CAMERA – Centro Italiano per la fotografia di Torino ha in programma, in attesa della riapertura dei musei, la mostra Roberto Gabetti fotografo. Un omaggio al suo originale sguardo fotografico, a vent’anni dalla sua scomparsa, attraverso oltre cento scatti stampati dai negativi originali.
Benché completamente versato alla pratica dell’architettura sia in qualità di docente sia in qualità di progettista e creativo, l’osservazione di Roberto Gabetti (Torino, 1925-2000) della realtà circostante, delle architetture, degli edifici e dell’abitato si è spesso avvalsa di una macchina fotografica, prolungamento del suo occhio e luogo della concentrazione visiva. Fin da ragazzo, dotato di una Leica, si cimenta con le riproduzioni fotografiche dei modelli di studio che gli consentono nuove modalità di osservazione dell’architettura stessa.
Roberto Gabetti fotografo espone per la prima volta il fondo fotografico custodito dalla famiglia Gabetti. Circa 300 rullini 35mm, per un totale di 5.000 negativi, corredati dai relativi provini a contatto e dalle informazioni di contesto che permettono di risalire ai soggetti, alla località e spesso anche alla data degli scatti. Per vent’anni, dal 1945 al 1965, Gabetti ha tenuto un “diario” fotografico, fino ad ora segreto, dei suoi viaggi di studio, dei progetti e dei cantieri, afferma Sisto Giriodi, il curatore della mostra. Il percorso espositivo permette di ripercorrere momenti della vita privata e professionale di Roberto Gabetti, condotta sulle orme dei maestri dell’architettura. Oltre cento fotografie che esprimono il suo gusto per la linea, la forma, il dettaglio, l’armonia, i curiosi accostamenti.
Sisto Giriodi aggiunge che le fotografie di Gabetti sono fotografie strane e che “si caratterizzano per scelte personali: provare punti di ripresa diversi da quelli del fotografo ‘in piedi’ con la macchina ‘in bolla’; accettare la presenza nelle immagini della vita quotidiana, di uomini, donne, bambini, automobili e biciclette; scelte che rimandano ad un’idea di fotografia come conoscenza delle ragioni delle architetture, delle citta` e dei paesi, ma anche come antropologia visiva dei modi di vivere, di abitare, di vestirsi, di spostarsi con “immagini del mondo che siano una misura dell’esperienza”, come affermava Luigi Ghirri”.