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Sulla Power 100 list. Non più monologhi ma dialoghi

Il Victoria e Albert Museum acquista un Pussyhat Il Victoria e Albert Museum acquista un Pussyhat
Il Victoria e Albert Museum acquista un Pussyhat
Il Victoria e Albert Museum acquista un Pussyhat

Le indicazioni della Power 100 list di ArtReview segnalano che il tempo della soggettività sta per essere sostituito da quello della collettività

Un nostro articolo pubblicato nelle scorse settimane prendeva spunto dalla lista “Power 100” dei soggetti più influenti nel mondo dell’arte nel 2020, pubblicata dalla rivista ArtReview, per proporre alcune riflessioni sulla deriva “sociologica” della creatività contemporanea. Sul tema è poi intervenuto Marco Tonelli, storico e critico d’arte, direttore artistico del museo di Palazzo Collicola a Spoleto. E ancora Andrea Bruciati, direttore di Villa Adriana e Villa d’Este di Tivoli, l’artista Bruno Ceccobelli, il critico e curatore Daniele Capra, Giacinto Di Pietrantonio – critico, curatore, saggista – e poi una serie di artisti, da Nicola Verlato a Nicola Genovese, a Gian Maria Tosatti, a Walter Bortolossi. Poi hanno detto la loro la critica e storica dell’arte Chiara Casarin, e poi la critica e curatrice Martina Cavallarin. Ora la parola passa alla storica dell’arte Marianna Fioretti Piemonte

L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro

Questa citazione di Kandinsky a quasi un secolo di distanza è quanto più di attuale si possa esprimere nel tentativo di spiegare quali sono i movimenti che stanno determinando il campo dell’arte oggi. Eppure Kandinsky era uno che di arte pratica se ne intendeva. Una mente quasi matematica che spiegava che una linea, più un punto, più un colore puro hanno come obiettivo un atto specifico. Ma in realtà non è così difficile capire perché oggi le brillanti teorie delle avanguardie, esposte brillantemente in manifesti, in critiche, in movimenti, sono state ribaltate dall’apparente nonsense esecutivo attuale.

Non è un caso che la deadline del campo artistico contemporaneo pare sia quella del 2020, un periodo in cui tutte le certezze sono diminuite in ottemperanza di una revisione delle priorità. Fa paura, lo so, ma non è nulla di nuovo. Nel lontano, ma non troppo, primo Novecento, al passaggio della cometa di Halley, una favolosa campagna pubblicitaria convinse tutti a comprare delle maschere antigas per proteggersi dalla contaminazione. Il mondo fu colpito da numerose catastrofi naturali, e dalla prima guerra mondiale che interruppe i fermenti creativi e rivalutò i principi cardini della società.

 

Power 100 list 2020
Power 100 list 2020

Si creò un nuovo mondo. Da questo mondo emerse il Dada Berlinese, uno dei movimenti artistici più nobili che l’umanità vanti. Il Dada Berlinese era dominato da personalità come Heartfield, Grosz, per dirne un paio, padri fondatori del fotomontaggio. Mica male vero? Tuttavia all’epoca non si riusciva a ben intendere come fosse possibile che questo gruppo di sinistra avesse addirittura uno spazio dove esporre i propri prodotti: brutti, senza etica, senza estetica, e realizzati con materiali che non rientravano in quelli tradizionali di un’opera d’arte. Come sono arrivati al fotomontaggio in un periodo dove distruzione e morte erano all’ordine del giorno? Beh, metabolizzando la lezione di alcune vedute fotografiche di qualche tempo prima.

Mi si dirà: bene, quindi? Non so, a me questa storia fa molto pensare a quello che sta succedendo oggi. I prodotti delle manifestazioni e dell’attivismo come Black Lives Matter sono esattamente quello che Kandinsky aveva detto un secolo fa. Questi oggetti sono il Manifesto di questa società, una necessità, una lezione che si sta imparando dai nostri maestri. Rimuginando e rimarcando ancora l’Arte Povera, i Fluxus e Marcel Duchamp, una personalità ancora da scoprire e che ancora ci insegna che l’arte è tale perché siamo noi a decidere a cosa dare importanza.

 

Friday for Future
Friday for Future

Il mondo dell’arte è sotto shock quando un museo come il Victoria e Albert Museum acquista un Pussyhat, divenuto simbolo della manifestazione del “Women’s March” a Washington DC del 2017, portato avanti dalle femministe contro Donald Trump. Perché? Al pari di ogni altra opera, è stato progettato, realizzato, utilizzato ma soprattutto ha smosso coscienze in luoghi lontanissimi come l’Inghilterra e l’America, mettendo in accordo due paesi storicamente in antitesi. Perché sebbene uno sia una grande potenza mondiale, l’altro è quello che l’ha fondata. Lo stato della Virginia ha molto da dirci su questo.

Lo stato ibrido attuale è esattamente quello che il mondo ha visto nel primo Novecento. Non c’è una divisione di ruoli, ma una metabolizzazione di essi. La Rapid Response Collection del V&A è una prima risposta all’evoluzione che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Quello che bisognerebbe inquadrare, o meglio accettare, è che il tempo della soggettività sta per essere sostituito da quello della collettività. Non più monologhi ma dialoghi. Un pronostico potrebbe essere questo: in futuro i galleristi andranno a caccia di specificità collettive, e la loro missione sarà vendere al miglior offerente un’ideologia. La migliore offerta sarà destinata alla più nobile causa. All’asta si batterà ad un prezzo inconcepibile l’acquisto di un cartello Friday for Future, perché è giusto diventare testimoni di importanti ideologie, e i collezionisti con le proprie collezioni diventeranno come i principi del Rinascimento: simboli di nobili virtù.

A pensarci bene non è un’utopia distopica, questa, perché da sempre l’arte è stata la manifestazione di usi, costumi e politica. Un’opera non è altro che una possibilità che ci viene data quotidianamente per riflettere sulla storia, per migliorarne i contenuti o celebrarla. Questa è un’analisi esterna ai fatti, perché i fatti ci parlano di numeri e questi numeri hanno bisogno di certezze e non di teorie.

 

Marianna Fioretti Piemonte
Marianna Fioretti Piemonte

La battaglia delle idee accompagna il mondo dell’arte da sempre, il modo in cui vengono interpretate è un’impresa, il mondo il cui vengono vendute un’abilità di pochi. D’altronde non tutti sono artisti. Francesco Bonami dice che l’arte è come una gobba: ci si nasce. A volte porta fortuna e a volte diventa un peso. Mi chiedo se questo peso in realtà non sia dei critici, dei galleristi o dei curatori che devono rendere fruibili linguaggi a volte incomprensibili. Che dire: ai critici l’arduo compito di concretizzare questa missione.

Marianna Fioretti Piemonte

https://twitter.com/mariannafio

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