Print Friendly and PDF

L’ARTE E LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

Fino a che punto un artista è libero di esprimersi?
Fino a che punto un’opera d’arte può offendere i sentimenti di alcuni individui, o addirittura di intere comunità?
Queste sono le tre domande che mi sono posto dopo la chiusura della mia mostra “Zeitgeist” a Pietrasanta.
Sono quesiti di non facile soluzione. Tutto nasce dai principi che caratterizzano l’arte moderna, che pone l’importanza della comunicazione al di là della sua rappresentazione. E la comunicazione implica sempre una dimensione di violenza. Essa deve tentare di penetrare dentro la coscienza della spettatore, deve catturare la sua attenzione. L’arte contemporanea esaspera questa dimensione di violenza e di aggressione, verbale o visiva, che è implicita nel nostro stesso linguaggio.
Fin dagli inizi del ‘900, con le avanguardie storiche, la provocazione è stata un elemento fondamentale dell’arte contemporanea, diventando così un elemento espressivo. Insistere oggi sul fatto che la provocazione sia inutile nell’arte sarebbe come negare una parte della storia del secolo scorso. Il problema, infatti, non è tanto quello di realizzare delle opere gradevoli che ci aiutino a superare le brutture del mondo, quanto piuttosto delle opere che siano importanti per il loro tempo, che riflettano in qualche modo la realtà che le circonda.
L’arte, da sempre, ha dovuto fare i conti con un sistema sociale che tenta di imporre le proprie regole. Ma tutti sappiamo che non esiste arte se non c’è piena libertà di espressione da parte dell’artista. Difatti, molti personaggi della storia dell’arte o della letteratura hanno dovuto subire polemiche, incomprensioni e spesso anche censure e processi, per essere poi riabilitati solo dopo la loro morte. Penso ad artisti, intellettuali o pensatori come Socrate, Piero Aretino, Caravaggio, Galileo, Goya, fino ad arrivare a Oscar Wilde, Egon Schiele e Pasolini. Questo ci deve far riflettere sul fatto che ogni espressione artistica, e in particolar modo le più audaci, tendono sempre a forzare certi canoni, estetici o morali, imposti dalla società, e per la loro forza comunicativa possono toccare alcune corde particolarmente sensibili all’interno della comunità in cui vivono. La storia ha dimostrato che, nella maggior parte dei casi, questi artisti hanno avuto ragione, e se la società si è evoluta, ciò è accaduto grazie anche al loro contributo.
Ho riflettuto a lungo sul perché alcune mie opere scandalizzino e siano oggetto di polemiche. Anche in questo caso la questione è complessa. Ogni società civile è retta da diverse istituzioni. L’istituzione è regolata dalla moralità dei comportamenti umani. Tuttavia, la categoria della morale non ha niente a che fare con l’arte: assolutamente niente. Ecco perché l’istituzione e l’arte sono sempre inconciliabili, tranne quando l’artista si attiene alle direttive che vengono impartite dal sistema istituzionale. Il quel caso, però, parliamo di arte di stato, o di arte di regime.
A tutti quelli che mi hanno domandato cosa significasse la mia opera “La Madonna del Terzo Reich” ho dato delle risposte che apparivano deludenti. Lo leggevo nei loro occhi. Ma quell’immagine ha un elemento fortemente antinomico. Per quanto Hitler sia la rappresentazione più eclatante del Male, è pur sempre una creatura di Dio. La Madonna, quindi, anche in un’accezione cristiana, non può avere paura di Hitler. C’è chi ha visto in quel quadro addirittura un messaggio di speranza. Può darsi che sia vero, come può darsi esattamente il contrario. Del resto, come ho dichiarato più volte, attraverso il mio stile, io frappongo una sorta di distanza tra le mie convinzioni, la mia storia personale e individuale, e il soggetto dell’opera che dipingo. Infatti mi interessa più il tema da trattare, piuttosto che prendere posizione per l’una o per l’altra parte in causa.
Ecco, io credo che l’arte contemporanea si muova sempre sul filo dell’ambiguità. E più un’immagine è ambigua, più riuscirà a suscitare interpretazioni diverse in chi la guarda. Nell’era in cui viviamo non possiamo più aggrapparci ad interpretazioni univoche.
Un altro elemento del mio lavoro che è passato sotto tono, e che invece io ritengo molto importante, è quello della citazione. Nella mie ultime opere c’è un rapporto costante con l’arte del passato, e in particolar modo con il Rinascimento, il Manierismo e il Barocco. Tre momenti storici dell’arte italiana che hanno influenzato la storia dell’arte e della cultura mondiali. Perché questa scelta di guardare al passato? La crisi globale (religiosa, politica, economica, sociale) che sta caratterizzando il nostro tempo ha fatto crollare qualsiasi modello, creando in tutti noi – dunque anche in me, come artista e come uomo – una grande sfiducia verso il futuro. E anche nell’arte si è persa da tempo una certa fiducia nei valori che sono sempre stati la sua base fondante, come la scoperta, la sperimentazione, l’innovazione. Per questo motivo io ritengo, in questo preciso momento storico, che sia più interessante una ricerca che riscopra e rilegga, in chiave contemporanea, certi valori linguistici e formali del passato, piuttosto che un lavoro che ripercorra all’infinito le mille strade degli sperimentalismi linguistici.

LA FUNZIONE COMMENTI SUGLI EDITORIALI E’ ATTUALMENTE DISATTIVATA A CAUSA DEI LAVORI SULLA NUOVA PIATTAFORMA
PERCIO’ SE QUALCUNO DESIDERA INVIARE UNA SUA OPINIONE LO FACCIA SCRIVENDO Ared@arslife.com
PROVVEDEREMO NOI A PUBBLICARLA

Abbiamo ricevuto da Daniela Paola Aglione questo commento pubblicato anche su House Living and Business

14 SETTEMBRE 2010 – LE ALI DELLA LIBERTÀ
Panseca, Kosolapov, Veneziano…
è arte o provocazione?
Libertà d’espressione, l’autore della Madonna
del Terzo Reich si confessa su Arslife

ARTE | Aveva più di 15 anni il castagno che Anne Frank guardava dalla finestra della sua prigione. A fine agosto, oramai ammalato, un forte vento lo ha sradicato. Il proprietario del terreno decide così di renderne immortali le spoglie, inviandone frammenti in ogni qual dove. Uno di questi verrà affidato alle cure gentili, alle attenzioni metamorfiche del nostro Giuseppe Penone, cui è stato affidato il compito di traghettare la materia lignea agli oceani dell’eternità, per il parco artistico Kroller-Müller di Otterlo, in Olanda. Gesto cortese, la provocazione a riposo, sostituita da più confortevoli aure estetizzanti. Confortevoli come il gesto artistico di un Ugo Nespolo – di cui pubblicheremo l’intervista esclusiva che ha rilasciato ieri per HOUSE, LIVING AND BUSINESS Nr.6 – che della patafisica coglie l’aspetto giocoso, che delle contaminazioni con il mondo della moda, dell’arredamento o dell’editoria vuole cogliere quella capacità d’avvicinamento ad un pubblico più vasto. Lo stesso pubblico, più o meno scremato, più o meno sezionato, più o meno intenzionato, che osserva e/o compra e/o frequenta i mondani mondi dell’arte. Tutti in silenzio a seguire le bizze di un Cattelan indaffarato a comprare una moquette rossa, neanche si trattasse di trovare il Santo Graal, a vedersi un Bros (chiamato per l’occasione Davide e non Daniele, Nicolosi ndr.) in prima pagina dal Corriere della Sera del 4 agosto 2010, che ne conclama l’artisticità, a stupirsi per una Chiesa Ortodossa Russa offesa nell’intimo per le opere degli Alexander Kosolapov o dei Blue Noses di turno. Ma come recita il vecchio adagio di La Rochefoucault, Parlar bene o parlar male di una persona, l’importante è che se ne parli. Il sapore cambia quando a parlar di qualcuno lo fa il soggetto stesso. Giuseppe Veneziano parla di sé, firmando un pezzo-confessione-spiegazione-giustificazione su Arslife il 13 settembre 2010. «L’arte, da sempre, ha dovuto fare i conti con un sistema sociale che tenta di imporre le proprie regole. Ma tutti sappiamo che non esiste arte se non c’è piena libertà di espressione da parte dell’artista». Non è stato semplice leggere quel soliloquio ricco di superfici piane e sdrucciolevoli. Mi sono affidata ad una delle tante spiegazioni possibili per quel “sistema sociale”, quella del sociologo statunitense del secolo scorso Talcott Parsons: ne Il sistema sociale Parsons definisce il sistema come un insieme interrelato di parti che è capace di autoregolazione e in cui ogni parte svolge una funzione necessaria alla riproduzione dell’intero sistema (fonte Wikipedia). Difficile credere che una qualche entità suprema quale il Veneziano sistema sociale, entri nel sistema dell’arte per dettarne delle regole. Sono forse i soggetti stessi del Sistema dell’Arte che premono nei limiti del proprio potere per convogliare artisti, scambi di mercato, valori da investimento, marketing delle anime, come sottolinea il Giornale dell’Arte nella sua indagine, l’Anticlassifica, stilata tirando le somme delle preferenze dei propri lettori a livello internazionale. Veneziano scomoda dalle tombe Socrate, Piero Aretino, Caravaggio, Galileo, Goya, Oscar Wilde, Egon Schiele e Pasolini per citare alcuni esempi di artisti di “rottura”, dimenticandosi comodamente che l’hegeliano concetto di tesi – antitesi – sintesi può avere più campi d’azione, persino la ciclicità evolutiva del pensiero e delle correnti artistiche. Ma Veneziano si ostina nel ritagliarsi un’immotivata redenzione su cui invito alla riflessione: «Ho riflettuto a lungo sul perché alcune mie opere scandalizzino e siano oggetto di polemiche. Anche in questo caso la questione è complessa. Ogni società civile è retta da diverse istituzioni. L’istituzione è regolata dalla moralità dei comportamenti umani. Tuttavia, la categoria della morale non ha niente a che fare con l’arte: assolutamente niente. Ecco perché l’istituzione e l’arte sono sempre inconciliabili, tranne quando l’artista si attiene alle direttive che vengono impartite dal sistema istituzionale. In quel caso, però, parliamo di arte di stato, o di arte di regime». La morale ha a che fare con l’uomo stesso, difficile scinderla dalla sua stessa identità, benché ne segua i cicli storici. La domanda dovrebbe essere piuttosto “quale morale” o più imperfettamente “quali morali” ci accompagnano e la mia domanda sincera che rivolgo a Giuseppe Venziano è quale sia l’arte di regime qui, in Italia, oggi. Non molti sanno che a Milano a maggio si è consumata nel silenzio, alla galleria Antonio Battaglia, Cronache Mitologiche, la personale di Filippo Panseca, “ucciso” – come lui stesso afferma in un’intervista al Corriere della Sera del 23 agosto scorso, per essere stato amico dei potenti (Bettino Craxi, ma anche Silvio Berlusconi) nella Milano da bere, andata di traverso dopo Mani Pulite e quindi considerato artista di regime, quello socialista. Molto rumore per nulla, Veneziano, meglio il pennello che la penna.
di Daniela Paola Aglione
__________________________________
Filippo Panseca commenta su House Living and Business
21 SETTEMBRE 2010 – TANTO DI CAPPELLO
Panseca, sono io che con Craxi
ho cambiato l’immagine del PSI
Panseca risponde alle provocazioni di Veneziano
e di House, Living and Business sull’arte di regime
ARTE| La Rassegna Stampa Arte di HOUSE, LIVING AND BUSINESS dello scorso 14 settembre, si è aperta con un tono di polemica nei confronti dell’editoriale di Arslife.it del 13 settembre, scritto dall’artista Giuseppe Veneziano. La polemica, in breve, si rivolgeva all’atto giustificatorio proposto al pubblico dall’artista.
Potete leggere i contenuti dell’editoriale di Arslife del 13 settembre 2010 L’arte e la libertà d’espressione di Giuseppe Veneziano e dell’articolo di apertura della nostra rassegna Panseca, Kosolapov, Veneziano… è arte o provocazione? Libertà d’espressione, l’autore della Madonna del Terzo Reich si confessa su Arslife. Il giorno successivo, il 15 settembre scorso, l’artista Filippo Panseca ha pubblicato il link alla nostra notizia sulla sua pagina personale su Facebook ed io lo invitai, qualora lo desiderasse, a lasciare un commento, essendo stato chiamato in causa nel mio articolo. La risposta non si è fatta aspettare, quindi la Redazione di HOUSE decide di pubblicare integralmente ciò che di suo pugno ha scritto Filippo Panseca, con l’auspicio – visti i toni sia nostri che di Panseca stesso – di promuovere un dibattito legato ai contenuti dell’arte, cui invitiamo tanto gli “addetti ai lavori” quanto i nostri lettori a dare un gradito, gradevole e colto continum.
Giuseppe Veneziano scrive: «Ecco perché l’istituzione e l’arte sono sempre inconciliabili, tranne quando l’artista si attiene alle direttive che vengono impartite dal sistema istituzionale. In quel caso, però, parliamo di arte di stato, o di arte di regime». Daniela Paola Aglione risponde sul Vostro sito: «La morale ha a che fare con l’uomo stesso, difficile scinderla dalla sua stessa identità, benché ne segua i cicli storici. La domanda dovrebbe essere piuttosto “quale morale” o più imperfettamente “quali morali” ci accompagnano e la mia domanda sincera che rivolgo a Giuseppe Veneziano è quale sia l’arte di regime qui, in Italia, oggi. (…) Non molti sanno che a Milano a maggio si è consumata nel silenzio, alla galleria Antonio Battaglia, Cronache Mitologiche, la personale di Filippo Panseca, “ucciso” – come lui stesso afferma in un’intervista al Corriere della Sera del 23 agosto scorso, per essere stato amico dei potenti (Bettino Craxi, ma anche Silvio Berlusconi) nella Milano da bere, andata di traverso dopo Mani Pulite e quindi considerato artista di regime, quello socialista».
Mi sembra di capire di essere considerato artista di regime e non ne comprendo il senso. Se la definizione di Artista di regime o di Stato come dice il Veneziano è quando l’artista si attiene alle direttive che vengono impartite dal sistema istituzionale, devo dire che a me non risulta di aver preso direttive da chicchessia per realizzare le mie opere, anzi durante la mia collaborazione con Craxi e con il Partito Socialista a cominciare dal simbolo che diventò un garofano, sono stato io che ho cambiato con un restyling totale l’immagine del Partito ed ho rinnovato il modo di fare i Congressi, inserendo delle videoinstallazioni per coinvolgere i partecipanti agli stessi (parliamo dal 1978 al 2000).
Se a qualcuno non ancora nato in quegli anni non risulta, potrà documentarsi sulla stampa e sui media di quel periodo. Se andiamo a vedere le mie opere di quegli anni invece, nel 1970 inizio a sperimentare e a produrre opere biodegradabili esponendo presso le gallerie di Lucio Amelio a Napoli, Leo Castelli a New York, Lara Vincy a Parigi, alla galleria del Naviglio di Milano, alla galleria dell’Obelisco di Roma ecc. Nel 1975 tento di produrre opere on line, da trasmettere via satellite contemporaneamente in ogni parte del mondo ed eseguo un esperimento riuscito, a Milano con Pierre Restany presso la Rank Xerox, trasmettendo a New York un mio progetto di opera biodegradabile alla libertà in sostituzione della statua della Libertà. Il 17 e il 18 gennaio 1976 il quotidiano La Repubblica offre ai lettori a £. 150 un mio progetto di un’opera biodegradabile tirata in 330.000 copie che occupa lo spazio di una pagina e che rappresenta sia l’opera che la pubblicità della stessa che viene presentata allo studio Soldano di Milano, ripeto l’esperimento sul mensile radicale Prova Radicale e sul settimanle ABC. Nel 1979 a San Francisco elaboro e stampo su tela per trasferimento termico (non esistevano i plotters) le prime immagini con un computer. A Milano nel 1980 costruisco un computer monocromatico e con una telecamera e un digitalizzatore, elaboro una serie di immagini che, stampate, sono presentate alla galleria d’arte del Naviglio di Milano. Successivamente realizzo un computer quadricromatico e continuo la ricerca sulle immagini digitali e fotodegradabili, mentre come designer realizzo e brevetto un contenitore di bevande bicchiere bottiglia in plastica biodegradabile che si sarebbe decomposto senza inquinare l’ambiente durante la sua decomposizione. Se messo in produzione avrebbe eliminato senza inquinare e senza ricorrere a inceneritori dal 1970 ad oggi milioni di metri cubi di plastica prodotti e distrutti in Italia.
Nel 1981 installo una Vittoria Effimera fotodegradabile sulla mano del Napoleone di Canova nel Cortile dell’Accademia di Brera, presso la quale ero docente di pittura. Alla Biennale di Venezia del 1982, invitato, espongo 20 progetti di opere ed una sfera biodegradabile che si consuma dentro la sala senza inquinare fino a sparire completamente profumando l’ambiente con essenze vegetali; di questa opera rimane un video in bianco e nero. Negli anni successivi continuo con le mie ricerche digitali ed ottengo all’Accademia di Brera la prima Cattedra in Italia di Computer Art. Costruisco e brevetto SWART Art o Mat distributore automatico di opere d’arte digitali. Realizzo delle sculture che producono energia fotovoltaica ed eolica indotta ed una piccola City Car 2be che funziona ad energia solare (www.ecoartlab.com e www.2be.is.it). Le mie ultime opere digitali sono state esposte lo scorso maggio come dice la Aglione alla galleria Battaglia di Milano ma la mostra, non si è consumata nel silenzio se la stessa ha potuto averne informazione dalla lunga intervista che mi ha dedicato il Corrriere della Sera del 23 agosto.
Il mio lavoro non sarà noto al gran pubblico e qualche critico di parte che ha curato l’ultimo padiglione italiano della Biennale di Venezia, nel difendere i suoi padroni (Bondi e C.) ha scritto di tutto e di più sulla prima pagina del giornale Libero che gli ha dato spazio, solo avendo visto delle immagini da foto di Agenzie, tra l’altro confondendo il periodo e gli autori delle opere alle quali mi ero ispirato per realizzarle.
L’arte è scienza, non si improvvisa e non si accontenta di qualunquistiche e superficiali approssimazioni, anzi richiede un duro e sistematico lavoro.
Intanto ho concluso il percorso per la progettazione delle nuove opere digitali realizzate con l’utilizzo del codice QR che permette al fruitore di dialogare con le stesse, con l’uso di un telefonino digitale collegandosi in rete per vedere l’opera in costruzione e tutti i dettagli che sull’opera saranno date durante la realizzazione.
ARTISTA DI REGIME O RICERCATORE? AI LETTORI L’ARDUA SENTENZA.
Filippo Panseca

Commenta con Facebook

leave a reply

*