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Il coraggio e la passione di Artemisia sono in mostra a Genova

Artemisia Gentileschi Giuditta e Abra con la testa di Oloferne 1640-1645 Olio su tela, cm 115×116,5 Terni, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Collezione d’Arte

Sino al 1° aprile 2024, nei saloni dell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale di Genova sono in mostra oltre 50 capolavori di Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi (Roma, 1593-Napoli, dopo 1654) la geniale pittrice secentesca ormai nota a tutti, ha fatto passi da gigante in questi ultimi cinquant’anni. Dalla scoperta delle femministe degli anni Settanta del secolo scorso alla prima mostra a Firenze del 1991 a quella di Roma-New York -Saint Louis del 2001-2002, alle varie rassegne che si sono succedute a Pisa, Milano, Roma, Londra Napoli, ad altre città ancora, molto è stato messo in luce di questa moderna e straordinaria donna. Senza contare i libri (due anche di chi scrive, editi da Sillabe 2013 e Skira 2016), scientifici o romanzati, gli articoli, gli studi d’archivio, e le scoperte, come le lettere ai collezionisti o all’amante Maringhi, rivelatrici e piccanti. La sua personalità è emersa con sempre maggiore chiarezza, delineando una figura davvero eccezionale per i tempi, per forza, coraggio, anticonformismo, capacità.

Adesso a celebrarla c’è una bella mostra a Genova (Palazzo Ducale, sino al 4 aprile), che ne ripercorre tutto l’iter o quasi (ancora poco noto, e da chiarire, è il soggiorno veneziano) attraverso una cinquantina di opere, sue e di colleghe, che trattano i diversi momenti della vita e dell’attività, approfonditi nel catalogo. È una panoramica interessante non solo di Artemisia, ma del padre Orazio pittore e delle artiste del Seicento, brave, ma dalla vita difficile per il maschilismo imperante, a cominciare da quello dei padri.

Artemisia Gentileschi Conversione della Maddalena 1613-1615 Olio su tela, 146,5×108 cm Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

Artemisia, violentata dallo “smargiasso” Agostino Tassi, uomo privo di scrupoli e già sposato, ma indubbiamente uno dei più grandi paesaggisti del tempo, e quindi come pittore non meritevole di damnatio memoriae, anche se esecrabile come uomo (ed anche su di lui chi scrive ha pubblicato un libro, Mauro Pagliai Editore 2017), è un esempio calzante anche oggi in epoca di femminicidi. Purtroppo. Nel suo caso la donna, pur avendo pienamente ragione al processo, e i fatti sono noti, fu additata a vista come una “puttana”, una che si affacciava alla finestra per cercare uomini. Orfana di madre dal 1605, dotata nella pittura, a differenza dei fratelli, Artemisia, sin da bambina, aiutava il padre pittore e faceva andare avanti la turbolenta famiglia con l’aiuto qualche domestica.

La mostra si apre col capolavoro Susanna e i vecchioni di Pommersfelden, prima opera nota, firmata e datata 1610, da una Artemisia diciassettenne, che lavora sotto l’egida paterna. I dipinti di padre e figlia di quegli anni sono molto vicini, lui è il maestro e lei l’allieva.  Una pittura improntata al “naturale”, ma dai toni luminosi, di un caravaggismo soffuso, come avevano già sottolineato gli storici dell’epoca. Non è escluso che la ragazza partecipi agli affreschi del Casino delle Muse in Palazzo Pallavicini Rospigliosi, condotti da Tassi e dal padre, dipingendo quella figuretta autonoma, civettuola e ingioiellata, che si distingue dalle altre. Un autoritratto di Artemisia, come sembra suggerire Claudio Strinati nel suo saggio, o un più probabile ritratto della figlia da parte di Orazio? Il mistero non è ancora svelato.

Artemisia Gentileschi
Susanna e i vecchioni
1610
Olio su tela, 170×119 cm
© Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von
Schönborn

I rapporti tra i due pittori, padre e figlia, sempre oggetto di studi sin dal lontano Roberto Longhi sono messi a confronto anche in questa occasione. Molto vicina, quasi interscambiabile all’inizio, la loro pittura si differenzia col tempo. Orazio mantiene un naturalismo caravaggesco attenuato, luminoso, aulico e rarefatto. Artemisia è più violenta nelle tematiche e nelle pennellate, è una forza della natura che con le sue eroine sanguinose si fa strada nel mondo. È più forte e decisa, in una interpretazione elegante e raffinata, ben evidente in opere come la Conversione della Maddalena del 1613-1615 di Palazzo Pitti di Firenze, l’Allegoria dell’Inclinazione del 1615-1616, giunta da Casa Buonarroti di Firenze, fresca di restauro, la Morte di Cleopatra del 1620, le varie Sansone e Dalila di collezioni private, la Cleopatra del 1640- 1645.

Il rapporto col padre è un argomento cruciale anche da altri punti di vista: andavano d’accordo? Le numerose testimonianze ci dicono che era un rapporto difficile, di amore e odio. Artemisia, al ritorno da Firenze, dove era riparata dopo lo stupro di Agostino, a Roma dove rientra intorno a 1620 per debiti col granduca e qualche altra grana, ebbe continui litigi col severo e collerico padre, e coi fratelli, tanto da non potere vivere sotto lo stesso tetto. Nessun idillio e molta indipendenza da parte di Artemisia, evoluta come donna e artista, che tuttavia al padre doveva voler bene tanto da raggiungerlo in Inghilterra in anni più tardi, anche se per breve tempo.

Orazio Gentileschi
Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo
1615-1621
Olio su tela, 90×105 cm
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

A confronto della prima opera del 1610 viene esposta una quasi delle ultime della pittrice, Susanna e i vecchioni di Brno in Repubblica Ceca del 1649, per sottolineare l’evoluzione avvenuta in quei trent’anni. La pittura di Brno risente di tutte le esperienze di Artemisia, molte e in diverse città, la sua capacità di assimilare gli apporti da altri pittori, pur rimanendo sé stessa: artisti fiorentini, napoletani, veneti, sulla base di un naturalismo ora spietato ora addolcito sulla scia paterna.

Da quel momento la mostra racconta tutta la complessa vicenda della Gentileschi, dal riscatto psicologico e sociale a Firenze, presso la corte del granduca, tra brillanti intellettuali, al ritorno a Roma dal 1620 al 1625-1626, con i suoi viaggi, le sue frequentazioni, i suoi onori e conoscenze, l’infelice vita matrimoniale, foriera di vantaggi per il marito Pierantonio Stiattesi, pittore mancato e uomo interessato. Presenta le sue eroine bibliche, Giuditte, Cleopatre, Minerve, Maddalene, in cui la pittrice si identifica e si innalza, raggiungendo vertici impensati. La protagonista è sempre lei, bellissima e acculturata (finalmente sa scrivere oltre che leggere), frequenta la più elitaria intellettualità fiorentina e romana, tra soddisfazioni, beghe, preoccupazioni, vicende terribilmente umane.

A Genova, dove Orazio era arrivato intorno al 1620, dopo che la sua fortuna a Roma era in declino, Artemisia non lo raggiunse mai. Nessun documento fa cenno ad una sua presenza. Anche se alcune opere della pittrice girarono nel collezionismo genovese. Si sa che, invece, la donna negli stessi anni rimase a Roma tra pittura, onori e turbolenze, frequentando il bel mondo, anche alternativo e spregiudicato come il gruppo di artisti nordici con cui si passavano serate tra riti in onore di Bacco e travestimenti.

Artemisia Gentileschi
Cleopatra
1640-1645
Olio su tela, 160×130 cm
Collezione privata, Napoli, Italia

C’è ancora il capitolo dell’attività napoletana di Artemisia, importante e interessante che, grazie alla mostra napoletana Artemisia Gentileschi a Napoli del 2022-2023 ha avuto un notevole contributo di studi e documenti, in grado di chiarire molti aspetti prima oscuri o confusi.

 

Artemisia Gentileschi. Coraggio e Passione
Palazzo Ducale
Piazza Giacomo Matteotti, 9
16123 – Genova
16 novembre 2023 – 1° aprile 2024

A cura di Costantino D’Orazio con Anna Orlando, curatrice della sezione sul caravaggismo a Genova

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