Riapre le porte, dal lunedì al venerdì, il Palazzo dell’Arte di Rimini (PART). Fra le opere, quelle di Ibrahim Mahama e Zehra Doğan, che raccontano storie di migrazioni.
Inaugurato a settembre 2020 nel contesto medievale del Palazzo dell’Arengo, il PART custodisce le opere della collezione della Fondazione di San Patrignano, frutto di più di 60 donazioni di artisti, galleristi e collezionisti internazionali, accomunate da una particolare sensibilità verso tematiche sociali e comunitarie.
Un recente video pubblicato su YouTube dai Musei Comune di Rimini mette a confronto due opere della collezione: Samsia di Ibrahim Mahama (Tamale, Ghana, 1987) e Noah’s Ark (L’Arca di Noè) di Zehra Doğan (Diyarbekir, Turchia, 1989). Entrambi artisti di fama internazionale, Mahama e Doğan si distinguono dal panorama artistico contemporaneo per il forte legame che hanno saputo mantenere con le proprie radici culturali e geografiche. La loro opera infatti, oltre al valore estetico, porta alla luce spunti di riflessione politici e sociali.
Gli artisti
Mahama opera spesso attraverso l’uso del sacco di juta, elemento cardine della sua produzione artistica. Con esso vuole far riflettere sulla superficialità con cui la società capitalista consuma quotidianamente grandi quantità di prodotti senza dare alcuna importanza alle dinamiche che permettono la loro circolazione. I sacchi di juta, utilizzati per il trasporto di beni come cacao – di cui il Ghana, paese d’origine di Mahama, è grande produttore – riso, granoturco e carbone, sono infatti prodotti in India e Bangladesh, importati in Africa e da qui indirizzati ai porti europei attraverso un viaggio lungo e denso di incognite, rivelatore di profonde diseguaglianze politiche e sociali.
Doğan, dopo aver subito una condanna a 2 anni e 10 mesi di carcere da parte del governo turco di Erdoğan, è diventata il simbolo della battaglia del popolo curdo contro uno stato che sembra in ogni modo determinato a cancellare la sua identità. Nel 2016 l’artista ha infatti postato su Twitter un disegno in cui reinterpretava una foto pubblicata dalle forze militari turche per festeggiare la presa della città curda di Nusaybin, sostituendo i mezzi armati turchi con enormi scorpioni ed ha enfatizzato il rosso delle bandiere turche sulle rovine della città, a simboleggiare il punto di vista degli sconfitti.
Le opere
L’opera di Mahama mostra sullo sfondo di un sacco di juta, macchiato e timbrato dopo aver contenuto merci differenti, in un percorso di disfacimento che – nonostante cuciture e rattoppi realizzati per prolungarne l’esistenza – culminerà nel trasporto di carbone, che ne comprometterà l’uso per qualsiasi altro prodotto. In primo piano si vede invece un braccio con un nome tatuato vicino al polso: “Samsia”. E’ questo il nome della proprietaria di quel braccio. Un’usanza, questa, dai risvolti pratici per molti ghanesi, o quantomeno per quelli che di mestiere trasportano i sacchi di juta colmi di merci. Poiché infatti questi viaggi sono spesso non privi di pericoli e incognite, i trasportatori, in molti casi, non possedendo documenti. Si tatuano quindi la propria identità o quella dei propri cari, nel caso in cui i loro corpi dovessero essere riconosciuti in situazioni drammatiche.
L’opera di Doğan, a differenza di molta della sua produzione, non è stata realizzata in carcere, bensì a Roma, nel 2019, successivamente alla sua liberazione. Ciò nonostante, l’opera è coerente con lo stile adottato da Doğan durante i mesi del carcere, in cui per dipingere doveva nascondersi sotto il letto, utilizzando materiali di fortuna quali residui di cibo, capelli e perfino sangue mestruale. In questo caso l’artista curda impiega strumenti più canonici, quali pennarello nero e pittura acrilica, ma conserva la decisione del tratto di chi, dotato di talento artistico, è anche consapevole dell’importanza del messaggio che vuole trasmettere. In questo caso, il destino che aspetta i migranti che cercano fortuna attraversando il mare su di una barca, considerati spesso numeri e non persone. Al pari delle merci contenute dai sacchi di juta di Mahama.