castillo, Nuuco Art, Florencia Rosario Wong, Manuel Urbina, Janet Batet, Ana Valeria, Domingo Lemus, Moniquita Linda, Delia Vigil, Ana Lucia Robles Camey, Alba Mandarina, Katnira Bello, Juan Esteban Calderón, Marisabel Rodríguez, Mariola Alvarez, Amalia Jiménez Galán, Luna Lunera, Armando Rivera, Yamil De La Paz García, Lilo Euler Coy, Nicoletta Braga, Jhafis Quintero, Carlos Jiménez Moreno, SebastiXn ED, Massimo Mazzone, Toa Castellanos, Bethsabe Huaman Andia, Marisa González González, Chellet Eugenia, Lizzy Yoselevitz, Deborah Castillo, Ana Sentipensando, Lester Oliveros, y Ruth Vaides.
La versione spagnola del Cadavre exquis