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In Cina vola Warhol. Qui l’ultimo smartphone.

Hong Kong è la capitale dell’arte. Almeno per la settimana corrente. Poi sarà il turno di Londra. Mercoledì 3 ottobre apre i battenti ai collezionisti più in grana del pianeta Fine Art Asia. Una fiera che segue le orme del Tefaf di Maastricht e della Biennale Des Antiquaires di Parigi, anche se in scala ridotta. L’offerta varia dall’antico al contemporaneo più spinto, il tutto in chiave prettamente asiatica, con qualche incursione occidentale. In sostanza arrivano da tutta la Cina i nuovi billionaires per acquistare l’arte di casa che da qualche secolo a questa parte è tutta custodita in Europa (e nella fattispecie in Belgio e Francia) e a Taiwan (diaspora del dopo Mao). I periodi più richiesti e pregiati sono Ming, Quing, ma soprattutto Tang. I celebri cavalli del 600 d.C. possono agevolmente superare i 5 milioni di dollari americani, se ben conservati. La piazza di Hong Kong è perfetta per una kermesse del genere, soprattutto a livello fiscale. Come sapete è in black list. La fiera si svolge in un enorme grattacielo: l’Hong Kong Exhibition Center, e ne occupa un intero piano. Al piano inferiore c’è invece la sede di Sotheby’s, che nella settimana in questione batte l’arte asiatica. Lo scorso anno, in una giornata, ha fatturato oltre 400 milioni di dollari, con due sole vendite, di moderno e di contemporaneo. Resta da sottolineare che il tycoon cinese non brilla per raffinatezza. Infatti i nomi all’incanto nel contemporaneo non sono più di quindici (non si compra per passione ma per investimento, e l’investimento deve essere ben riconoscibile dagli amici), idem per il moderno. Si cerca lo status symbol, e lo si paga qualsiasi cifra. Mi rendo conto, da italiano, di non poter muovere molte critiche. Mi riferisco alle code di intellettuali che venerdì scorso hanno fatto la notte per comprare a rate l’iphone5: Touché. Semplicemente in Cina il target è più alto, così, mentre in Italia abbiamo dovuto ridimensionare le nostre ambizioni per omologarci, siamo passati in soli dieci anni dalla macchina sportiva allo smartphone.

Venendo all’arte, perché se siete su questo portale è questo che amate, il contemporaneo cinese è molto speculato ma è anche molto affascinante. Zeng Fanzhi, Yue Minjun, Zao Wu-ki, sono sì dei cavalli dopati, ma sono anche artisti che, quando il celebre quartiere 798 di Pechino era davvero underground (anni ’80 e primi ’90), hanno fatto autentica arte di protesta. Non sono ripetitivi, sono più che altro uniti in un sentimento di ribellione profondo e autentico, da scoprire e conoscere. Pochi sono i galleristi che li trattano seriamente in Italia, ma qualche mostra saltuaria la si può trovare. Purtroppo Fang Lijun alla GAM di Torino ha chiuso da qualche giorno, ma di certo, di arte cinese, sentirete parlare ancora parecchio. Zai Jian!!

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