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Pensieri di un artista isolato. Bruno Ceccobelli #4

Bruno Ceccobelli, Bandiere, 2014, Foto di Auro e Celso Ceccobelli Bruno Ceccobelli, Bandiere, 2014, Foto di Auro e Celso Ceccobelli
Bruno Ceccobelli, Bandiere, 2014, Foto di Auro e Celso Ceccobelli
Bruno Ceccobelli, Bandiere, 2014, Foto di Auro e Celso Ceccobelli

Bruno Ceccobelli e le sue riflessioni di artista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi

Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni artisti italiani lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Un nuovo contributo di Bruno Ceccobelli (1952), che dopo la ribalta internazionale ormai da 40 ani ha scelto di rifugiarsi nelle campagne di Todi suo paese natio…

Strabismo di Venere. La visione Spirituale dell’Arte Moderna

Preferite un’arte in fase anale o una visione Spirituale dell’arte?

L’errore parla con doppia voce,

una delle quali afferma il falso,

ma l’altra la smentisce.
Benedetto Croce

Nello “Strabismo di Venere” dell’Arte del Novecento molti degli artisti che abbiamo conosciuto, rappresentanti delle famose Avanguardie (termine usato dai militari e dagli industriali per il lancio dei nuovi prodotti) hanno tradito la loro tradizione millenaria. Hanno scambiato l’Armonia, il Bello e la Grazia dell’opera d’arte, per le sue spoglie: il Cadavre Exquis, la tecnica e il fashion.

Squadre di avanguardisti hanno lasciato le botteghe dell’artigianato, alienando l’arte del forgiare oggetti con le proprie mani, negando l’universale Estetico a favore del minimo gusto borghese. Adeguandosi al prodotto industriale e al suo fatturato, travisando la metafora dell’arte come ricerca di perfezione Spirituale, nell’ossessione esclusiva di un marchio per una visibilità di massa.

Se indaghiamo, troviamo che fin dalla nascita dell’Arte Contemporanea e con l’avvento rivoluzionario delle cosiddette Prime Avanguardie, la “Bellezza” è diventata un sovrappiù. Un orpello da distruggere, se non un difetto. A questo proposito è esemplificatrice l’opera di Carrà “l’Antigrazioso, Bambina”, del 1916, dove forse la bambina sciupata rappresenta proprio quell’idea di “arte”.

Il termine “antigrazioso” fu inventato da Boccioni… poi convalidato da Picasso e da coloro che seguirono. Insomma, un po’ per la foga propagandistica delle prime avanguardie, poi anche delle seconde, un po’ per metabolizzare gli orrori delle due guerre mondiali, un certo “orrido” fu codificato in arte per contraddire, secondo gli avanguardisti, l’invadente sistema Borghese.

Carlo Carrà, Antigrazioso, Bambina
Carlo Carrà, Antigrazioso, Bambina

Per colpa delle idee proprie dei regimi autocratici europei di fine Ottocento, a causa del realismo dogmatico e del pensiero pragmatico, gli artisti maudit, ribellandosi a quella gretta prassi, divennero nel contempo gli zimbelli di quei regimi ma anche di sé stessi.

Colpa della Ville Lumière, la mitica Parigi della Belle Époque, colpa del troppo benessere metropolitano, colpa dell’ignoranza dei laici collezionisti. Fu così che molti “artisti” scoprirono di essere comodi nei vestiti borghesi. In Italia, scapigliati o bohèmien, li troviamo narcisi seduti ai tavolini di vari caffè. Quello delle Giubbe Rosse a Firenze, con i letterati al Caffè Florian di Venezia. E ancora a quelli della Dolce Vita romana, il Caffè Greco, e il Caffè Canova; con i loro atteggiamenti “pittoreschi” gli artisti del troppo laudano, dell’anisetta, dell’assenzio e della coca… ecc., si ritrovarono ubriachi di fama.

Da allora, per l’élite aristocratica, per i borghesi, e infine per il popolino, “l’artista” è stato soprattutto “genio e sregolatezza”. Lo scrittore ottocentesco Emilio De Marchi sintetizzava: “…tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori…”.

Una colpa ancora più grave, la loro, perché, al momento, a distanza di cento anni, la situazione non è migliorata. Anzi, molti artisti cosiddetti “maledetti” diventano per sempre patologici, si stima che le odierne droghe sintetiche, compresi gli antidepressivi a disposizione di tutti a poco prezzo, siano quattromila e cinquecento a fronte di quelle di un tempo che erano solo dieci….

Kandisky, Giallo, rosso, blu, 1925
Kandisky, Giallo, rosso, blu, 1925

Tuttavia il potenziale umano regressivo messo in atto, da sempre, dal materialismo borghese, con la sua autocrazia del falso fondamentalismo democratico, fondato sul sistema industriale guerrafondaio, mai creativo e mai confortevole universalmente, tuttora sembra funzionare perfettamente.

Le scelte delle Avanguardie e dei loro sviluppi artistici fino al XX Secolo e oltre, hanno portato all’insana valorizzazione del Kitsch, consono alle “brutte” convenzioni di vita della società dei benpensanti, con concetti come libertinaggio, liberalismo, riformismo e mercanteggio di lavoratori schiavi.

Con il fallimento del capitalismo finanziario, ora siamo nell’era del Post Human e Post Apocalittica. Le arti attuali sono perlopiù “arti funzionali” al conformismo delle mode, vicine all’idea del design e dell’eleganza, legate alla ricerca techno-esistenziale. Si osservano tanti quadri eseguiti da formattatori di formalismi, rimasti alla visione esterna delle superfici, dipinti da vampiri della superficialità materialistica.

Dalle brutte immanenze alle belle trascendenze, ci salveranno solo i maestri K: Kandinsky, Klee, Kokoschka, Klein , Kline, Kounellis, Kiefer…

Bruno Ceccobelli con Jannis Kounellis al Caffè Florian, Venezia, 1988 (foto Stefano Fontebasso De Martino)
Bruno Ceccobelli con Jannis Kounellis al Caffè Florian, Venezia, 1988 (foto Stefano Fontebasso De Martino)

Ancora una volta, come in natura, nelle stagioni, una luce taborica, che trasfigura chi la ammira, è riapparsa la prima volta dentro le nuvole di colore dell’Espressionismo tedesco, nel primo Novecento, sulle tele del movimento artistico Der Blaue Reiter; poi un soffio di vento le gonfiò, fino al cielo dell’Espressionismo Astratto americano, di metà secolo, nei tormenti di artisti come Mark Rothko e Barnett Newman, nuvole che portarono molta acqua di vita nella consustanziazione pittorica fra l’anima e la “vista”.

Oramai noi siamo i “digitali” terrestri, con sentimenti “analogici”, insomma un’umanità “virtuale” multitasking, ma con poco heartfelt touch.

L’odierna società ci vieta una vita lieve, cordiale, sorridente e misericordiosa; invece di un cuore, ora, abbiamo dentro di noi una sorta di banca dati sempre connessa, codificata, rivelata e monitorata attraverso il nostro Iphone dalle multinazionali dell’informazione, che puntano a renderci immagini stereotipate. Soprattutto numeri statisticamente calcolabili, così come nelle scuole debiti e crediti sono alla stregua di valori qualitativi. Siamo già degli sterili bancomat ambulanti come le pecore elettriche nel libro “Il cacciatore di androidi” di Philip K. Dick.

Contemporaneamente la Spiritualità e l’Arte Metafisica ci ricordano che noi siamo esseri di luce al dì là dello spazio-tempo, illuminati dall’alto e impregnati di un’intelligenza non razionale.

Così gli incontaminati pittori dei tempi modernissimi, propagano ancora il bello; entra negli occhi e trabocca in noi; guardare o ascoltare una vera opera d’arte ci cambia e ci fa un’altra persona, migliore.

Gli artisti intelligenti sono quelli che amano ricercare il proprio benessere anche nell’interesse degli altri, sono pittori contro i superbi, gli orgogliosi e i vanitosi, contro i furbi, contro gli irascibili bugiardi, contro i ricchi di desideri e per i parsimoniosi: “nell’agio sono a disagio” (Frate Bernardino dell’eremo La Romita).

Sicché, essendo io felice e in grazia di Dio, cerco di promuovere un Arte Celeste, un’arte animica che abbia una leggibilità per l’evoluzione dell’altro; mi “sento” fra il Bizantino e il Romanico fino e non oltre l’arte del Rinascimento, continuo sperimentando la ricerca di una Coscienza Spirituale Cosmica, solo nello scavo interiore della Grande Bellezza, venerata dagli antichi pittori.

Vi voglio parlare di quell’arte Spirituale, parallela all’arte del pensiero unico dominante. Un’arte di “visioni” da uomini di fede, visionari forti di un’esistenza immaginifica che preveda, al limite del rischio personale, eccelsi capolavori. Ecco i geni poliedrici silenziati dalla massa obnubilata. Cito alcuni “sognatori” fuori tempo, a me indispensabili: da Gioacchino da Fiore a Jacopone da Todi, da Beato Angelico a Andrej Rublev, da Lorenzo Lotto a Antonio Vivaldi, da Wolfang von Goethe a William Blake, da Victor Hugo a Antoni Gaudì, da Dante Gabriel Rossetti a Kazimir Malevic, da August Strindberg a Carl Gustav Jung.

Victor Hugo
Victor Hugo

L’artista della partecipazione, co-creatore, è lo sciamano che segna, mette a punto e simboleggia una comunicazione colma calma con l’altro. E non deve necessariamente rincorrere sempre tecniche pittoriche nuove. L’uomo insegnante viene dal passato, dall’eterno ritorno, e non è “passatista” come invece dicevano i Futuristi.

Un disegno o una scultura, un segno o un colore, un’azione o un silenzio. Tutti questi stilemi sono una specie di radiografia fatta a mano dove si può leggere, analizzare lo stato dello stadio mentale della coscienza dell’artista.

Ma tutti gli altri cosa cercano? Cosa leggono nell’opera d’arte? E si deve leggere l’opera d’arte? Cosa vuole l’artista? O facciamo finta che l’arte debba essere solo arredamento, allora la parola decorazione rende subito il senso, dove metti l’opera: è la volontà dell’abbinamento dei colori con la mobilia… mentre la vera opera d’arte è un evento misterioso, da sola giustifica il miracolo della vita, è d’arte quell’oggetto che rende l’idea della Sacra Bellezza.

Immaginate voi se non avessimo avuto questa visione retrograda della civiltà attuale fautrice della lotta – dichiarata e non – tra potenze finanziarie imperialiste. Se ci fosse stata invece, fra loro, una visione magnetica di beatitudini tra le varie nazioni.

Una gara alle oneste intenzioni, a chi avesse avuto il profeta o il filoso più “umano”, una gara internazionale di etica-estetica, per la migliore religione o morale o arte, una corsa verso le “grazie” più divine… Chi avrebbe vinto? Buddha, Cristo, Maometto o gli atei? Mozart, Verdi, o l’Hip Hop? Boccioni, Giacometti o i Graffitisti? Bergson, Borges, Piradello o Moccia?

Non è importante l’evoluzione della tecnologia quanto l’evoluzione della nostra coscienza. Così non sono importanti in arte i fuochi d’artificio, quanto l’energia del seminato rivolto a tutti senza distinzioni.

Bruno Ceccobelli

http://www.brunoceccobelli.com/

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