Cinema dissidente e altro, un libro per interrogarsi sui misteri e sulle sfide del cinema “diverso”, da Cronenberg a Fellini, da De Palma a Cimino
Il cinema visto da un punto di vista diverso, non con gli occhi del critico o dello storico, ma con quelli del poeta: Massimo Triolo (Le verità dissepolte, Acini di sangue) firma una raccolta di riflessioni, in libreria con Cinema dissidente e altro (Mimesis). Ma cosa è il cinema dissidente? «Dissidente. Un cinema scisso, difficile, un cinema che divide, che si contrappone alla produzione corrente, che esige uno sforzo intellettuale al fine della sua comprensione», così lo definisce Alessandro Cappabianca nell’introduzione.
Cinema dissidente e altro si configura come un’agile raccolta di riflessioni su registi e film che si sono manifestati nelle sale cinematografiche, di recente o meno, come veri e propri enigmi, come esempi di resistenza autoriale, come sfide, a volte sfacciatamente inafferrabili altre volte più sottilmente ambigue. Il cinema non è solo racconto, cronaca, ma anche un mezzo per suggerire nuovi orizzonti, nuovi mondi, nuovi sguardi. Triolo lo racconta in sedici interventi dedicati al altrettanti registi e ai misteri della loro poetica, da Brian De Palma a Martin Scorsese, da Woody Allen a Stanley Kubrick.
Su Michael Cimino (Il Cacciatore, I cancelli del cielo) l’autore scrive: «È qualcosa di “onirico” e “sotterraneo” che striscia nei dialoghi e nelle inquadrature, non perfettamente definibile né misurabile, ma che rende unica l’esperienza dello spettatore davanti ai “Cancelli del cielo”, una pellicola atipica che riproduce affreschi indimenticabili e una visione corale, profonda, ancorata a radici che muovono per propaggini nell’humus della natura umana e dell’esperienza violenta del destino dei singoli e di una Nazione». Quelle di Triolo sono così letture dissidenti a loro volta, che si muovono tra filosofia e psicologia, psicanalisi e lineamenti di antropologia e sociologia, in una posizione trasversale rispetto alla critica “ortodossa”. In David Cronenberg (Crimes of the future, Cosmopolis, La zona morta) c’è poi il mistero della carne, in Kubrick (Lolita, Eyes wide shut, Arancia meccanica) quello del desiderio. In Fellini (La dolce vita, Toby Dammit)? Forse quello della morte. E in David Lynch (Strade perdute, Una storia vera, Mulholland Drive)? Il più enigmatico e influenti dei registi del cinema contemporaneo? In lui c’è il mistero dello stupore: «Lynch non ha mai smesso di stupire e spiazzare anche i propri più affezionati fan, con un registro che sfugge alle definizioni di genere e una sensibilità spiccata per la creazione di mondi narrati con mestiere e i quali nonostante tengano nella propria orbita il sinistro più spinto e lo straordinario, sono altrettanti territori dell’umana vicenda; quasi a voler rimarcare che, talvolta, non vè niente di più inverosimile della realtà… e viceversa». Il cinema dissidente è così, un corpo estraneo pronto a impattare contro la normalità, contro l’ordine precostituito, è un agente del caos. E noi dobbiamo solo farci trovare pronti per finire gambe all’aria, per poterne godere tutte le infinite (disturbanti) potenzialità.