Bruno Ceccobelli e le sue riflessioni di artista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi
Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni artisti italiani lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Un nuovo contributo di Bruno Ceccobelli (1952), che dopo la ribalta internazionale ormai da 40 ani ha scelto di rifugiarsi nelle campagne di Todi suo paese natio…
Strabismo di Venere. La fase anale dell’Arte Contemporanea
L’infantilismo nell’Arte Contemporanea è opera di artisti perversi polimorfi (come potrebbe sostenere Sigmund Freud) perché ricercano il “piacere” senza avere nessuna finalità riproduttiva.
Un altro tipo di artista, invece, avrebbe potuto produrre, attraverso la sua arte, semplicemente, un “disegno”, una visione non onanistica, un messaggio responsabile, non segni distratti, ma un pensiero in figura organica, con finalità interattive con il resto dell’umanità.
Uno sviluppo ritardato, libidico, puerile, è funzionale alle moderne società capitalistiche perché avendo come fondamento la condivisa dittatura del relativismo e del conformismo, il loro cattivo gusto e il facile nichilismo del loro godimento narcisistico, l’edonismo del mercato consumistico, fanno scaturire queste stesse caratteristiche riconducibili anche alla personalità dell’artista contemporaneo.
Sono tutti comportamenti coattivi all’interno di questo nostro sistema produttivo occidentale Post-Human, un atteggiamento psicologico involutivo chiamato “sindrome di Peter Pan”.
Tale incoerenza psico-sociale è stata analizzata e coniata da Dan Kiley, detta anche “neotica psichica”. Quella condizione cioè indotta, perché inculcata dalla pubblicità o volontariamente assunta per banale conformismo. Di fatto si vive in uno psico-mondo tutto proprio, distante dalla realtà e perciò di compiacenza indolente verso il capitalismo visto come potere “liberale”, adottato fatalmente come istituzione genitoriale, pur di non essere distratti dai nostri paradisi artificiali infantili e fiabeschi.
Ovviamente, questo è lo stato mentale immaturo della maggioranza dei cittadini, che così confusi si sono adeguati alla discrezione del “Sistema”.
Chi si rifiuta di crescere o indagare di più, senza infastidire, può, nel prossimo step, divenire un automa; chi opera così in arte si chiama Naif.
Ancora oggi, l’assenza di un super-io e di una paternità educativa, concede all’artista “avanguardista”, egoista, egocentrico, nel liberismo mercantile del laissez faire internazionale, di provocare, con il suo coup de theatre, traumi, scioccare, per attirare l’attenzione del genitore-pecunia e dei tanti critici babbei e altri astanti dotti ignoranti di corte.
Pensiero unico: circuire ricchi fessi che proliferano nella società del benessere dove è giusto che tutto si possa osare, contro lo Spirito dell’Essere fedeli a se stessi; questi artisti naif sperano che nelle gallerie, nei musei e nelle riviste d’arte o davanti agli schermi televisivi, i molti collezionisti naif abbocchino.
La pittura era retinica nell’Ottocento, puramente visiva, era obsoleta perché mimetica e narrativa. Allora, pensò Marcel Duchamp, sostituiamola con “l’idea” della pittura.
Nella corsa del secolo novecentesco occorreva una pittura più veloce, più divertente… Forse naif-voyeristica, insomma un’arte da palcoscenico, più “presentativa”, fredda. Ecco allora Happening, Performance o Body Art, Conceptual Art e Narrative Art, Land Art o Pop Art, e ancora Iperrealismo e Arte Sociologica o cronicistica.
Con l’objet trouve o il ready made finalmente “c’era l’opera senza l’opera”. Ma questo distacco dal mondo, per poi accettarlo così come è, a chi conveniva socialmente? E quali atteggiamenti favoriva?
Praticamente questi artisti furbi, non più celesti, evitano la parte emozionale di una espressione linguistica, la pittura che è il colore dell’anima, negando la parte più intima del sentire e del presagire, che è la caratteristica ancestrale dell’uomo. Dimenticano le tante memorie classiche che permettono ancora di “tingere” la realtà con le proprie delicatezze, giudizi e speranze.
Così l’Arte d’Avanguardia dello scorso secolo è cresciuta come un fungo saprofita, cresciuta su delle istituzioni marce delle merci, attuando per tutti noi un rigore estetico “dittatoriale” chiamato stile, corrente, moda. Una vera “castrazione estetica” di gruppo, essa fece parte del programma uomo-merce strutturale al progresso-industriale, al concetto-prodotto. Un artista in-castrato senza più ri-produzioni o aspettative, per un mondo umano diverso dalle logiche di pochissimi e dal profitto preordinato.
Cosa ha potuto capire lo spettatore sprovveduto di ieri e di oggi, guardando la nascita dell’Arte Contemporanea, per esempio dopo la consacrazione di un’opera come “l’orinatoio” di Marcel Duchamp? Ecco, da quel momento, l’omino proletario, coscientemente, poteva dire, per esempio, che andare al cesso o vedere l’opera sviscerata dalla libido retroattiva di Duchamp era la stessa cosa. Cioè un utensile per una funzione corporale, visibilmente materialistica, e banalmente, ora, anche con una funzione estetica imprecisata.
L’opera d’arte, nella sua formalità e materialità, certamente è una scoria, simile alle feci, perché il nutrimento ne è il contenuto. Così le vitamine sono già state degustate e digerite dall’artista stesso con l’azione del dipingere.
Questa scatola vuota, che è un’“opera”, quando passa di mano, va riempita di nuovo, dal fruitore, di senso. E non solo impiegata come una merce feticcio fecale, di scambio.
I maestri stercorari tipo Duchamp, Piero Manzoni, Andy Warhol, Damien Hirst, Maurizio Cattelan, sono stati scaltri “scacchisti” e hanno scambiato il package per il cioccolatino.
Ecco l’arte di vetrina, con il messaggio subliminale che ci impone l’esistenza di una valorosa “estetica del disgusto”, un miscuglio di concezioni bislacche: di anti-arte o arte non arte, per concludere lapalissianamente che… tutto è Arte come tutto si paga.
Hanno voluto accentuare il “valore d’uso” e di scambio dell’oggetto artistico, invece di scoprire il “valore metafisico” del suo significato, quest’ultimo difficile da vendere intellettualmente, soprattutto se tali opere ne erano sprovviste.
Scambiare la galleria contenitore, come la cornice di un quadro, per l’opera stessa, vuol dire fare arredamento con del buon design ma senza gusto. Quindi un cesso, in qualsiasi luogo semantico, è un cesso, anche se in oro!
“Complici le fissazioni intense d’eccitamento maniacale, non c’è il controllo delle funzioni sfinteriche. L’espulsione delle feci oltre che avere una funzione gratificante diventa uno strumento di regolazione o relazione con l’ambiente circostante…” (S. Freud).
Diciamocelo: imbrattare tutto il mondo con la propria “merda” è una grande soddisfazione e una liberazione (vedi la corrente Informale o la Street art). Come fece il cattivo bambino Jackson Pollok, espulso dalla Manual Arts High School di Los Angeles e morto ubriaco in un incidente stradale coinvolgendo altre vittime.
“In caso di insoddisfazioni insufficienti il bambino (l’artista Peter Pan) durante la fase anale, proverà soddisfazione nella ritenzione delle feci, nel futuro sarà ossessionato dalla cura dei dettagli, spiccato senso del possesso, parsimonioso, organizzato, ostinato, ossessionato dall’ordine e dall’igiene” (S. Freud).
Così abbiamo l’Arte Concettuale o Razionale o Geometrica o Minimal, arti sempre fredde, congelate nei loro tautologici manufatti, standardizzati, da prendere con i guanti per non sporcarli.
Il bambino molto pulito Joseph Kosuth non si vuole sporcare con la sua “cacca”… Quindi dice delle sue opere, che “una sedia è una sedia e che è un’idea di un’idea”. Mi sembra che questa riflessione storica materialistica sia povera cosa, e che chi voglia livellarsi verso il basso filosofare metropolitano della mela, tolga il significato alla coscienza umana e alla sua civilizzazione parteggiando per un’ottica prettamente scientifica.
Perché a quale classe appartiene l’opera d’arte, a chi serve se l’opera d’arte è molto costosa? È evidente a chi serve, serve al mercato del lusso. Serve per uno status sociale agiato, è usato come un segno di riconoscimento, di appartenenza: “Signori, io posso accumulare molte feci”.
L’uso delle feci-sculture o delle urine-pitture diviene così forma di asservimento o di ribellione scenica verso le figure genitoriali putative e benestanti, in questa visione di spettacolo esaltante davanti al quale ci hanno trascinato artisti e complici, vale a dire tutte quelle figure intermediarie tra l’artista e il collezionismo… Figure assatanate trash-tranchant dei direttori dei musei d’arte internazionale, che ci hanno costretti con il loro avallo politico-culturale ad apprezzare sempre più la coprofagia.
“Nel bambino (l’artista) l’espulsione delle feci a volte è accompagnata dalla paura di una perdita o di incompletezza sviluppando un carattere bipolare con melancolia e depressione…” (S. Freud).
Per estensione, il non adeguamento dell’artista a tutte quelle norme sociali e culturali che esigono schemi e orari, ispezioni, esami, impone un adeguamento all’autocontrollo forzato ossessivo, praticamente sindrome di Stoccolma, dove vittima e carnefice collaborano viziosamente.
Tutti stilemi che possiamo riscontrare nell’Arte Programmata o nell’Arte Cinetica (Optical Art), movimenti artistici che fanno uso di molta tecnologia. Artisti “progressisti” tipo Victor Vasarely, Rafael Soto o Getulio Alviani, che operavano per provocare uno shock visivo, a volte con movimenti virtuali di soli due colori; questi bravi bambini facevano la “cacca” dentro il vasetto precisi, senza imbrattare e in perfetto orario.
“Il controllo degli sfinteri permette un’evacuazione, se ritentiva con gratificazione libidica, c’è l’emersione di un carattere aggressivo sadico anale. L’autostima e l’autonomia sono legate al controllo associate alla capacità volontaria dell’evacuazione; nella defecazione, l’incapacità di risolvere, in questa fase, i problemi di contenimento, svilupperà un carattere aggressivo ritentivo anale o anale espulsiva; la fissazione anale espulsiva è dovuta ad una educazione eccessivamente permissiva si manifesta (nell’artista) nel defecare in posti non opportuni generando nel futuro un carattere anale compulsivo il quale svilupperà una personalità distruttiva e disordinata con tendenze manipolative” (S. Freud)
La società eccessivamente permissiva diventa liberticida sul piano morale ed economico, il tutto per assecondare la libera circolazione della merce, per poi introdurre bassi salari e prodotti di qualità più scadente.
Gli artisti che fecero la cacca dappertutto in modi inappropriati e autolesionisti furono gli Azionisti Viennesi, dissacranti e profanatori, denunciati più volte. Otto Muhl fu addirittura espulso dall’Austria.
I loro riti corporali erano baccanali con vaghi riferimenti alla liturgia cristiana; Hermann Nitsch per esempio inventa il Teatro delle Orge, e Schwarzkogler si infligge mutilazioni dentro effluvi corporali non meglio distinti, e muore suicida; questi bambini molto politicizzati rispondevano alle repressioni sociali con mortificazioni e dolori, un’“autodafé” cruenta e sadica che inorgogliva la borghesia astante, riverita e divertita.
Certo c’è sempre da distinguere tra le diverse malversazioni pittoriche: le prime avanguardie soggiacquero al banale mercato del loro tempo. Le post-avanguardie, dell’ultima parte del Novecento, furono quasi sempre procreate in provetta, esclusivamente dal supercapitalismo globalizzante.
Questa fu l’elevazione intellettuale dell’anticonformismo rivoluzionario artistico del Novecento! Della vera sublimazione estetica si seppe poco o niente, mi sembra che la maggioranza degli artisti delle avanguardie, anche se celebrati come maestri e ben ricompensati, furono “bambini” brutti, sporchi e cattivi.
Bruno Ceccobelli
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